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E tu, che complottista sei? – Le radici filosofiche del complottismo


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Non sono un grande esperto delle teorie del complotto o complottismo, sia in campo politico che scientifico. Non solo non sono un esperto, ma non mi interessano per niente. Prima di tutto mi annoiano, in secondo non mi affascinano. Eppure hanno generato un impressionante dibattito nel mondo internazionale, giungendo addirittura al Jouranl of Philosophy in tempi non sospetti ma generando un vasto dibattito tra gli ivory towers philosophers, il che è tutto dire.

Sono stato, mio malgrado, coinvolto da questo fenomeno per via di alcuni miei amici, i quali invece sono curiosamente attratti da queste visioni alternative, il primo ne è un grande appassionato per ragioni ideologiche. Pur non credendoci sino in fondo (ma poi vallo a sapere!), egli vorrebbe crederci, ovvero assumerle come interpretazione standard della realtà, principalmente per andare contro la “visione dominante” secondo cui la scienza è l’unica religione possibile. Dove qui, effettivamente, con “scienza” si intende genericamente qualsiasi informazione passata come vera solo perché qualche istituzione statale ha pagato per la “ricerca”. Essendo il mio amico una persona intelligente, non riesce ad accettare questa sorta di narrativa per pseudo-adulti come qualcosa di vero o, perlomeno, di bello da credere. Effettivamente, credere che la verità sia un modulo burocratico difeso dalla polizia obiettivamente non desta molta appetibilità. Pur essendo io agli antipodi di questo modo di pensare, entrambi convergiamo in una visione assai critica di questa riduzione per infanti di quello che è il processo scientifico, che è fatto di esseri umani, soldi, burocrazia e marketing, come tutto il resto. Non perché necessariamente ci sia niente di meglio, ma perché questo non trasforma un’attività umana in una attività divina. Su questo, vorremmo dire, c’è poco margine di disaccordo.

Il secondo mio amico, invece, è interessato alle teorie del complotto perché sfidano il mainstream del sistema politico. Come in parte il primo, egli si prende rivincite sul “sistema” mostrando come le narrative alternative non siano poi né peggiori né più bislacche delle altre, solamente non hanno dalla loro parte la forza coercitiva di una istituzione che dalla sua parte ha la polizia, l’esercito e molti dei soldi dati alla ricerca.

L’esposizione a questi due amici, che sento piuttosto spesso, insieme a quella di un terzo, che mi diede un quadro più generale della situazione sulle teorie del complotto, ha fatto sì che abbia maturato un’opinione, per così dire, filosofica alle teorie del complotto, alla quale mi atterrò per quanto possibile pur nei limiti della mia ignoranza in materia.

La principale caratteristica delle teorie del complotto non è, a mio giudizio, la loro tesi. Ce ne sono per tutti i gusti della colorazione dello spettro politico, religioso o “scientifico”. Quindi, non è un tratto di alcuni. Dimmi la persona che sei, è ti dirò che complottista sarai. Esse hanno alcune caratteristiche comuni indipendentemente dalle idee che esse difendono. Prima di tutto, esse suppongono che il mondo sia intrinsecamente sbagliato, che esso non funzioni. Il malfunzionamento della società è evidente, ed è sempre stato facile trovare errori nelle interazioni tra esseri umani, tra umani e la natura e, soprattutto in loro stessi. Quindi, alla base di tutto c’è il chiaro riconoscimento di uno stato di fallimento. Tra l’altro, di fallimento, non necessariamente di degrado. Infatti, il fallimento è il rovescio di uno scopo, ovvero la negazione per mancato successo non per mancata intenzione. Il degrado è l’assenza di uno scopo qualunque per un certo tempo. E’ la rimozione dell’elemento intenzionale dalla persona. Le teorie del complotto non negano che il mondo potrebbe andare bene. Esse affermano che lo stato delle cose è fallimentare. Questo ha una portata addirittura metafisica, perché non si tratta di questo o quel fenomeno, ma di tutta la catena degli eventi che ha prodotto questa generale catastrofe. E questo ci porta ad un secondo punto.

I complottisti – ridotti qui all’insieme degli autori e dei sostenitori delle teorie – partendo dalla comune assunzione di fallimento universale, mantengono però l’idea che il mondo, appunto, potrebbe salvarsi. Ma questo richiede la giusta comprensione delle cose, che parte dal ricercare la radice del male. Qui, naturalmente, la varietà delle posizioni si diversifica, ma tutte mantengono di nuovo la comune idea che, quale che sia la risposta, essa è di natura umana e intenzionale. Ovvero, alcuni esseri umani sono alla base di tutti i mali del mondo. Questo insieme di persone è, in genere, raggruppato sotto categorie metafisicheggianti che ricordano gli angeli o i demoni del medioevo. Ovvero, si tratta di entità con chiare e manifeste intenzioni monomaniache il cui interesse è beneficiare se stessi al costo di tutti gli altri (innocenti). Si tratta del rovesciamento dell’innocenza, dove questa, sostanzialmente, è la permanente presenza di un’intenzione buona senza deviazioni dovute alle emozioni o interessi personali. La somiglianza agli spiriti medioevali è tanto maggiore se si pensa che, in genere, i complottisti riescono addirittura ad individuare uno e un solo super-colpevole. Il diavolo! No, certo, ma qualcosa che di fatto è come lui per potenza e malignità, che può essere un imprenditore miliardario, un politico oppure un gruppo scelto di persone unito da una volontà totale e comune, compatta e coesa che, dunque, ne fa di un individuo de facto. Se questo insieme di maligni non ci fosse, se il maligno supremo non si desse, naturalmente, il mondo sarebbe una festa. Ma la sua presenza rende il mondo quello che è, come logica e completa conseguenza.

Quindi, il fallimento generale della società e il maligno (o i maligni) che ne stanno a causa. A questo si deve aggiungere che, come il diavolo, anche i super-cattivi hanno la capacità di negarsi, di non mostrarsi e di celarsi dietro vite normali. E come il diavolo, di fatto nessuno lo può sconfiggere ma ha convinto tutti gli altri che lui “non esiste”, come infatti si direbbe per Kaiser Soze, personaggio immaginario de I Soliti Sospetti. Infatti, altra caratteristica tipica del genere, le teorie del complotto sono, appunto, teorie. Non sono breviari per rivoluzionari, non sono metodi di guerriglia. Sono quello che dicono di essere: delle speculazioni la cui utilità può rintracciarsi principalmente nella loro capacità di affascinare e sub condicione spiegare la realtà. Non servono a niente in particolare, se non, come vedremo, ad alleviare l’impotenza percepita degli animi che si considerano innocenti.

Così facciamo il punto della situazione:

  • Le teorie del complotto sostengono una sorta di fallimento generale della società umana.
  • Esse richiedono la presenza di entità maligne intenzionalmente.
  • Esse presentano l’entità maligna come non sconfiggibile de facto.
  • Esse mostrano come e perché costei agisca nel mondo.

Benissimo, e allora? Quale è la causa delle teorie del complotto?

Dunque, da puro spettatore disinteressato quale indubbiamente mi posso considerare, la mia spiegazione richiede un parallelo. Nei manualetti per spiegare cosa parrebbe che i filosofi abbiano scritto, si dice spesso che le filosofie post-aristoteliche siano tutte dominate da una sorta di utilitarismo, ovvero l’idea che esse debbano avere lo scopo concreto di aiutare la gente a stare bene (la filosofia con utilità, quale eresia!). La filosofia come medicina dell’animo. Il farmaco può variare, ma lo scopo rimane lo stesso. Gli storici della filosofia molto sommariamente rintracciano questo fenomeno nell’ascesa di Roma e dell’impero di contro alle autonomie regionali e locali precedenti. E se non Roma, almeno l’impero di Alessandro e la successiva suddivisione in quattro grandi regni. Ora, va da sé in questi grandi aggregati politici l’individuo medio sia all’incirca irrilevante. Non come nelle polis (eh, ma certo!) dove tutto era a dimensione umana e dove “ogni cittadino” (purché non donna, non schiavo, non liberto, ma capace di portare le armi…) aveva un diretto impatto sulla comunità, a tal punto che Platone riuscirà a fondare una intera filosofia che nega questa visione incantata della Grecia antica riuscendo a garantire una giustificazione a totalitarismi di destra e sinistra… Non come nella Roma monarchica, dove tutti conoscevano il proprio vicino. Negli imperi si ha a che fare con genti lontane, di cui si ha diffidenza ma fanno pur parte della stessa compagine politica. Solo alcuni, rari individui hanno davvero la facoltà di influenzare le sorti dell’impero a tal punto che, i pochi, ce li ricordiamo dagli altri manualetti, quelli di storia, che ne fanno un – di fatto – breve elenco. E agli altri cosa rimane? Tendenzialmente, se non sono abbastanza ricchi o abbastanza influenti politicamente, rimane guardare passivamente impotenti.

Il complottismo è la risposta moderna all’inutilità dell’individuo di fronte alle grandi strutture politiche o economiche statali e interstatali il cui funzionamento è tanto cieco e tanto imperscrutabile da rendere ogni sforzo di cambiarli assolutamente vago e vano. Cambiare uno stato come l’Italia? Ma non si capisce neppure da dove cominciare! L’impotenza di dover ascoltare sempre qualcuno che ne dovrebbe “sapere di più”, l’impotenza di non poter cambiare la propria vita, di non poter aiutare i figli a trovare un lavoro, di non poter mai ribattere alle infinite inefficienze e ingiustizie, la fatica di una professione che non si è scelto e sicuramente mai desiderato, ne voluto e magari neppure garantisce stabilità, l’incertezza dei moduli, la vanità dei tribunali, l’inutilità delle tecnologie che dovrebbero salvarci la vita… Per l’essere comune, per la vita normale di chi è nato e cresciuto in questo contesto, sono così tanti fatti ordinari che sembra che tutti ce l’abbiano proprio con lui, quell’insignificante individuo che pure si sbatte così tanto per sopravvivere. Insignificante, eppure tutto rema contro di lui o lei, specialmente e soprattutto contro e intenzionalmente lui o lei. Eppure “si dice” nei “media”, nella “politica” nella ciarla che tutto funziona, che dove c’è Barilla c’è casa. Ci deve dunque essere una spiegazione migliore! Tutto questo deve essere stato studiato da qualcuno, supremamente furbo, tanto è che non si vede e non si può mai catturare, ma, tant’è, ci deve pur essere!

L’impotenza è il primo stimolo, il più primordiale, al quale si associa la sfiducia e il cinismo. Dopo averle sentite tutte, ma senza aver mai avuto alcun impatto sulla realtà, che rimane, dunque, all’immaginazione? Quella di immaginare una logica. Se supponiamo la presenza di un maligno, di un’entità malvagia che macchina sempre ai nostri danni, ai nostri ma anche dei nostri cari, si incomincia a capire meglio perché tutto deve sempre essere così mediocre, fallimentare, cadaverico. E allora si scopre che la teoria del complotto non è la vittoria della stupidità, ma una sorta di rivincita di quella libertà castrata dall’impotenza quotidiana, dalla dissoluzione dei valori comuni che si fanno ancora finta di difendere solo per salvare la faccia. Come quando Shostakovich si salvava con della musica grottesca, in cui alla base sta lo sbigottimento dell’incredulo di fronte al male, così i complottisti vincono la loro vita generando allucinazioni che potranno essere vere o false. Ma almeno possono anche essere autentiche.


Giangiuseppe Pili

Giangiuseppe Pili è Ph.D. in filosofia e scienze della mente (2017). E' il fondatore di Scuola Filosofica in cui è editore, redatore e autore. Dalla data di fondazione del portale nel 2009, per SF ha scritto oltre 800 post. Egli è autore di numerosi saggi e articoli in riviste internazionali su tematiche legate all'intelligence, sicurezza e guerra. In lingua italiana ha pubblicato numerosi libri. Scacchista per passione. ---- ENGLISH PRESENTATION ------------------------------------------------- Giangiuseppe Pili - PhD philosophy and sciences of the mind (2017). He is an expert in intelligence and international security, war and philosophy. He is the founder of Scuola Filosofica (Philosophical School). He is a prolific author nationally and internationally. He is a passionate chess player and (back in the days!) amateurish movie maker.

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