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Baruch Spinoza – Vita e pensiero

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Vita

Spinoza nasce ad Amsterdam il 24 novembre 1632, figlio di Michael e Hanna. Il padre era un commerciante e nel 1639 iscrive il figlio alla scuola della comunità ebraica nella quale il giovane Baruch impara la lingua ebraica, studia il Talmud, l’antico testamento, Maimonide, Crescas, Levi Ben Gerson, Ibn Ezra. Per iniziare gli studi contabili, legge anche in lingua ebraica testi di matematica, astronomia e geometria.

La famiglia era di origine marrana: i marrani erano gli ebrei spagnoli che fecero finta di convertirsi al cristianesimo, costretti dal re Ferdinando d’Aragona. Il padre di Spinoza emigrò in Olanda in seguito alle persecuzioni sugli ebrei del re del Portogallo.

Spinoza così conosceva tre lingue: il netederlandese, con la quale scriverà l’Etica, l’ebraico e il portoghese, insegnatogli dal padre.

Nel 1654 muore il padre e entra in società col fratello Gabriel. Nel 1655 Spinoza fa vari importanti incontri e nell’anno successivo avviene la famosa scomunica da parte della comunità ebraica. Egli non abiura e non rientrerà mai all’interno della comunità. Tra il 1656 e il 1658 frequenta la scuola di latino del presunto libertino van Enden e sempre in questi anni approfondisce lo studio delle opere di Cartesio. Nel 1658 scrive il “Trattato sull’emendazione dell’intelletto”.

Nel 1661 si trasferisce a Rjnsburg e inizia la corrispondenza col tedesco Olbenborg, segretario della Royal Society di Londra. Sempre in questo anno scrive il “Breve trattato su Dio, l’uomo e il suo bene”. Nel 1662 inizia a scrivere l’“Etica”. Nel 1663 pubblica l’unica sua opera uscita in vita col suo nome: “I principi della metafisica di Cartesio, parte I e parte II” e in allegato i “Pensieri metafisici”. Durante quest’anno conosce il pensionario Jan de Witt e si assicura una pensione di 200 fiorini l’anno e così si garantisce la possibilità di “dedicarsi totalmente alla ricerca della verità”.

Nel 1665 Spinoza comunica a Oldenborg di aver iniziato la stesura del “Trattato teologico politico”. Nel 1670 pubblica il Trattato e durante l’anno si trasferisce all’Aja.

Nel 1672 assiste alla trucidazione dei fratelli de Witt, assassinati dalla folla inferocita a causa dei rivolgimenti politici che porteranno gli Orange al potere. Nel 1673 Spinoza rifiuta una cattedra di filosofia a Heidelberg, invitato dall’elettore del Palatinato, in quanto sotto l’autorità statale non si sentiva sufficientemente libero di dire quel che pensava.

Nel 1675 si reca a Amsterdam per curare l’edizione dell’Etica che però non verrà che pubblicata postuma in quanto, dopo la condanna della censura del Trattato Teologico Politico, preferisce attendere ancora alla pubblicazione. Nel 1676 riceve la visita di Leibniz e inizia a comporre il “Trattato Politico” rimasto incompiuto. Il 21 febbraio del 1677 all’età di quarantacinque anni, Spinoza va incontro alla morte. Si suppone sereno. Nell’anno stesso della sua morte, il suo amico Mayer porta a compimento le opere postume e pubblica l’Etica More Geometrica demonstrata.

Opere

Opere Data
Trattato sull’emendazione dell’intelletto ( incompiuto ). 1658
Principi della metafisica di Cartesio. Pensieri metafisici. 1663.
Breve trattato su Dio, l’uomo e il suo bene 1661
Trattato teologico politico 1665-1670
Etica. Dimostrata col metodo geometrico. 1662-1675

Filosofia.

Una breve introduzione generale

L’Etica è un sistema filosofico ben ordinato e completo in ogni sua parte. L’autore, Baruch Spinoza, si è impegnato dal 1663 al 1675 alla stesura, rielaborazione e delimitazione di quest’opera. Un lavoro certamente destinato a lasciare il segno su tutta la produzione filosofica successiva la quale, consapevolmente o inconsapevolmente, è segnata a prendere atto dell’importanza di questa interpretazione del mondo e tenerla sempre presente. L’Etica infatti non è solo un opera in cui ci si chiede su quali basi vada fondata la morale, ma in generale, su cosa l’esistenza umana sia fondata, da che ha preso le mosse e in che termini effettivamente l’uomo è in grado di definirsi libero agente. Libertà, esistenza, ragione, intuizione, immaginazione, errore sono solo dei pochi concetti evocati nell’arco di tutta la trattazione che altro non è che un grande sforzo di ordinare tutta la coscienza umana e dare una ragione alla validità della conoscenza e non ultimo, dare una ragione alla ragion pratica.

L’Etica infatti pone un dubbio: le parti morali sono solo la quarta e la quinta. La parte però più importante è in realtà la seconda, dalla quale dipende poi tutto il resto della costruzione. Ma anche la seconda in realtà presuppone la prima. I temi dell’Etica, come a volte dice Spinoza stesso, sono risolti qua e là, non sempre sono riconoscibili le soluzioni tanto sono lontane dalle problematiche che si propongono di risolvere. Così l’andatura del testo è estremamente complessa, un intreccio continuo di temi che non si risolvono mai secondo semplici linee ma sono continuamente sovrapposti, legati e indissolubilmente si accompagnano l’un l’altro. E neanche nella quinta parte si parla solo di morale ma anche di tutti gli altri temi che ora sono di primo piano nelle altre parti, ora sono di sfondo. Ma il sottofondo continuo e presente si fa continuamente consapevole attraverso i rinvii, le citazioni e le allusioni che l’autore continuamente deve fare.

L’Etica infatti non è solo un’opera sistematica in quanto è un opera estremamente precisa e attenta sul piano logico-formale, ma anche nella stessa presentazione c’è la pretesa di essere sempre e costantemente attenti a quel che precede e a quel che segue. L’Etica infatti è “dimostrata” con metodo-geometrico. Tre parole che compaiono già nel titolo e che sono decisamente importanti, quasi offrono la chiave interpretativa dell’opera. L’Etica, ovvero lo studio dei costumi umani e sul loro “dover-essere”, è “dimostrata” ovvero viene posta come ri-posta su qualcos’altro. Dunque secondo l’autore, per spiegare l’Etica non è sufficiente parlare di morale ma necessita una metaetica coerente e precisa. La di-mostrazione è un porre in evidenza i principi primi per poi poter dare una giustificazione coerente, ovvero non contraddittoria, di tutto quel che è compreso. I principi primi, come vedremo solo uno, sono indimostrabili e evidenti di per sé. Spinoza infatti è consapevole infatti dell’impossibilità di un ragionamento “all’infinito” e non a caso neutralizza il problema con l’ausilio di un “assoluto” infinito. Per così dire, neutralizza l’infinito con l’infinito. In realtà, la faccenda non è poi così oscura né, in realtà, si può porre il problema del regresso all’infinito.

Il problema del metodo è un tema molto caro a Spinoza e a lui molto vicino. Cartesio infatti, suo grande predecessore e da lui massimamente stimato, scrisse poco tempo prima i tre trattati fondamentali che segnano, non a caso, tutto il raggio dei problemi dell’Etica: il trattato sul metodo, le meditazioni metafisiche, il trattato sull’anima. Nel primo di questi Cartesio delinea un metodo per arrivare alla verità e nelle meditazioni mostra come in precedenza, ovvero senza la concezione di un metodo che si basasse su altro che sulla ragione, non ci fosse che una conoscenza del tutto pregiudiziale del mondo. In questi due trattati Cartesio mostra come il metodo ci serva a pervenire alle idee chiare e distinte che altro sono che l’oggetto della conoscenza adeguata. Senza metodo non si da conoscenza certa al di fuori di ogni ragionevole dubbio. Il procedimento del dubbio sistematico elaborato da Cartesio mira proprio a questo: mostrare come la conoscenza sensibile, se non interpretata alla luce di idee chiare e distinte, non porti che pregiudizi ovvero falsità. Nelle meditazioni il processo che viene compiuto non è altro che questo: condurre il lettore a liberarsi dai pregiudizi, mostrati attraverso il dubbio iperbolico, per poi condurlo alla verità, al dio libero creatore delle verità eterne. Cartesio pone una radicale dualità delle sostanze, cogito e estensione, la conoscenza avviene per reminiscenza e conoscenza delle idee adeguate. La verità per Cartesio va raggiunta dopo un percorso e il percorso è fondamentale perché è attraverso il metodo che si giunge alla conoscenza vera delle idee adeguate. Spinoza si pone su un lato decisamente diverso: la differenza verte sulla diversa concezione della verità che si fonda su una diversa concezione del mondo. In questo senso Spinoza, che parte pure da posizioni estremamente simili a quelle di Cartesio, se ne discosta contemporaneamente in modo radicale portando alle estreme conseguenze alcune delle tematiche proposte da Cartesio. Intanto la diversa concezione della natura sta nella diversa concezione della sostanza. La sostanza per Cartesio è divisa tra cogito e estensione mentre per Spinoza è unica. E lo stesso cogito per Cartesio prevede la facoltà del conoscere, l’intelletto, e la facoltà del giudizio, la volontà. Per Spinoza nell’attributo del pensiero intelletto e volontà sono un’unica e stessa cosa. Le idee, per Cartesio, sono adeguate se conosciute chiaramente e distintamente ma questa conoscenza è atta attraverso l’utilizzo del metodo mentre per Spinoza nella verità o ci si è o si è nel falso. La verità dunque è condizione di sé e del falso. Per Cartesio tutto è necessario ma non il cogito che conserva la sua autonomia rispetto alla res extensa, mentre per Spinoza tutto è necessario a parte la sostanza assolutamente infinita.

L’orizzonte problematico e terminologico di Spinoza è il medesimo che quello tracciato da Cartesio e non a caso in Cartesio egli vede il suo predecessore più autorevole, un eccellente filosofo. Per le divergenze, non da poco, precedentemente dette, Spinoza però ne prende fortemente le distanze e ogni qual volta che può le sottolinea. E anche nella questione del metodo Spinoza si differenzia molto da Cartesio: la verità, essendo garanzia di sé e del falso, non dipende da alcun metodo e può essere raggiunta in molti modi, il metodo dunque non è al-di-fuori della cosa ma è nella cosa e a partire dalla quale si dà il metodo. Il metodo geometrico è il modo più chiaro di esposizione che si possa avere perché parte da definizioni che pongono il significato dei termini in modo univoco, da assiomi universali e procede per proposizioni dimostrate di volta in volta. Questa andatura garantisce una chiarezza esemplare e di per sé sintetica e precisa. Naturalmente, proprio in virtù di questa estrema chiarezza e sinteticità, l’Etica è un testo assai complesso che va assimilato col tempo ma che presenta un rigore razionale estremo. Il metodo dunque non è la strada per la verità ma è la condizione per una esposizione chiara.

 

Etica dimostrata col metodo geometrico 1662-1675

Dio ( Natura – Sostanza )

La prima parte dell’Etica è l’esposizione della dottrina della sostanza. Quando si analizza un lavoro complesso, bisogna sempre avere un occhio costantemente vigile sull’intenzione ( fine ) sia sullo svolgimento dell’opera. Già dal titolo si pone in rilievo l’importanza primaria dell’aspetto etico del trattato eppure questo inizia con una trattazione su Dio. Come si vedrà, la natura del problema della prima parte è fondamentale per raggiungere il conseguimento del fine che Spinoza si era proposto. In questo senso, l’Etica si inserisce tra i trattati di etica che prevedono una fondazione dell’etica sull’essere e non sulla preminenza del dover-essere. In questa visione etica si concepisce la comprensione della realtà come di primaria importanza in quanto, a seconda di come questa interpretazione sia posta varierà con essa anche l’impostazione etica così che, in quest’ottica, è impossibile trascendere l’analisi del reale per passare direttamente all’analisi etica. In questo senso, l’Etica è molto più “meta-etica” che etica. Questo genere di impostazione di fondo implica l’idea che l’etica si debba fondare su un qualcosa che non riguardi un’idea assoluta nel senso che il bene e il male saranno in qualche modo relativi non ad un valore assoluto ma piuttosto ad una certa conoscenza. La teoria etica di Spinoza fonda tutta la costruzione non sui concetti di Bene e Male, come due categorie assolute o relative ad un’idea assoluta, in un certo senso, ma ad una precisa concezione della conoscenza dalla quale prende le mosse. E’ sul piano della conoscenza che si basa tutta la possibilità di analisi di Spinoza e questa implica, per Spinoza, una precisa concezione metafisica. Di qui il problema della conoscenza della sostanza assolutamente infinita ovvero Dio. In questo senso, Dio è in funzione della conoscenza nel senso che Dio è la base di ogni possibile idea ed è il criterio di esistenza di tutte le cose. In questa concezione del divino è esclusa ogni considerazione su di una qualche concezione morale della natura divina e Dio è, da Spinoza, presentato con caratteristiche del tutto estranee alla concezione degli dei monoteisti delle religioni storiche. Il Dio presentato nell’Etica presenta piuttosto delle caratteristiche che potrebbero essere più proprie della natura in quanto essere assoluto, autodeterminato sia nell’esistenza quanto nell’essenza ovvero un essere che prescinde dalle parti sia per quel che riguarda la sua concezione che per quanto riguarda il suo svolgimento. Dio infatti è presentato sempre come “dominio”[1] del tutto e come essere autoregolato e, in questo, necessario. La sua libertà dipende solo dal fatto che non è costretto da altro in alcun modo a svolgersi in un certo senso. In questo modo, il Dio di Spinoza è l’essere assolutamente sensato, determinato dalla “ragione”. Questo Dio quindi non ha una sua “volontà” se per volontà si intende indifferenza-di-determinazione, o volontà-di-creazione. Dio è determinato e non crea nulla, piuttosto è libero di determinarsi a quel modo e si svolge. Come si è detto in precedenza, Spinoza parte dai problemi aperti dalla filosofia cartesiana e li risolve in maniera del tutto originale: invece di porre una posizione diversa, non genera in un certo senso una reazione antitetica simile a quella della filosofia empirista che di lì a poco avrebbe iniziato la sua riflessione, ma si propone di rivalutare attentamente tutti i problemi e di discioglierli secondo una revisione generale dei concetti. L’opera di Spinoza è una vasta operazione di chiarimento terminologico e, non a caso, si arriva ad un risultato strabiliante sotto il profilo lessicale. L’accuratezza linguistica si nota dall’estremo rigore nell’utilizzo dei termini, in una asciutta sintassi che mostra non tanto l’aridità quanto la precisione delle dimostrazioni che l’autore pone.

Le tesi di fondo poste nella prima parte si dovranno sempre tenere presente in quanto su queste si fonda tutta l’opera e su queste è posta la validità del ragionamento. Le idee centrali sono già scorgibili dalle definizioni, in particolare dalla 1, 3, 5, 7, 8 e dagli assiomi 3, 5. La dottrina della sostanza assolutamente infinita, dell’assoluta causalità della sostanza, dunque della necessità dell’esistenza delle cose tali che abbiano un ordine irrevocabile e unico sono solo i temi centrali ma sono posti tutti i presupposti delle deduzioni successive dimostrate nelle altre parti. Da queste tesi, alcune di esse dimostrate alcune altre “fondamentali”, derivano tutte le conseguenze note della teoria spinoziana: assenza di libero arbitrio, teoria dell’errore, teoria della verità, il “parallelismo conoscitivo”, teoria degli affetti e quindi la teoria morale..

La problematica lasciata aperta da Cartesio è l’inconciliabilità della sostanza estesa con quella pensante. Spinoza nelle prime cinque proposizioni cerca di dimostrare proprio come non esista una pluralità di sostanze ma solo una. In questo scorgiamo 1) una rivoluzione del problema posto da Cartesio, 2) una critica all’Aristotelismo quindi alla scolastica. In questo senso l’operazione critica di Spinoza è duplice, egli si discosta tanto dal dualismo platonico quanto dalla teoria della causalità aristotelica. La sostanza unica non può non esistere e fino alla proposizione 11 procede a dimostrare che questa sostanza unica esiste ed è predicata da infiniti attributi. Questa sostanza infinita per realtà è Dio. Spinoza ne dimostra l’esistenza attraverso tre dimostrazioni, di cui due a priori e una a posteriori.

A questo punto si pone un problema centrale: come si può passare dalla sostanza assolutamente infinita ai modi finiti? A questo punto è lecito intrattenerci a parlare sul concetto di causalità spinoziano. Per Spinoza, tutto ciò che esiste è in virtù di una ragione che può o essere garanzia di sé o di altro. Così tutto ciò che esiste o esiste in virtù della sua sola necessità ( causa sui ) o esiste in virtù di altro. Tutto ciò che esiste è necessario e non si danno enti contingenti. In questo senso, bisogna tenere ferma la concezione dell’assoluta causalità per capire poi lo svolgersi dell’intera opera. La “regola” della inferenza/causalità del tutto è lo sfondo operativo dell’Etica e per ogni analisi, che sia per la teoria epistemologica piuttosto che per la teoria degli affetti, vengono aggiunti degli “operatori” tali per cui si aggiunge una regola a mostrare il meccanismo interno specifico di una certa “modalità”. La causalità, che sia concepita per la “res” extensa piuttosto che per la cogitatio, è pensata come implicazione logica: Se X allora Y. Dove a X e Y si possono sostituire sia essenze che eventi dell’estensione. Partendo dalla causalità aristotelica, Spinoza opera una riduzione delle cause che agiscono in natura: si danno solo cause formali e cause efficienti. La causalità aristotelica e poi scolastica era composta di quattro possibili cause ( che poi, per ogni singolo evento si presentavano tutte e quattro ): la causalità materiale, la causalità formale, la causalità efficiente e la causalità finale. La prima prevedeva che una certa cosa seguisse dalla sua natura materiale. In Spinoza questo non si può dare perché ha negato la pluralità delle sostanze di modo che tutto è in un’unica sostanza e così questa causalità è impossibile. La causalità formale è propriamente un principio di deduzione: se dalla definizione di X si da questo allora Y. L’esempio che si può porre è proprio della natura della geometria: se il triangolo è la figura che ha tre lati e tre angoli allora la somma di due lati non può essere inferiore alla misura del terzo. Dunque da una causa formale si danno molte proprietà. Questa causalità compete alle essenze delle cose e in questo senso, una cosa non può avere l’essenza contraddittoria in quanto, se lo fosse, non si potrebbe neppure darsi nell’estensione. La ragione di questo si vedrà poi. Questa “forma” o espressione della causalità è certamente da tenere bene a mente in Spinoza in quanto è da questa “forma” o espressione che la mente è poi in grado di conoscere adeguatamente le idee. La terza forma di causalità è la causalità efficiente. Dalla stessa parola “efficiente” si comprende già il significato ovvero a partire da un certo evento ne segue in forza di quello un altro tale che non potrebbe essere altrimenti. Se un corpo colpisce un altro e ne una forza tale che il corpo colpito prenda a muoversi, questo è un evento dato necessariamente. E come si vede, anche questa “forma” o espressione di causalità può essere scritta agilmente come implicazione logica solo che in questo caso, non si hanno derivazioni di proprietà a partire da una definizione quanto si deduce l’effetto dalla causa: se X ( evento ), allora Y ( evento ). Questa forma di causalità compete tanto i corpi quanto le essenze, come Spinoza stesso si premurerà di dire nella seconda parte. La quarta “forma” o espressione della causalità è la finale. Questa è assolutamente rifiutata da Spinoza e non a torto ed è una “causa” adeguata per la determinazione del pregiudizio. In Aristotele la finalità mostra quale è lo scopo/fine di una cosa: un bambino nasce per diventare adulto quindi per morire. Un sasso che rotola giunge a valle per terminare il suo moto. Tutto ciò che esiste può essere espresso sotto forma di finalità. Nulla dunque si concepisce senza causalità finale, secondo Aristotele. Per Spinoza invece nulla ha un fine in quanto tutto è causato. Questa falsa idea della causalità è in quanto esiste l’immaginazione che pone le immagini non come il risultato causato da una serie di determinazioni mediane ma come il principio di una certa cosa. In questo sento, correttamente Spinoza sostiene che il pregiudizio finalistico giudica le cose dalla fine e non dall’inizio. In questa concezione della causalità, come finalità, si individua una doppia causalità: la causa finale nel senso di “fine come scopo” e la causalità finale nel senso di “fine come conclusione”. Aristotele fa collassare il significato di “fine come scopo” sul “fine come conclusione”. Il detto “è morto perché non aveva nulla da dire” è, per esempio, una espressione di questo principio del tutto irrazionale. In questo modo tutta la natura è pensabile come “predisposta-a” come “finalizzata-per” e da qui tutti i controsensi delle morali che vedono la natura “pensata-per-l’uomo” quando non si capisce, in forza delle altre due causalità, come questo possa essere tale. Spinoza porta questo controsenso al tribunale della ragione e ne trae la conseguenza che non si può dare alcuna causalità finale. Il pregiudizio finalistico è continuamente attaccato e ogni volta che è possibile, Spinoza ribadisce la sua concezione in proposito. In questa sua continuità, che alle volte potrebbe addirittura sembrare pedante, in realtà si gioca tutta la validità della sua concezione e, nello stesso tempo, l’invalidità delle altre. Non è un caso che Spinoza recida la concezione del libero arbitrio sia per la sostanza assolutamente infinita, sia per i singoli enti finiti. Questa teoria della causalità finalistica è posta con forza esemplare nella grande appendice alla fine della prima parte dove chiude la discussione sulla sostanza assolutamente infinita mostrando uno dei primi punti di arrivo della sua dottrina e di come, anche concedendo ma non ammettendo, come vedremo, le posizioni avversarie, comunque si giunga ad evidenti contraddizioni difficilmente sostenibili e conciliabili sia con la ragione che con l’esperienza.

Dopo questa necessaria spiegazione della concezione della causalità spinoziana, si può passare alla derivazione dei modi finiti dalla sostanza assolutamente infinita. Una precisazione terminologica: sarebbe in linea di principio scorretto dire “cose singolari” nel momento in cui per “cose” si intenda sia un sostrato formale quanto materiale. “Modo” invece esprime già nella parola il suo esser “forma” piuttosto che “sostanza”. Da Dio non possono discendere direttamente i modi finiti. In tutta la discussione della “prima parte” della parte I dell’Etica si di-mostra la natura della Natura naturante ovvero di quell’insieme di principi e di concetti dai quali si svolge tutta laNatura naturata. Bisogna però capire come si può derivare tutta la parte “determinata” della natura. Da Dio non possono discendere direttamente i modi finiti in quanto non si darebbe una possibile corrispondenza tra infinito e finito. Così si procede tendo fermo un principio di fondo della causalità: data una certa causa, l’effetto deve conservare la natura della causa stessa. Da una sostanza assolutamente infinita non può scaturire che altro di infinito ma non assolutamente. Ed infatti da Dio derivano infiniti attributi attraverso i quali si esprime Dio stesso e attraverso i quali Dio è concepibile. Dalla sostanza assolutamente infinita discendono infiniti attributi infiniti per genere. Questi attributi sono i modi immediati e infiniti dati dall’immediato svolgersi della sostanza assolutamente infinita. Questi modi sono già una forma-di-modalità in quanto sono determinati dalla natura stessa della sostanza così non si possono pensare se non ci fosse la sostanza a cui ineriscono. Di questi modi infiniti e immediati abbiamo conoscenza possibile solo di due: il pensiero e l’estensione. Ecco risolto il problema della dualità di Cartesio. Spinoza quindi concepisce un’unica sostanza che si esplica mediante estensione e pensiero simultaneamente. Non a caso al Filosofo francese, Spinoza si riferisce continuamente e per quanto lo critichi, lo riconosce come grande pensatore. L’uomo dunque ha conoscenza solo di due degli infiniti attributi di Dio. In questa concezione dell’attributo di Dio scorgiamo anche un netto rifiuto della concezione scolastica: la scolastica e i pensatori cristiani pensavano agli attributi in numero finito e tra questi c’erano non solo qualità formali generali e disinteressate ma anche qualità morali. Spinoza da un drastico taglio da un lato ( in quanto concepisce unicamente due attributi come realmente conoscibili dall’uomo nei quali non si scorge in alcun modo un’istanza morale ), da un altro ne aumenta la quantità rendendola infinita. Ma da questi attributi immediati e infiniti deve necessariamente seguire un effetto in quanto non può, dato un evento causato non seguire da questo un altro evento, e questo effetto deve mantenere la natura della causa, per la stessa necessità espressa prima, così da un modo immediato infinito deve seguire un modo mediato e infinito: dall’attributo del pensiero segue l’intelletto e dall’attributo dell’estensione segue la quiete e il moto. A questo punto abbiamo dai modi mediati ( in quanto da Dio sono mediati attraverso i modi immediati ) infiniti ( in quanto derivati da modi infiniti ) seguono i modo mediati e finiti ossia le cose singolari. Nell’attributo dell’estensione si danno i singoli corpi e nell’attributo del pensiero si danno i pensieri. Come si dice nella definizione due della parte I, i pensieri non influiscono sul corpo e viceversa e da questa derivazione ne capiamo il motivo: dalla sostanza si derivano gli attributi che per genere sono diversi l’uno dall’altro. I pensieri ineriscono ad attributo diverso dai corpi. Si tenga presente che questa causalità avviene simultaneamente ovvero non si da l’estensione senza il pensiero ed è per questa ragione che si può tenere unita la possibilità di pensare ai corpi come dotati di una certa idea e non slegati da questa.

I modi finiti sono determinazioni singolari che esprimono una essenza eterna e certa dell’infinita sostanza. I modi finiti dunque non sono pensabili senza Dio sia in relazione all’essenza quanto all’esistenza.

Le parti 4 e 5.

Dopo aver trattato nella terza parte della genesi degli affetti, come se fossero enti geometrici, adesso Spinoza passa alla trattazione più propriamente Etica e parte proprio dalle analisi poste precedentemente. Prima di parlare della quarta parte, diciamo quali sono i meccanismi di fondo dell’analisi degli affetti.

Gli affetti sono le affezioni che il corpo subisce e contemporaneamente le loro idee. In questo senso, non si parla di affetto solo del corpo ma come unità di essenza ed esistenza. Ogni cosa ha una sua volontà di persistenza che altro è che la sua stessa essenza. L’essenza di una cosa è la potenza della cosa stessa nel suo atto di affermazione nell’esistenza. Così ogni idea-corpo ha una volontà di persistenza nell’esistere e questa potenza è direttamente l’espressione dell’essenza della cosa stessa. Questa cupidità dell’oggetto è la base di tutta la teoria degli affetti. L’uomo, considerato come individuo, è dunque anch’egli soggetto allo stesso ordine della natura per tanto avrà una sua cupidità che altro sarà che la sua stessa essenza. La potenza dell’uomo non è infinita né di qualsiasi altra cosa, fuorché la sostanza, si può dire che sia infinitamente potente ovvero se ne potrà sempre pensare una più grande e più potente. L’uomo dunque è soggetto ad aumenti e diminuzioni di potenza. Qualora aumenti di potenza proverà gioia, qualora  diminuisca proverà tristezza. L’uomo è capace di provare affetti anche senza che vi sia una causa esterna dalla quale il sentimento è suscitato. L’uomo dunque, come si è dimostrato nella seconda parte, ha una componente attiva e una passiva. Fin tanto che l’uomo conosce sarà anche attivo, sin tanto che l’uomo immagina sarà passivo così si dice che l’uomo agisce se è causa adeguata delle sue azioni ovvero compie alcun che dalla sua sola essenza e non per altro, viceversa sarà passivo ovvero sarà determinato da altro da sé ad agire in un certo e determinato modo. In questo senso, l’uomo è sempre attivo in una sua certa parte e passivo in un’altra. Tutta la teoria degli affetti si basa su questa concezione ovvero che l’uomo è sia capace di essere attivo che passivo e nella misura in cui è passivo sarà anche coatto o determinato da altro ad agire, quindi non libero, mentre nella misura in cui riesce ad essere attivo sarà anche libero, se per libertà si intende la possibilità di essere causa adeguata di sé. Tutta la prima parte della terza sezione è dedicata alla trattazione degli affetti dell’immaginazione che continuamente pongono l’uomo in una condizione di permanente instabilità e oscillazione d’animo, chiamata propriamente da Spinoza come “fluttuazione d’animo”. Infatti l’uomo in quanto immagina che una cosa gli produca gioia in tanto amerà quella cosa in quanto simultaneamente alla gioia associa l’immagine di quella cosa se viceversa allora la odierà. In questo modo si danno tutti gli affetti dell’immaginazione ovvero: gioia o tristezza ( che altro sono se non la testimonianza di un aumento o decremento di potenza ovvero entrambi sono espressioni della cupidità stessa ) più una causa esterna. Questa causa esterna è data dall’immaginazione e non dalla ragione. Infatti c’è differenza tra gli affetti dati dall’immaginazione e la ragione.

L’immaginazione dunque non è contrastabile dalla ragione in alcun modo se non nella misura in cui la stessa ragione è in grado di provocare una reazione emotiva: un affetto qualunque può essere rimosso solo nella misura in cui v’è ne sarà un altro più potente e opposto. Anche la ragione produce una reazione affettiva precisa nello stato d’animo. Nella misura in cui l’uomo è in grado di ragionare sarà anche attivo altrimenti passivo. Nell’immaginazione si danno delle regole precise secondo le quali si generano tutti gli affetti. Della cupidità e della gioia e della tristezza abbiamo già detto, ma esistono anche altre due funzioni dell’immaginazione imprescindibili: l’intervento della memoria e la simpatia degli affetti. La memoria funziona secondo un meccanismo di associazione di idee: se immagino un oggetto e in concomitanza con quell’immagine ne vedo un secondo, se questa è la prima volta che vedo quell’oggetto, penserò che i due oggetti siano correlati in qualche modo; oppure, se vedo un oggetto al quale ne segue sempre un altro allora penserò che i due oggetti seguano insieme. Questo fa sì che se nell’immaginazione si ponga un solo dei due oggetti, immediatamente penserò anche l’altro. Questo si basa sull’idea che, posta una relazione tra immagini, solo con la conoscenza adeguata si può correggere l’errore, per quanto non si possa togliere l’immagine. La ragione del meccanismo sta nell’idea, detta sopra, che tutto ciò che esiste ha una sua cupidità e volontà di permanenza che può essere negata solo se si pone un’idea tale che si tolga il suo opposto perché contraddittorie insieme. Per il secondo operatore si tenga conto di questo: che se una individuo a noi simile e col quale non abbiamo avuto rapporti in alcun modo e non somiglia a oggetti che ci hanno provocato gioia o tristezza in passato, saremo propensi a partecipare ai suoi sentimenti. Questa partecipazione degli affetti è fondamentale per capire in che termini siamo in grado di essere influenzati dagli altri individui. Così se contempliamo un’immagine isolata e che crediamo unica, per solo questo motivo la ricercheremo o ne avremo un’affezione più intensa che non se ve ne fossero di più. Se i più valutano una cosa come giusta anche noi la riterremo tale, viceversa se i più la valutano come sbagliata la riterremo deprecabile. A queste due considerazioni, sulla memoria e sulla partecipazione degli affetti, vanno aggiunti i principi che avevamo già posto prima, così se immaginiamo che una cosa sia deprecabile dai più e pensiamo che noi siamo la causa allora proveremo vergogna così se molti lodano le nostre azioni ci sentiremo glorificati. Tutte queste passioni sono generate spontaneamente dall’animo umano e la fonte di questi affetti è la stessa immaginazione.

A questo punto enunciamo la concezione spinoziana della religione storica, dello stato e della legge. Se gli uomini non avessero timore di nulla agirebbero secondo la loro natura e, in questo caso non bisogna intendere “secondo la loro natura e dunque secondo ragione”, ma secondo quelle relazioni causali che, poste dall’immaginazione, causano tanti affetti quanti le cause esterne. In questo modo gli uomini sono continuamente soggetti “al caso” della necessità naturale. A questa anarchia è bene porre dei limiti così, solo in questo senso, la religione storica ha una sua utilità: il senso è costringere gli uomini ad agire rettamente attraverso l’uso di immagini più forti di quelle che spontaneamente nascono nell’animo. In questo senso è utile porre la nozione di peccato, fede e speranza nella misura in cui pochi sono coloro che seguono i dettami della ragione. Similmente lo stato è più utile che l’anarchia in quanto se gli uomini si uniscono sotto un’unica società solo più potenti che se separati l’uno dall’altro.

Nel momento in cui conosciamo con l’immaginazione abbiamo una conoscenza inadeguata così che siamo soggetti alla casualità delle cause esterne. Se però conosciamo le cause esterne adeguatamente saremo più in grado di comprenderle così che se di un effetto abbiamo causa adeguata il sentimento che ne avremo sarà disciolto per tutte le cause che lo compongono. In questo senso se contempliamo una certa azione come libera in assoluto ne avremo anche un fortissimo affetto, il più grande in assoluto. Ma se abbiamo conoscenza adeguata questo non si può porre. Ad ogni modo, la ragione ci procura degli affetti che non hanno durata ma sono eterni. Se la ragione infatti conosce adeguatamente è perché ricade sotto una specie di eternità dalla quale non discende in alcun modo la durata. E la ragione insegna che tutto ciò che favorisce questa azione del pensare secondo idee adeguate sia massimamente utile ed in questo senso nulla è più utile all’uomo che l’uomo razionale. E in generale l’uomo è ciò che l’uomo ha di più caro. La ragione così insegna che è utile massimamente legarsi all’uomo con vincoli di amicizia ed essere generosi. Dal momento che la ragione contempla la verità, che dunque è una ed eterna, l’uomo razionale sarà anche il più costante e in grado di ergersi contro la sfortuna e rimanere saldo anche negli eventi sfavorevoli. Per essere grossolani, per Spinoza vale il detto “fai di necessità virtù”. Coraggio e Generosità sono i sentimenti dominanti dell’uomo di ragione che sarà sempre meno soggetto di tutti alle cause esterne e sarà per quello che può attivo nel suo essere in grado di conoscere adeguatamente.


Riferimenti

Etica. Dimostrata con metodo geometrico. Definizioni, Assiomi, Proposizioni. Parte 1, 2, 3.

Definizioni.

1.                  Per causa di sé intendo ciò la cui essenza implica l’esistenza, ossia ciò la cui natura non può essere concepita se non come esistente.

2.                  Si dice finita nel suo genere quella cosa che può essere limitata da un’altra cosa della stessa natura. Per esempio un corpo si dice finito, perché ne concepiamo un altro sempre maggiore. Parimenti, un pensiero è limitato da un altro pensiero. Al contrario un corpo non è limitato da un pensiero, né un pensiero da un corpo.

3.                  Per sostanza intendo ciò che esiste in sé ed è concepito per sé: ovvero ciò, il cui concetto non ha bisogno del concetto di un’altra cosa, da quale debba essere formato.

4.                  Per attributo intendo ciò che l’intelletto percepisce di una sostanza come costituente la sua essenza.

5.                  Per modo intendo le affezioni di una sostanza, ossia ciò che è in altro, per mezzo del quale è anche concepito.

6.                  Per Dio intendo l’ente assolutamente infinito, ossia la sostanza che consta di infiniti attributi, ciascuno dei quali esprime un’eterna ed infinita essenza.

7.                  Si dice libera quella cosa che esiste in virtù della sola necessità della sia natura e che è determinata ad agire soltanto da se stessa. Si dice, invece, necessaria, o piuttosto coatta, quella cosa che è determinata da altro a esistere e a operare secondo una certa e determinata ragione.

8.                  Per eternità intendo la stessa esistenza in quanto la si concepisce seguire necessariamente dalla sola definizione della cosa eterna.

Spiegazione

Infatti, tale esistenza viene concepita quale eterna verità, come l’essenza della cosa, e pertanto non si può spiegare mediante la durata o il tempo, anche nel caso che la durata sia concepita mancante del principio e della fine.

Assiomi

1.                  In tutte le cose che sono, o sono in sé, o sono in altro.

2.                  Ciò che non può essere concepito per altro deve essere concepito per sé.

3.                  Da una data causa determinata segue necessariamente un effetto e , al contrario, se non si dà alcuna causa determinata è impossibile che segua un effetto.

4.                  La conoscenza dell’effetto dipende dalla conoscenza della causa e la implica.

5.                  Le cose che non hanno tra loro nulla in comune non possono neppure essere comprese l’una per mezzo dell’altra, ossia il concetto dell’una non implica il concetto dell’altra.

6.                  L’idea vera deve convenire col suo ideato.

7.                  L’essenza di qualunque cosa che può essere concepita come non esistente non implica l’esistenza.

Proposizioni

Natura e proprietà generala della sostanza. ( 1-8 )

1.                  Una sostanza è per natura prima rispetto alle sue affezioni.

2.                  Due sostanze, che hanno attributi diversi, non hanno nulla in comune tra loro.

3.                  Delle cose che non hanno nulla in comune tra loro, l’una non può essere causa dell’altra.

4.                  Due o più cose distinte si distinguono tra loro o per la diversità degli attributi o per la diversità delle affezioni delle stesse sostanze.

5.                  In natura non si possono dare due o più sostanze della stessa natura, ossia dello stesso attributo.

6.                  Una sostanza non può essere prodotta da un’altra sostanza.

7.                  Alla natura di una sostanza appartiene l’esistere.

8.                  Ogni sostanza è necessariamente infinita.

Una sostanza può avere infiniti attributi. ( 9-12 )

9.                  Quanta più realtà o essere ciascuna cosa ha, tanti più attributi le competono.

10.              Ciascun attributo di una stessa sostanza deve essere concepito per sé.

11.              Dio, ossia la sostanza che consta di infiniti attributi, ciascuno dei quali esprime un0essenza eterna ed infinita, esiste necessariamente.

12.              Nessun attributo della sostanza può essere concepito in modo vero, da cui segua che la sostanza possa essere divisa.

Proprietà della sostanza assolutamente infinita. ( 12-20 )

13.              La sostanza assolutamente infinita è indivisibile.

14.              Oltre Dio non si può dare, né essere concepita alcuna sostanza.

15.              Tutto ciò che è, è in Dio e niente può essere né essere concepito senza Dio.

16.              Dalla necessità della divina natura, devono seguire infinite cose in infiniti modi ( cioè tutte le cose che possono cadere sotto un intelletto infinito ).

17.              Dio agisce per le sole leggi della sua natura e non costretto da alcuno.

18.              Dio è causa immanente e non transitiva di tutte le cose.

19.              Dio, ossia tutti gli attributi di Dio, sono eterni.

20.              L’esistenza di Dio e la sua essenza sono un’unica e stessa cosa.

Gli effetti della causalità immanente della sostanza: Natura naturata. ( 21-29 )

21.              Tutte le cose, che seguono dall’assoluta natura di un certo attributo di Dio, hanno dovuto esistere sempre e come infinite, ossia sono terne e infinite per lo stesso attributo.

22.              Qualunque cosa segue da un certo attributo di Dio in quanto è modificato da una modificazione tale che esiste necessariamente e quale infinita in virtù dello stesso attributo, deve anch’essa esistere necessariamente e quale infinita.

23.              Ogni modo che esiste necessariamente e quale infinito ha dovuto seguire necessariamente o dall’assoluta natura di un certo attributo di Dio, oppure da un qualche attributo modificato da una modificazione che esiste necessariamente e quale infinita.

24.              L’essenza delle cose prodotte da Dio non implica l’esistenza.

25.              Dio è causa efficiente non soltanto dell’esistenza, ma anche dell’essenza delle cose.

26.              Una cosa che è determinata a fare alcunché è stata necessariamente così determinata da Dio; e quella cosa che non è determinata da Dio non può determinare se stessa ad agire.

27.              Una cosa che è determinata da Dio a fare alcun ché non può rendere se stessa indeterminata.

28.              Ogni cosa singolare, ossia qualunque cosa che è finita e ha una determinata esistenza, non può esistere né essere determinata ad agire se non sia determinata ad esistere e ad agire da un’altra causa che è anche infinita e ha una determinata esistenza: e anche questa causa non può a sua volta esistere né essere determinata ad agire se non sia determinata ad esistere e ad agire da un0altra causa che è anch’essa finita e ha una determinata esistenza, e così all’infinito.

29.              In natura non si dà nulla di contingente, ma tutte le cose sono determinate dalla necessità della divina natura ad esistere e ad agire in un certo modo.

Confutazione di pregiudizi concernenti la natura e l’azione della sostanza. ( 30-36 )

30.              L’intelletto in atto finito, o in atto infinito deve comprendere gli attributi di Dio e le sue affezioni di Dio e niente altro.

31.              L’intelletto in atto, sia finito, sia infinito, come anche la volontà, la cupidità, l’amore ecc. devono essere riferiti alla natura Naturata e non alla natura Naturante.

32.              La volontà non può essere chiamata causa libera, ma soltanto necessaria.

33.              Le cose non avrebbero potuto essere prodotte da Dio in altro modo, né con altro ordine da quello in qui sono state prodotte.

34.              La potenza di Dio è la sua stessa essenza.

35.              Qualunque cosa concepiamo che sia nel potere di Dio, è necessariamente.

36.              Nulla esiste dalla cui natura non segua un effetto.

Definizioni

1.                  Un corpo intendo un modo che esprime in maniera certa e determinata l’essenza di Dio in quanto si considera come cosa estesa.

2.                  Dico che appartiene all’essenza di ciascuna cosa ciò che, se è dato, la cosa è necessariamente posta e, se tolto, la cosa è necessariamente tolta; oppure ciò senza cui la cosa e, viceversa, ciò che, senza la cosa, non può né essere, né essere concepito.

3.                  Per idea intendo il concetto della Mente che la mente forma perché è cosa pensante.

 

Spiegazione

Dico concetto piuttosto che percezione, perché il nome di percezione sembra indicare che la Mente patisca dall’oggetto, mentre il concetto sembra esprimere l’azione della Mente.

4.                  Per idea adeguata intendo l’idea che, in quanto la si considera in sé senza relazione all’oggetto, ha tutte le proprietà, ossia le denominazioni intrinseche della idea vera.

 

Spiegazione

Dico intrinseche per escludere quella che è estrinseca e cioè la convenienza all’idea col suo ideato.

5.                  La durata è un indefinita continuazione dell’esistere.

Spiegazione

Dico indefinita poiché non può in alcun modo essere determinata mediante la stessa natura della cosa esistente e neppure dalla causa efficiente, poiché questa pone necessariamente l’esistenza della cosa, ma non la toglie.

6.                  Per realtà e perfezione intendo la stessa cosa.

7.                  Per cose singolari intendo le cose che sono finite e hanno una esistenza determinata. Poiché se più individui [NS: ; o particolari / Cose Singolari ] concorrono in un’unica azione in modo tale che tutti insieme siano causa di un unico effetto, li considero tutti in quanto tali come una sola cosa singolare.

Assiomi

1.                  L’essenza dell’uomo non implica l’esistenza necessaria, cioè, secondo l’ordine della natura è possibile tanto che questo e quell’uomo esista, quanto che non esista.

2.                  L’uomo pensa [NS: ; o altrimenti, noi sappiamo di pensare ].

3.                  I modi del pensare, come l’amore, la cupidità, o qualunque altro modo sia designato con il nome di affetto dell’animo, non si danno se nello stesso individuo non si dia l’idea della cosa amata, desiderata, ecc. L0idea , al contrario, si può dare sebbene non si dia nessun altro modo del pensare.

4.                  Noi sentiamo che un certo corpo è affetto in molti modi.

5.                  Noi non sentiamo, né percepiamo nessuna cosa singolare [ NS: o nulla della natura naturata ] oltre i corpi e i modi del pensare.

Parte 2.

Proposizioni

1.                  Il pensiero è un attributo di Dio, ossia Dio è una cosa pensante.

2.                  L’estensione è un attributo di Dio, ossia Dio è una cosa estesa.

3.                  In Dio si dà necessariamente l’idea tanto della sua essenza quanto di tutte le cose che seguono necessariamente dalla sua essenza.

4.                  L’idea di Dio dalla quale seguono infinite cose in infiniti modi può essere soltanto unica.

5.                  L’essere formale delle idee riconosce quale causa Dio in quanto è considerato soltanto come cosa pensante e non in quanto si esplica mediante un’altro attributo. Cioè, le idee tanto degli attributi di Dio quanto delle cose singolari non riconoscono come causa efficiente gli stessi ideati, ossia le cose percepite, bensì Dio stesso in quanto è una cosa pensante.

6.                  I modi di ciascun attributo hanno come causa Dio in quanto si considera soltanto sotto quell’attributo di cui sono modi e non sotto un altro attributo.

7.                  L’ordine e la connessione delle idee è lo stesso che l’ordine e la connessione delle cose.

8.                  Le idee delle cose singolari, ossia dei modi non esistenti devono essere comprese nella infinita idea di Dio nello stesso modo in cui le essenze formali delle cose singolari ossia dei modi sono contenute negli attributi di Dio.

9.                  L’idea di una cosa singolare, esistente in atto, ha come causa Dio non in quanto è infinito, ma in quanto si considera affetto da un’altra idea di una cosa singolare esistente in atto, della quale anche Dio è causa, in quanto è affetto da una terza idea, e così all’infinito.

10.              All’essenza dell’uomo non appartiene l’essere della sostanza, ossa la sostanza non costituisce la forma dell’uomo.

11.              La prima cosa che costituisce l’essere attuale della Mente umana non è altro che l’idea di una certa cosa singolare esistente in atto.

12.              Qualunque cosa accada nell’oggetto dell’idea che costituisce la Mente umana deve essere percepita dalla Mente umana, ossia di quella cosa si darà necessariamente nella Mente un’idea: cioè, se l’oggetto dell’idea che costituisce la Mente umana è il corpo, nulla potrò accadere in quel corpo che non sia percepito dalla Mente [ NS: p senza che vo sia nell’anima un’idea ].

13.              L’oggetto dell’idea che costituisce la Mente umana è il corpo, ossia un certo modo dell’Estensione esistente in atto, e niente altro.

14.              La mente umana è atta a percepire moltissime cose, e tanto più è atta quanto più il suo corpo può essere disposto in molti modi.

15.              L’idea che costituisce l’essere formale della Mente umana non è semplice ma composta da moltissime idee.

16.              L’idea di un qualunque modo in cui il Corpo umano è affetto dai corpi esterni, deve implicare la natura del Corpo umano e, simultaneamente, la natura del corpo esterno.

17.              Se il Corpo umano è affetto da un modo che implica la natura di un certo Corpo esterno, la Mente umana contemplerà lo stesso corpo esterno come esistente in atto o come a sé presente, fino a quando il Corpo non venga affetto da un affetto che escluda l’esistenza o presenza dello stesso corpo.

18.              Se il Corpo umano sia stato affetto una volta da due o più corpo simultaneamente, quando in seguito la Mente ne immaginerà uno, subito si ricorderà degli altri.

19.              La Mente umana non conosce lo stesso Corpo umano, né sa che esso esiste, se non per mezzo delle idee delle affezioni dalle quali il Corpo è affetto.

20.              Della Mente umana si dà anche in Dio l’idea ossia la conoscenza, che in Dio segue e a Dio si riferisce nello stesso modo che l’idea ossia la conoscenza de Corpo umano.

21.              Questa idea della mente è unita alla Mente nello stesso modo in cui la Mente è unita al Corpo.

22.              La mente umana percepisce non soltanto le affezioni del Corpo, ma anche le idee di queste affezioni.

23.              La mente non conosce se stessa se non in quanto percepisce le idee delle affezioni del Corpo.

24.              La Mente umana non implica una conoscenza adeguata delle parti che compongono il Corpo umano.

25.              L’idea di ciascuna affezione de Corpo umano non implica una conoscenza del corpo esterno.

26.              la Mente umana non percepisce alcun corpo esterno come esistente in atto se non per mezzo delle idee delle affezioni del suo Corpo.

27.              L’idea di qualunque affezione del Corpo umano non implica una conoscenza adeguata dello stesso Corpo umano.

28.              Le idee delle affezioni del Corpo umano, in quanto si riferiscono soltanto alla Mente umana, non sono chiare e distinte, ma confuse.

29.              L’idea dell’idea di qualunque affezione del Corpo umano non implica una conoscenza adeguata della Mente umana.

30.              Noi possiamo avere alcuna conoscenza se non del tutto inadeguata della durata del nostro Corpo.

31.              Noi possiamo avere soltanto una conoscenza del tutto inadeguata della durata delle cose singolari che sono al di fuori di noi.

32.              Tutte le idee, in quanto sono riferite a Dio, sono vere.

33.              Nelle idee non vi è nulla di positivo per cui si dicono false.

34.              Ogni idea, che in noi è assoluta, ossia adeguata e perfetta, è vera.

35.              La falsità consiste nella privazione di conoscenza, che le idee inadeguate, ossa mutilate e confuse, implicano.

36.              Le idee inadeguate e confuse conseguono con la stessa necessità che le idee adeguate, ossia chiare e distinte.

37.              Ciò che è comune a tutti e che è parimenti nella parte e nel tutto non costituisce l’essenza di alcuna cosa singolare.

38.              Le cose che sono comuni a tutti e che sono parimenti nella parte e nel tutto non possono essere concepite se non adeguatamente.

39.              L’idea di ciò che è comune e proprio al Corpo umano e a certi corpi esterni, dai quali il Corpo umano è di solito affetto, e che è parimenti in una parte di ciascuno di questi come nel tutto, è anch’essa nella Mente adeguata.

40.              Tutte le idee che seguono nella Mente da idee che in essa sono adeguate, sono anch’esse adeguate.

41.              La conoscenza del primo genere è l’unica causa di falsità, quella del secondo e del terzo genere è necessariamente vera.

42.              La conoscenza del secondo e del terzo genere e non quella del primo genere ci insegna a distinguere il vero dal falso.

43.              Chi ha un’idea vera sa, contemporaneamente, di averla e non può dubitare della verità della cosa.

44.              E’ proprio della natura della Ragione contemplare le cose non come contingenti, ma come necessarie.

45.              Ciascuna idea di qualunque corpo o cosa singolare esistente in atto, implica necessariamente l’essenza eterna e infinita di Dio.

46.              La conoscenza dell’eterna e infinita essenza di Dio che ciascuna idea implica, è adeguata e perfetta.

47.              La Mente umana ha una conoscenza adeguata dell’essenza eterna e infinita di Dio.

48.              Nella Mente non è alcuna volontà assoluta ossia libera; ma la Mente è determinata a volere questo o quello da una causa che è anch’essa determinata da un’altra, e questa a sua volta da un’altra, così all’infinito.

49.              Nella Mente non si dà alcuna volizione, ossia affermazione e negazione oltre quella che l’idea, on quanto è idea, implica.

Assiomi ( sui comportamenti dei corpi )

ASSIOMA 1

Tutti i corpi o si muovono, o sono a riposo.

ASSIOMA 2

Ciascun corpo si muove ora più lentamente, ora più velocemente.

LEMMA 1

I corpi si distinguono l’uno dall’altro in ragione del movimento e della quiete, della velocità e della lentezza, e non in ragione della sostanza.

LEMMA 2

Tutti i corpi convengono in certe cose.

LEMMA 3

Un corpo in movimento o in quiete ha dovuto essere determinato al movimento o alla quiete da un altro corpo, che a sua volta è stato determinato da un altro, e questo a sua volta da un altro, e così all’infinito.

ASSIOMA 1

Tutti i modi nei quali un certo corpo è affetto da un altro corpo seguono dalla natura del corpo affetto e contemporaneamente dalla natura del corpo che affetta;  così che un unico e stesso corpo è mosso in modi diversi a seconda della diversità della natura dei corpi che muovono, e al contrario corpi diversi sono mossi in modo diverso da un solo e stesso corpo.

ASSIOMA 2

Quando un corpo mosso urta contro un altro che è fermo e che non può spostare, si riflette per continuare a muoversi e l’angolo formato dalla linea del movimento di riflessione con il piano del corpo che è fermo, contro il quale ha urtato, sarà uguale all’angolo che la linea del movimento di incidenza ha formato con lo stesso piano.

Le cose fin qui dette valgono per i corpi semplicissimi, cioè per quei corpi che si distinguono tra loro soltanto in ragione del movimento e della quiete, della velocità e della lentezza: passiamo adesso ai corpi composti.

 

DEFINIZIONE

Quando alcuni corpi di uguale o diversa grandezza sono costretti da altri in modo tale da prendersi a vicenda, oppure se si muovono con lo stesso o con diversi gradi di velocità, in modo da comunicare l’uno all’altro i propri movimenti secondo una certa ragione, diremo che quel corpo o Individuo, che si distingue dagli altri per mezzo di questa unione dei corpi.

ASSIOMA 3

Quanto più le parti di un Individuo o di un corpo composto aderiscono l’una all’altra secondo superfici maggiori o minori, tanto più difficilmente o facilmente possono essere costrette a cambiare la loro posizione, e conseguentemente tanto più difficilmente o facilmente può accadere che lo stesso Individuo assuma un’altra figura. E per questo chiamerò duri i corpi le cui parti aderiscono le une alle altre secondo grandi superfici, molli invece quelli le cui parti aderiscono secondo piccole superfici e, in fine, fluidi quelli le cui parti si muovono le une rispetto alle altre.

LEMMA 4

Se del corpo, ossia dell’Individuo che è composto da più corpi, si separano alcuni corpo e, simultaneamente, altrettanti corpi della stessa natura subentrano al loro posto, l’Individuo conserverà, come prima, la sua natura, senza alcun mutamento della sua forma.

LEMMA 5

Se le parti che compongono un Individuo diventano maggiori o minori in una proporzione tuttavia tale da conservare tutte come prima lo stesso rapporto di movimento e di quiete l’una rispetto all’altra, l’Individuo conserverà parimenti la sua natura, come prima, senza alcun mutamento della sua forma.

LEMMA 6 Se certi corpi che compongono un individuo sono costretti a volgere verso un’altra parte il moto che avevano verso una parte, ma in modo da poter continuare i proprio movimenti e comunicarseli a vicenda secondo lo stesso rapporto di prima, l’Individuo conserverà parimenti la sua natura, senza alcun mutamento di forma.

LEMMA 7

Inoltre, un individuo così composto conserverà la propria natura sia che si muova tutto, sia che resti fermo, sia che si muova verso questa o quella direzione, fino a quando ciascuna parte conserverà il proprio movimento e lo comunicherà alle altre, come prima.

POSTULATI

1.                  Il corpo umano è composto di moltissimi individui ( di diversa natura ), ciascuno dei quali è assai composto.

2.                  Degli individui, dei quali il Corpo umano è composto, alcuni sono fluidi, alcuni molli, e, in fine, alcuni duri.

3.                  Gli individui che compongono il Corpo umano, e conseguentemente lo stesso Corpo umano, sono affetti dai corpi esterni in moltissimi modi.

4.                  Per conservarsi, il Corpo umano ha bisogno di moltissimi altri corpi dai quali viene continuamente quasi rigenerato.

5.                  Quando la parte fluida del Corpo umano è determinata da un corpo esterno a premere spesso su un’altra parte molle, modifica la sua superficie e imprime su di essa come certe vestigia del corpo esterno che spinge.

6.                  Il corpo umano può muovere e disporre in moltissimi modi i corpi esterni.

Parte 3.

DEFINIZIONI

1.                  Chiamo causa adeguata quella il cui effetto più essere percepito chiaramente e distintamente per mezzo della stessa. Inadeguata invece, ossia parziale, chiamo quella causa il cui effetto non può essere inteso soltanto per mezzo della stessa.

2.                  Dico che agiamo quando in noi o fuori di noi avviene qualcosa di cui noi siamo causa adeguata, cioè ( per la precedente definizione ) quando dalla nostra natura, in noi o al di fuori di noi segue qualcosa che può essere compreso chiaramente e distintamente per mezzo della nostra stessa natura. E, al contrario, dico che noi siamo passivi quando in noi accade qualcosa, o dalla nostra natura segue qualcosa  di cui noi non siamo che una causa parziale.

3.                  Per Affetto intendo le affezioni del Corpo con le quali la potenza di agire dello stesso Corpo é aumentata o diminuita, favorita o ostacolata e, simultaneamente, le idee di queste affezioni.

Se dunque possiamo essere causa adeguata di qualcun di queste affezioni, allora per Affetto intendo una azione, altrimenti una passione.

POSTULATI

1.                  Il Corpo umano può essere affetto in molti modi, dai quali la sua potenza di agire è aumentata o diminuita, anche in altri modi che non rendono la sua potenza di agire né maggiore, né minore.

2.                  Il Corpo può subire molti cambiamenti e conservare tuttavia le impressioni degli oggetti o vestigia e conseguentemente le stesse immagini delle cose.

PROPOSIZIONI

1.                              La nostra Mente è attiva in certe cose e passiva in altre, cioè in quanto ha idee adeguate, in tanto è necessariamente attiva in certe cose e in quanto ha idee inadeguate in tanto è necessariamente passive in altre.

2.                              Né il Corpo può determinare la Mente a pensare, né la Mente può determinare il Corpo al movimento o alla quiete, né a qualunque altra cosa ( se ve n’è una ).

3.                              Le azioni della Mente hanno origine dalle sole idee adeguate; le passioni invece dipendono dalle sole idee inadeguate.

4.                              Nessuna cosa può essere distrutta se non da una causa esterna.

5.                              Le cose in tanto sono di natura contraria, in tanto cioè non possono essere nello stesso soggetto, in quanto l’una può distruggere l’altra.

6.                              Ogni cosa, per quanto è in sé, si sforza di perseverare nel suo essere.

7.                              La forza con la quale ciascuna cosa si sforza di perseverare nel suo essere non è altro che la sua attuale essenza.

8.                              La forza con la quale ciascuna cosa si sforza di perseverare nel suo essere, non implica un tempo finito, ma indefinito.

9.                              La Mente, sia in quanto ha idee chiare e distinte, sia in quanto ha idee confuse, si sforza di perseverare nel suo essere secondo una certa durata indefinita e di questo suo sforzo è consapevole.

10.                          L’idea, che esclude l’esistenza del nostro Corpo, non si dà nella nostra Mente, ma è ad essa contraria.

11.                          L’idea di tutto ciò che aumenta o diminuisce, favorisce o limita la potenza di agire del nostro Corpo, aumenta anch’essa o diminuisce, favorisce o limita la potenza di pensare della nostra Mente.

12.                          La Mente per quanto può si sforza di immaginare le cose che aumentano o favoriscno la potenza di agire del Corpo.

13.                          Quando la Mente immagina cose che diminuiscono o limitano la potenza di agire del Corpo, per quanto può, si sforza di ricordarsi di quelle cose che ne escludono l’esistenza.

14.                          Se la Mente è stata affetta una volta contemporaneamente da due affetti, quando in seguito sarà affetta da uno dei due, sarò affetta anche dall’altro.

15.                          Una qualunque cosa può essere per accidente causa di Gioia, Tristezza o Cupidità.

16.                          Per il fatto solo che immaginiamo una certa cosa ha qualcosa di simile a un oggetto che di solito produce nella Mente un affetto di Gioia o di Tristezza, sebbene ciò in cui la cosa è simile a quell’oggetto non sia la causa efficiente di questi affetti, tuttavia la ameremo o la avremo in odio.

17.                          Se immaginiamo che una cosa che di solito produce in noi un affetto di Tristezza ha qualcosa di simile a un’altra che solitamente in pari grado produce in noi un grande affetto di Gioia, la avremo in odio e, contemporaneamente, la ameremo.

18.                          L’uomo è affetto dall’immagine di una cosa passata o futura con lo stesso affetto di Gioia o Tristezza che dall’immagine della cosa presente.

19.                          Colui il quale immagina che ciò che ama sua distrutto, si rattristerò, se al contrario immagina che si conservi, si rallegrerà.

20.                          Colui il quale immagina che ciò che odia sia distrutto, si rallegrerà.

21.                          Chi immagina che ciò che ama sia affetto da Gioia o Tristezza, sarà anch’egli affetto da Gioia o Tristezza; e l’uno e l’altro di questi affetti sarà maggiore o minore nell’amante a seconda che l’uno e l’altro sia maggiore o minore nella cosa amata.

22.                          Se immaginiamo che qualcuno produca un affetto di Gioia nella cosa che amiamo, saremo mossi da Amore verso di lui. Se al contrario immaginiamo che lo stesso produca un affetto di Tristezza nella cosa che amiamo, saremo viceversa mossi da Odio contro di lui.

23.                          Chi immagina che ciò che ha in odio sia affetto da Tristezza, si rallegrerà; se, al contrario, immagina che lo stesso sia affetto da Gioia si rattristerà; e l’uno e l’altro di questi affetti sarà maggiore o minore, a seconda che il suo contrario sia maggiore o minore in colui che ha in odio.

24.                          Se immaginiamo che qualcuno produca un affetto di Gioia in una cosa che abbiamo in odio, saremo affetti da Odio anche verso di lui. Se al contrario immaginiamo che egli produca in essa un affetto di Tristezza, saremo affetti verso di lui da Amore.

25.                          Noi ci sforziamo di affermare di noi stessi e della cosa amata tutto ciò che immaginiamo che produca un affetto di Gioia in noi o nella cosa amata; e, al contrario, di negare tutto ciò che immaginiamo che produca un affetto di Tristezza in noi o nella cosa amata.

26.                          Noi ci sforziamo di affermare, della cosa che abbiamo in odio, tutto ciò che immaginiamo produca in essa un affetto di Tristezza, e al contrario di negare ciò che immaginiamo produca in essa un affetto di Gioia.

27.                          Se immaginiamo che una cosa a noi simile, e verso la quale non avviamo nutrito alcun affetto, è affetta da un qualche affetto, per ciò stesso veniamo affetti da una  affetto simile.

28.                          Noi ci sforziamo di promuovere che avvenga tutto ciò che immaginiamo conduca alla Gioia; e invece di rimuovere o distruggere tutto ciò che immaginiamo conduca alla Tristezza.

29.                          Noi ci sforzeremo anche di fare tutto ciò che immaginiamo che gli uomini guardino con Gioia e, viceversa, saremo contrari a fare quello a cui immaginiamo che gli uomini siano contrari.

30.                          Se qualcuno fa qualcosa che immagina che produca negli altri un affetto di Gioia, egli sarà affetto da Gioia in concomitanza dell’idea di sé come causa; ossia contemplerà se stesso con Gioia. Se al contrario fa qualcosa che immagina che produca agli altri Tristezza, contemplerà se stesso con Tristezza.

31.                          Se immaginiamo che qualcuno ami, o desideri, o abbia in odio qualcosa che noi stessi amiamo, desideriamo o abbiamo in odio, per ciò stesso ameremo, o desidereremo o odieremo quella cosa con maggiore costanza. Se incede immaginiamo che abbia contrarietà verso la cosa che amiamo, o al contrario che egli ami quel che noi odiamo, allora saremo afflitti da una fluttuazione dell’animo.

32.                          Se immaginiamo che qualcuno goda di una certa cosa, che uno solo può possedere, ci sforzeremo di fare in modo che egli non la possegga.

33.                          Quando amiamo una cosa che ci è simile, ci sforziamo per quanto è in noi di far sì che a sua volta ci ami.

34.                          Quanto maggiore è l’affetto dal quale immaginiamo che la cosa amata sia affetta verso di noi, tanto più ce ne glorieremo.

35.                          Se qualcuno immagina che la cosa amata leghi a sé un altro con un vincolo di Amicizia pari o più forte di quello col quale egli stesso da solo ne godeva, sarà affetto da Odio verso la stessa cosa amata e da invidia verso l’altro.

36.                           Chi si ricorda della cosa da cui una volta ha tratto diletto, desidera possederla nelle stesse circostanze nelle quali per la prima volta ne ha tratto diletto.

37.                          La Cupidità che nasce da tristezza o da Gioia, da Odio o da Amore è tanto maggiore quanto maggiore è l’affetto.

38.                          Se qualcuno ha incominciato ad avere in odio la cosa amata in modo tale che l’Amore venga interamente abolito, per la stessa ragione la perseguirà con odio maggiore che se non l’avesse mai amata, e tanto maggiore sarà l’odio quanto maggiore era stato prima l’Amore.

39.                          Chi ha in Odio qualcuno si sforzerà di recargli male,   se non teme che da questo nasca un male maggiore per sé; e, al contrario, chi ama qualcuno, per la stessa legge, si sforzerà di fargli del bene.

40.                          Chi immagina di essere odiato da qualcuno, e non avergli dato alcuna ragione d’odio, lo odierà a sua volta.

41.                          Se uno immagina di essere amato da qualcuno e crede di non avergliene dato alcun motivo, lo amerà a sua volta.

42.                          Chi ha recato beneficio a qualcuno, mosso da Amore o da Speranza di Gloria, si rattristerà se vede che il beneficio è stato accolto con animo ingrato.

43.                          L’Odio è aumentato da reciproco odio, e al contrario può essere annullato dall’Amore.

44.                          L’Odio che è vinto interamente dall’Amore, si muta in Amore; e per ciò l’Amore è maggiore che se non fosse stato preceduto dall’Odio.

45.                          Se qualcuno immagina che un suo simile sia affetto da Odio verso una cosa simile che egli ama, lo odierà.

46.                          Se uno sia affetto da Gioia o Tristezza da qualcuno di una certa classe o nazione diversa dalla sia, in concomitanza dell’idea di lui, sotto il nome universale di classe o nazione, come causa: egli amerà o avrà in odio non soltanto lui, ma tutti quelli che appartengono alla stessa classe o nazione.

47.                          La Gioia che nasce dal fatto che immaginiamo che una cosa che odiamo sia distrutta, o sia affetta da un altro male, non nasce senza Tristezza d’animo.

48.                          L’Amore e l’Odio per Pietro viene distrutto se la Tristezza che questo e la Gioia che quello implica viene unita all’idea di un’altra causa; e in tanto l’uno e l’altro diminuiscono, in quanto immaginiamo che non il solo Petro sia stato la causa di uno dei due.

49.                          L’Amore e l’Odio verso una cosa che immaginiamo sia libera, pari essendo la causa, devono essere entrambi maggiori che verso una cosa necessaria.

50.                          Qualunque cosa può essere, per accidente, causa di Speranza o di Paura.

51.                          Uomini diversi possono essere affetti in modo diverso dallo stesso oggetto e uno stesso uomo, in tempi diversi, può essere affetto dallo stesso oggetto in modi diversi.

52.                          L’oggetto che abbiamo visto prima insieme ad altri o che immaginiamo non abbia nulla se non ciò che è comune a molti, non lo contempleremo così a lungo come quello che immaginiamo avere qualcosa di singolare.

53.                          Quando la Mente contempla se stessa e la sua potenza di agire si rallegra, e tanto più quanto più distintamente immagina se stessa e la sua potenza di agire.

54.                          La Mente si sforza di immaginare soltanto quelle cose che pongono la sua potenza di agire.

55.                          Quando la Mente immagina la propria impotenza, per ciò stesso si rattrista.

Nessuno ha invidia della virtù di qualcuno, se non di un proprio eguale.

56.                          Si danno tante specie di Gioia, Tristezza e Cupidità, e conseguentemente di ciascun affetto che di questi si compone, come la fluttuazione dell’animo, o che da questi deriva, come l’Amore, l’Odio, la Speranza, la Paura, quante sono le specie di oggetti dai quali siamo affetti.

57.                          Qualsivoglia affetto di ciascun individuo discorda dall’affetto di un altro tanto quanto l’essenza dell’uno differisce dall’essenza dell’altro.

58.                          Oltre alla Gioia e alla Cupidità che sono passioni, esistono altri affetti di Gioia e di Cupidità che si riferiscono a noi in quanto siamo attivi.

59.                          Tra tutti gli affetti che si riferiscono alla Mente in quanto è attiva non ve ne sono altri che quelli che si riferiscono alla Gioia e alla Cupidità.

DEFINIZIONE DEGLI AFFETTI

1.                                          La Cupidità è la stessa essenza dell’uomo, in quanto la si concepisce determinata da una certa data sua affezione a fare qualcosa.

2.                                          La Gioia è transizione dell’uomo da una minore ad una maggiore perfezione.

3.                                          La Tristezza è transizione dell’uomo da una maggiore ad una minore perfezione.

4.                                          L’Ammirazione è l’immaginazione di una certa cosa nella quale la Mente resta fissata, poiché questa singolare immaginazione non ha alcuna connessione con le altre.

5.                                          Il Disprezzo è l’immaginazione di una certa cosa, che tocca così poco la Mente, che la stessa Mente è spinta dalla presenza di una cosa a immaginare quel che nella stessa cosa non è, piuttosto che quel che nella stessa cosa è.

6.                                          L’Amore è Gioia, concomitante con l’idea di una causa esterna.

7.                                          L’Odio è Tristezza, concomitante con l’idea di una causa esterna.

8.                                          La Propensione è una Gioia concomitante con l’idea di una certa cosa che per accidente è causa di Gioia.

9.                                          L’Avversione è tristezza concomitante con l’idea di una certa cosa che per accidente è causa di Tristezza.

10.                                      La Devozione è Amore verso colui che ammiriamo.

11.                                      L’Irrisione è Gioia nata dal fatto che immaginiamo che qualcosa che disprezziamo è presente nella cosa che odiamo.

12.                                      La Speranza è una Gioia incostante, nata dall’idea di una cosa futura o passata, del cui esito in qualche misura dubitiamo.

13.                                      La Paura è un incostante tristezza nata dall’idea di una cosa futura o passata, del cui esito in una certa misura dubitiamo.

14.                                      La Sicurezza è Gioia nata dall’idea di una cosa futura o passata, rispetto alla quale è venuta meno la ragione di dubitare.

15.                                      La Disperazione è Tristezza nata dall’idea di una cosa futura o passata, rispetto alla quale è venuta meno la ragione di dubitare.

16.                                      Il Gaudio è la Gioia che accompagna l’idea di una cosa passata che accade al di là della nostra Speranza.

17.                                      Il Rimorso è la Tristezza che accompagna l’idea di una cosa passata che accade contro la nostra Speranza.

18.                                      La Commiserazione è la Tristezza che accompagna l’idea del male che accade a un altro che immaginiamo a noi simile.

19.                                      Il Favore è amore verso qualcuno, che ha fatto del bene a un altro.

20.                                      L’Indignazione è Odio verso qualcuno che ha fatto male a un altro.

21.                                      La Stima consiste nel sentire, per Amore, più  del giusto nei confronti di qualcuno.

22.                                      La Disistima consiste nel sentire, per Odio, meno del giusto nei confronti di qualcuno.

23.                                      L’Invidia è Odio, in quanto produce nell’uomo un affetto per cui si rattrista della felicità altrui e, al contrario, gode dell’altrui male.

24.                                      La Misericordia è Amore, in quanto produce nell’uomo un affetto per cui gode del bene altrui e, al contrario, si rattrista del male altrui.

25.                                      La Soddisfazione di sé è Gioia nata dal fatto che l’uomo contempla se stesso e la propria potenza di agire.

26.                                      L’Umiltà è Tristezza nata dal fatto che l’uomo contempla la propria impotenza, o debolezza.

27.                                      Il Pentimento è Tristezza che accompagna l’idea di un certo fatto, che crediamo di aver compiuto per un libero decreto della Mente.

28.                                      La Superbia consiste nel sentire di sé, per amore di sé, più del giusto.

29.                                      La Sottovalutazione di sé consiste nel sentire di sé, per Tristezza, meno del giusto.

30.                                      La Gloria è Gioia che accompagna l’idea di una certa nostra azione, che immaginiamo sia lodata dagli altri.

31.                                      La Vergogna che accompagna l’idea di una certa azione che immaginiamo sia dagli altri vituperata.

32.                                      Il Desiderio è Cupidità, ossia, Appetito di disporre di una certa cosa, Cupidità che è alimentata dal ricordo della cosa stessa e ostacolata, contemporaneamente, dal ricordo delle altre cose che escludono l’esistenza della stessa cosa che appetiamo.

33.                                      L’Emulazione è Cupidità di una certa cosa, che si ingenera in noi, per il fatto che immaginiamo che gli altri abbiano la stessa Cupidità.

34.                                      La Riconoscenza o Gratitudine è la Cupidità o inclinazione amorevole con la quale ci sforziamo di fare del bene a colui che ci ha arrecato un beneficio con uguale affetto d’amore.

35.                                      La Benevolenza è Cupidità di fare del bene a colui al quale abbiamo compassione.

36.                                      L’Ira è la Cupidità dalla quale siamo incitati, per Odio, a fare del male a colui che odiamo.

37.                                      La vendetta è la Cupidità dalla quale, per Odio reciproco, siamo incitati a fare del male a colui che, con pari affetto, ci ha arrecato un danno.

38.                                      La Crudeltà, o ferocia, è la Cupidità dalla quale qualcuno è incitato ad arrecare male a colui che amiamo o di cui abbiamo compassione.

39.                                      Il Timore è la Cupidità di evitare con un male minore un male maggiore che temiamo.

40.                                      L’Audacia è la Cupidità dalla quale qualcuno è incitato a fare qualcosa in condizioni di pericolo che i suoi eguali temono affrontare.

41.                                      La Pusillanimità si predica di colui la cui Cupidità è repressa dal timore del pericolo, che i suoi eguali osano affrontare.

42.                                      La Costernazione si predica di colui le cui Cupidità di evitare il male è repressa dall’ammirazione del male che teme.

43.                                      L’Umanità, ossia la Modestia, è la Cupidità di fare le cose che piacciono agli uomini e di omettere quelle che dispiacciono loro.

44.                                      L’Ambizione è un’immodesta Cupidità di Gloria.

45.                                      La Lussuria è un’immoderata Cupidità o, anche, Amore di banchettare.

46.                                      L’Ebrietà è un’immoderata Cupidità e Amore di bere.

47.                                      L’Avarizia è un’immoderata Cupidità e Amore di ricchezza.

48.                                      La Libidine è anche Cupidità e Amore nel congiungere i corpi.

DEFINIZIONE GENERALE DEGLI AFFETTI

L’Affetto che si dice Patema dell’animo è un’idea confusa, con la quale la Mente afferma una forza di esistere del suo Corpo o di qualche sua parte maggiore o minore che in precedenza e, data la quale, la stessa Mente è determinata a pensare piuttosto che quello.

Bibliografia.

Adorno, Gregory, Verra, Manuale della storia della filosofia Voll. 2, Laterza, Roma-Bari, 1996.

Mignini F., Introduzione a Spinoza, Laterza, Roma-Bari, 2006.

Mignini F., Introduzione alla lettura dell’Etica di Spinoza, Carocci, Roma, 1995.

Mori M. Storia della filosofia moderna, Laterza, Roma-Bari, 2005.

Nadler S., L’eresia di Spinoza, Einaudi, Torino, 2005.

Scribano E., Angeli e beati. Modelli di conoscenza da Tommaso a Spinoza, Laterza, Roma-Bari, 2006.

Spinoza B., Etica. Dimostrata con metodo geometrico, Editori riuniti, Roma, 2004.

Spinoza B., Etica. Trattato teologico politico, UTET, Torino, 2005.

Spinoza B., Trattato teologico politico, RCS Libri, Milano, 2001.

Contenuti speciali.

Scacchi di-mostrati con metodo geometrico.

Ipotesi 1: tutte le mosse sono giocate da una mente.

Specifica a: una mente è ragione e caso, in continuo svolgimento simultaneo.

Specifica b: la ragione è la capacità della mente di ordinare idee. Le idee intorno agli scacchi sono definizioni di mosse, deduzioni di mosse e definizioni di contesti di mosse. La definizione di una mossa implica, necessariamente, anche la sua aderenza alle regole e un particolare contesto in cui essa ha senso o meno. Noi non conosciamo mosse senza “insiemi” o contesti di mosse.

Specifica c: il caso è l’insieme delle percezioni sensibili di una mente in un dato momento. Chiamiamo questa facoltà “sensibile” della mente “caso” perché essa si svolge in relazione al mondo esterno: un pezzo è visto-sentito ecc. dalla mente in modo molto diverso da un’altra. Ne è prova il fatto che, spesso, si immaginano cose diverse quando si gioca la stessa variante di bianco o di nero. Ogni mente ha un suo modo di percepire le mosse e non c’è nemmeno modo di appurare la natura di tali percezioni: non esiste un metodo che riesca a ricostruire esattamente la sensazione di due menti diverse intorno alla stessa mossa. Dire che due persone vedono il “bianco e il nero” della scacchiera è cosa ben diversa dal dire che vedono la stessa cosa.

Spiegazione I: il computer non è una mente in senso stretto, ma possiamo considerarlo pure come una mente nella misura in cui egli è programmato da cervelli per giocare come se fosse un cervello. Il computer è una mente, quando consideriamo la mente sotto l’aspetto deduttivo. Ma il computer non è diverso da una pietra quando consideriamo la mente sotto l’aspetto del caso: il computer non ha una coscienza della mossa in senso percettivo, né si può “immaginare” le cose. La logica del computer non è di tipo percettivo-intuitivo, ma di tipo computazionale.

Inferenza: se tutte le mosse sono giocate da una mente, se la mente è ragione o caso allora tutte le mosse o sono giocate a partire dalla ragione oppure sono giocate a partire dal caso.

Tesi a: dunque tutte le mosse sono giocate a partire dalla ragione oppure sono giocate a partire dal caso.

Specifica a: la mente è caso e ragione, quando pensa, non può che riflettere a partire dalle sue proprietà. La mente non ha altre proprietà che la ragione e il caso, dunque o penserà a partire da un ragionamento o a partire da un fascio di percezioni.

 

Inferenza: se la mente pensa o partire dalla ragione oppure a partire dal caso, se la ragione è capacità di definizione di una mossa, di deduzione di altre mosse e di definizione di contesti allora la mente razionale definirà le mosse ne dedurrà di altre e definirà i loro contesti.

Tesi b: dunque la mente razionale definirà le mosse, ne dedurrà di altre e definirà i loro contesti.

Specifica a: la mente razionale è in grado di conoscere le proprietà delle mosse. In questo modo, potremmo anche ridefinire una mossa come l’insieme delle proprietà che le competono. Una mossa è definita dall’insieme delle sue possibilità e, dunque, anche dal suo contesto. Il contesto di una mossa è dedotto interamente dalla definizione di una mossa ( cioè, ancora una volta, delle sue proprietà ).

Spiegazione I: ciò è quel che facciamo in sede di riflessione: quando conosciamo una mossa, la definiamo nella nostra mente dotata di certe caratteristiche. In un secondo momento andiamo a vedere, per calcolo, cioè per ragionamento, se quella mossa è forte o meno forte o se è possibile, o non possibile. Una volta che vediamo, per esempio, il contesto della mossa cinque o sei mosse, o quante ne servono, in avanti siamo anche in grado di capire se una mossa è forte o meno: in altre parola, inscrivendo la mossa in contesti vediamo se essa ha un valore piuttosto che un altro.

Inferenza: se la mente è caso e ragione, se la mente può iniziare a pensare a partire dal caso, se il caso è l’insieme delle percezioni di un dato momento, se il caso è relativo ad una mente in un dato momento allora la mente caotica muoverà i pezzi a partire dalle sue percezioni.

Tesi c: allora una mente caotica muoverà i pezzi a partire dalle sue percezioni.

Spiegazione I: le percezioni di un pezzo, di un insieme di pezzi, non sono atto di comprensione della mente. La percezione è passiva, senza comprensione e fin tanto che ci atteniamo al caso della mente non possiamo dedurne che essa ragioni a partire dalle sensazioni che essa ha delle cose.

Corollario ά: la stessa cosa vale per le sensazioni conservate dalla memoria.

Spiegazione II: ogni mente è un corpo e, in quanto corpo, ha una sua costituzione nel mondo. Le percezioni sono prodotte da modificazioni del corpo. La mente riceve percezioni grazie alle modificazioni sue, considerata come corpo. Dunque, al modificarsi del corpo si modifica anche la mente. Al modificarsi del corpo segue una modificazione della mente senza che la mente possa farci nulla. Dunque, l’atto percettivo privo di comprensione è un’attività passiva della mente.

Esempio A: quando apro gli occhi e vedo i pezzi non sono in grado di decidere se vederli o no, quando ascolto una melodia non sono in grado di decidere se ascoltarla o meno.

Esempio B: spesso mi tocca stare a sentire commenti di scacchisti privi di idee e che muovono i pezzi a caso. Loro ti enunciano mosse prive di significato e le giustificano non in base all’idea che avevano delle mosse, ma a partire dalla necessità del tempo o perché “gli sembrava” che fossero buone, in altre parole, da ragionamenti costruiti ad hoc, successivi alla mossa. Purtroppo, non è mia facoltà non sentirli o non vederli giocare.

Inferenza: se la mente caotica muoverà i pezzi dalle sue percezioni, se le percezioni di una mente, prive di comprensione, sono casuali, allora la mente caotica giocherà a caso.

Tesi d: dunque una mente caotica giocherà a caso.

Spiegazione I: giocherà a caso nel senso che non sarà lei a decidere ma il suo “istinto”, in altre parole, la democrazia del caso ( che è ciò che c’è di più democratico nel mondo ). Il caso, in questo senso, attiene alla dimensione corporea della mente nel senso che esso si ottiene a partire dalle percezioni.

Spiegazione II: in ciò sta la ragione delle spiegazioni degli incompetenti: “mi sembrava che…” o “credevo che…” che non introducono ragionamenti, definizioni o conoscenze proprie, ma frasi che rimandano, al meglio, all’attività intuitiva della mente[2].

Spiegazione III: in ciò sta anche la ragione del perché il caso produca effetti molto diversi da giocatore a giocatore: ogni giocatore è diverso da un altro, come costituzione, come corpo. Se il corpo è diverso lo saranno anche le sue modificazioni: due giocatori che agiranno a partire dal caso produrranno anche mosse molto diverse. Provare per credere!

Inferenza: se la mente razionale la mente razionale definirà le mosse, dedurrà le mosse da altre mosse e ne definirà i contesti, se la mente caotica giocherà a caso allora la mente razionale non giocherà a caso e la mente caotica non ragiona.

Tesi d: dunque la mente razionale non giocherà a caso e la mente caotica non ragiona.

Spiegazione a: la libertà negli scacchi o è capacità di decidere dalla propria mente le mosse da giocare oppure è la libertà del caso. La libertà del caso non dai molti interpretata in senso positivo perché non è responsabilità della mente caotica il risultato delle proprie mosse: se scelgo a caso, non sarà certo mia responsabilità se ciò che viene è buono o cattivo. D’altra parte, la capacità di decidere dalla propria mente implica la conoscenza delle cose: posso decidere di giocare una siciliana o una Caro Kan solo quando so cosa è l’una e cosa è l’altra e da quali proprietà sono definite. Insomma, quando conosco i due tipi di apertura.

Spiegazione b: esistono negli scacchi solo due tipi di libertà o la libertà del caso o la libertà della ragione e abbiamo visto che la libertà del caso non implica consapevolezza né responsabilità da parte della mente. I sostenitori del libero aribitrio devono dar conto di ciò: che o il libero arbitrio è frutto del caso oppure non è frutto di nulla. Se il libero arbitrio fosse determinato da qualcosa non sarebbe “libero”, se non fosse determinato da nulla non sarebbe nulla. Dunque, l’unica concezione del libero arbitrio che noi riusciamo a immaginare è la libertà del caso ( la democrazia del caso era molto apprezzata ai tempi dei greci: ad Atene ci fu un periodo in cui alcune cariche politiche, attraverso qualche ristrezione e particolarità, venivano affidate a caso ).

Spiegazione c: la ragione conosce le mosse, le sa definire, dunque determina idee all’interno della mente. La ragione è regolata dalla sua stessa natura, quindi non è determinata, nella comprensione, da altro che da se stessa: quando ragioniamo intorno alle mosse, siamo consapevoli delle mosse e delle loro proprietà. La libertà della ragione è quella di seguire la strada della nostra mente senza essere intralciata da altri.

Spiegazione d: può darsi che a qualcuno abbia notato che in questa discussione non c’è la “volontà” come capacità di determinare mosse. In un certo senso, essa non esiste. In effetti, le mosse o vengono da un ragionamento o vengono da un caso e abbiamo visto le conseguenze di tale differenza. La volontà, quindi, non è richiesta in una spiegazione delle proprie mosse e di quelle altrui: si può tranquillamente fare a meno della sua esistenza nella spiegazione e la natura ama il semplice e rifugge l’inutile.

Inferenza: se la mente pensa a partire dalla ragione o dal caso, se la volontà non è né caso né ragione allora la volontà non è una capacità della mente.

Tesi e: dunque la volontà non è una capacità della mente.

Inferenza: se la mente è ragione e caso, se la ragione implica lo svolgimento della natura della mente, se il caso implica lo svolgimento della mente a partire da qualcosa di esterno allora la libertà della ragione è quella di non essere costretta da altro che da se stessa, la libertà del caso è la democrazia del caso.

Tesi f: dunque la libertà della ragione è quella di non essere costretta da altro che da se stessa, la libertà del caso è la democrazia del caso.

Ipotesi 2: i problemi scacchistici nascono da una contraddizione.

Specifica a: la contraddizione è l’affermare una mossa e il suo contrario, una mossa e, nello stesso tempo, un’altra. Quando giochiamo è il problema più diffuso, quello cioè, di non saper che strada determinare, che mossa giocare.

Specifica b: la contraddizione determina sofferenza ( ciò pare abbastanza evidente ).

Inferenza: se i problemi scacchistici nascono da una contraddizione, se la mente pensa a partire dal caso o dalla ragione allora la contraddizione è affrontata o dalla ragione o dal caso.

Tesi g: dunque la contraddizione è affrontata o dalla ragione o dal caso.

Specifica a: ciò è abbastanza evidente dall’intero ragionamento.

Inferenza: se la contraddizione è affrontata o dalla ragione o dal caso, se il caso determina casualmente la mossa da giocare, allora il problema scacchistico è risolto dalla mente caotica a partire dalla democrazia del caso.

Tesi h: dunque il problema scacchistico è risolto dalla mente caotica a partire dalla democrazia del caso.

Spiegazione I: facciamo caso che, quando affronto le partite a caso, non sarò in grado di dare giustificazione delle mie mosse, ma mi appellerò, in qualche modo, alla mia ignoranza: “io credevo che…”, “io speravo che…” ecc.. In questo senso, la contraddizione della posizione non è eliminata ma “rimandata”: quando mi porterò in quella posizione nuovamente la contraddizione risorgerà intatta.

Spiegazione II: in tale realtà della mente sta la difficoltà per tanti di affrontare le cose con lucidità o di non volerle affrontare proprio. Molti dicono che la conoscenza causa dolore, in pieno accordo con i passi biblici dell’eclesiasta. La conoscenza causerebbe dolore perché sarebbe la causa della riconoscenza-di un errore o, magari, di una posizione in cui siamo molto combattuti tra giocare una mossa piuttosto che un’altra. Tale dolore sarebbe dovuto alla conoscenza e in tale giustificazione sta, per esempio, la fede di molti ragazzi che, privi di prospettive, rifuggono la conoscenza con l’assunzione incontrollata di droga, l’alcol e quant’altro.

Spiegazione III: in realtà queste persone non si avvedono di un fatto molto semplice: che solo la conoscenza può risolvere i problemi, solo affrontando le posizioni sconosciute, i finali scomodi, le trappole nelle aperture, si giunge ad una soluzione. I problemi sono della stessa natura della verità e, dunque, sono eterni e riposano in pace, a differenza della mente che li contiene[3].

Inferenza: se la contraddizione è affrontata o dalla ragione o dal caso, se la ragione conosce le mosse che sta giocando, allora il problema scacchistico è risolto in modo definitivo dalla ragione.

Tesi i: dunque il problema scacchistico è risolto in modo definitivo dalla ragione.

Specifica a: se la ragione è in grado di conoscere le mosse per quello che sono, dedurne di altre e conoscere i contesti di mosse, ciò varrà anche nell’affrontare il problema scacchistico. La ragione discernerà tra i due corni della contraddizione, tra il numero delle mosse, quella che migliore: che non significa la migliore in assoluto, ma quella che in quel momento e in quel contesto era effettivamente quella più confacente. La ragione ama relativamente la relatività ( una cosa è vera in un contesto, ma è vera! ).

Inferenza: se la contraddizione implica dolore, se la ragione pone la soluzione della contraddizione, se il caso mantiene aperte le contraddizioni allora la ragione elimina il dolore e produce piacere e il caso mantiene il dolore e ricerca tipi diversi di piacere.

Tesi j: dunque la ragione elimina il dolore e produce il piacere e il caso mantiene il dolore e ricerca tipi diversi di piacere.

Spiegazione I: che la ragione elimini il dolore è evidente perché elimina il problema di che mossa giocare e determina di per sé la migliore in una data posizione.

Spiegazione II: che la ragione produca piacere è mostrato dal fatto che essa svolge la natura della mente e basta. Primo: quando usiamo la ragione, sappiamo di essere “noi stessi”, individui del mondo, individui intelligenti. Secondo: siamo soddisfatti di noi stessi a prescindere che la partita sia stata vinta o persa perché sappiamo di aver dato il massimo e di aver imparato cose nuove. Terzo: in generale, tutti i piaceri della vita sono dovuti alla ragione: quando ascoltiamo una bella musica, ci piace perché la capiamo, quando vediamo una mossa giocata da un campione la apprezziamo perché la comprendiamo, gli amici li distinguiamo dagli altri perché li conosciamo. Quarto: la ragione elimina anche la solitudine perché rende capaci di trasmettere le proprie idee e di discuterle con gli altri. La ragione ama e richiama altra ragione.

Spiegazione III: il caso mantiene il dolore perché non elimina il problema, in secondo luogo ricerca piaceri che sono degli “antidolorifici”: esso mantiene senza mutare. In questo senso, chi rifugge il problema, si vede investito da esso. Inoltre, chi segue la strada della propria casualità, percettiva e istintuale, ricade necessariamente nella solitudine perché la percezione e l’istinto sono accessori puramente soggettivi e, dunque, incomprensibili a tutti, fuorché a se stessi.

Inferenza: se la ragione è in grado di eliminare le contraddizioni, se l’eliminazione delle contraddizioni implica l’eliminazione del dolore e produce piacere, allora la felicità è la strada solcata dalla ragione.

Tesi l: dunque la felicità è la strada solcata dalla ragione.

Specifica a: ciò tiene conto dell’infelicità diffusa tra gli ignoranti, che rifuggono la vita e la odiano.

 


[1] Parola da intendersi con la sua valenza propriamente matematica.

[2] Vedi Partita 4°.

[3] Altre considerazioni intorno alla questione più sotto.


Giangiuseppe Pili

Giangiuseppe Pili è Ph.D. in filosofia e scienze della mente (2017). E' il fondatore di Scuola Filosofica in cui è editore, redatore e autore. Dalla data di fondazione del portale nel 2009, per SF ha scritto oltre 800 post. Egli è autore di numerosi saggi e articoli in riviste internazionali su tematiche legate all'intelligence, sicurezza e guerra. In lingua italiana ha pubblicato numerosi libri. Scacchista per passione. ---- ENGLISH PRESENTATION ------------------------------------------------- Giangiuseppe Pili - PhD philosophy and sciences of the mind (2017). He is an expert in intelligence and international security, war and philosophy. He is the founder of Scuola Filosofica (Philosophical School). He is a prolific author nationally and internationally. He is a passionate chess player and (back in the days!) amateurish movie maker.

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