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Lo “strike” sul tappeto dell’astrattismo

(courtesy to rivista Kritika, che in origine aveva pubblicato questo articolo)

 

A Venezia, presso il celebre Palazzo Grassi, è visitabile (dal 7 Aprile al 31 Dicembre) la mostra personale “Rudolf Stingel”. Egli vi ha portato una trentina di dipinti, sia astratti sia figurativi (in cui si citano alcune sculture del passato, sulla loro base fotorealistica). L’esposizione, curata dallo stesso Stingel (assieme al critico d’arte Elena Geuna), “colpisce” il visitatore soprattutto nel suo allestimento. Tutte le stanze del Palazzo Grassi sono state (per la prima volta) ricoperte da un unico tappeto. In particolare, l’artista vi ha stampato l’immagine d’un motivo “pseudo floreale ed araldico”, orientaleggiante, di colore rosso. E’ la sua citazione d’un tradizionale tappeto, il quale simbolicamente spinga i visitatori a “volare” con la fantasia.

Nei dipinti astratti di Stingel, pare che la tela si faccia “strizzare” (assumendo dei rilievi). E’ lo sforzo della rammemorazione, contro la perdita del passato. I rilievi diventeranno una “rivelazione sinaptica”. Il ricorso al tono “metallico” del grigio (complice l’argento) “rivaluterebbe” il mero annebbiarsi dell’oblio. A questo si conferirà “l’improvvisa ed improvvisata” brillantezza dell’immaginazione fantastica. Così il grigio si percepirà “volando” oltre se stesso, tramite le “faville svanenti” dell’argento. Il tappeto permette idealmente di modellare il duro pavimento, facilitando il nostro camminamento. E’ l’illusione di percepire la “leggiadria” del volo, forse, quando gli arti “fluttueranno” nell’aria. Ricordiamo che spesso il pavimento si ricopre con le mattonelle. Aventi una “freddezza” biancheggiante o ramata, quelle saranno ammorbidite sulla nuova “terra svolazzante” del tappeto, in grado di piegarsi (per i colpi di vento) e “bruno” (rivitalizzato dai motivi pseudo-floreali: quali le foglie, i fusti, le cortecce ecc…). I dipinti di Stingel assegneranno alla “durezza” dell’oblio (nella “nebbiosità” del passato, contro la trasparenza del presente) letteralmente una sospensione che “si rimodelli” (si forgi) continuamente in se stessa. Un tappeto paradossalmente “sovraccarica”, rispetto al suo pavimento. Ma nel contempo il nostro piede si sentirà accomodato. E’ una sospensione del pavimento, nel suo rimodellarsi per noi. Nell’uomo, la memoria sempre “si sovraccarica” dei dati esperenziali. Ma questi si sospenderanno, sul trapassare del tempo. Forse, l’immaginazione fantastica sarà “argentea” nella misura in cui noi la percepiamo a “forgiarsi”. Una vera e propria “favilla” della rammemorazione, contro il “grigiore” della dimenticanza. L’immaginazione fantastica si dà nell’improvvisazione. E’ una sospensione della memoria storica, la quale “risplenderà freddamente”. L’immaginazione fantastica quasi “appesantisce” la realtà empirica. La prima “sovraccarica” la seconda, ma positivamente forgiandola. Con l’immaginazione fantastica, tutta la “freddezza” della virtualità (nel suo astrattismo) paradossalmente si rivitalizzerà. L’argento in natura è il metallo che meglio conduce il calore e l’elettricità. L’organismo vivente sempre si forgia, oltrepassando le varie fasi della sua crescita. Stingel dunque esibisce una sorta d’astrazione che “voli” verso la “fantasia” d’una ri-configurazione. L’argento è un metallo molto duttile o malleabile. Nei dipinti di Stingel, esso si percepirà come… “il tappeto volante” fra la “nebbiosità” dell’oblio e la “lucidatura” della rammemorazione. Artisticamente, sembra che lui avalli una possibile “metallurgia” della figurazione. Un tappeto permette al coevo pavimento di rimodellarsi, almeno a vantaggio dei nostri piedi, “ammorbidendone” il passo. Stingel persino lo farebbe “svolazzare”, tramite “l’accensione” rivitalizzante del “grigio” oblio, nella sua improvvisazione “argentata”. Quando l’incudine sostiene la matrice malleabile, il fabbro lo percuote col martello. Nei dipinti di Stingel, si può immaginare che l’astrattismo “si scarichi” sulla figurazione. E’ il momento in cui compariranno i rilievi. Con questi, l’astrattismo “avrà percosso” se stesso, “cavalcando” verso la sua ri-configurazione. Guardando da vicino i dipinti di Stingel, pare che le linee virtualmente “coagulino”. D’inverno, una cappa di nebbia forgerebbe la volta celeste, “appesantendola”. Stingel avanzerebbe una “coagulazione” dell’astrattismo, da rivitalizzare se non altro con l’improvvisazione fantastica. L’argento si percepisce nella “freddezza” della sua lucidatura. Un pittore classicamente informale come Emilio Vedova ci esibiva il “battito” delle linee astratte, fra di loro. Ora Stingel avrebbe provato letteralmente a “tappezzarle”, come se quelle potessero “rimodellarsi”. Le linee informali non “batteranno” contro l’interiorità del visitatore (come per Vedova), bensì oltre il proprio astrattismo.

Nel bowling, si sa che vinceremo ottenendo lo strike. Ciò avviene quando tutti i birilli siano abbattuti al primo tiro. I dipinti di Stingel si percepirebbero nello “strike” delle linee informali, tramite “l’improvvisazione” d’un “grigio oblio”, che si rimodelli (si forgi) con l’argento. Forse, il bowling davvero simboleggia la metallurgia. I birilli vanno (ab)battuti, con “l’incandescenza” dell’agonismo. Dopo l’improvvisazione dello strike (in cui il giocatore può solo sperare!), avviene un rimodellamento. I birilli non resteranno a terra, nel loro “oblio” (nascosti dentro la buca). Li vedremo “coagulare”, cavalcati dal posizionatore automatico, per ritornare in gioco. Se il tappeto può avvolgere un pavimento, quello fantasticamente volante quantomeno “strizzerà” il cielo. D’inverno, il grigiore della nebbia “appesantisce” l’aria. Questa s’arresterà nella cappa. Sfavillante in via argentata, il grigiore dell’aria per Stingel si percepirà fantasticamente nel suo “volo” verso il “rimodellamento” del cielo. L’artista esibisce davvero un tappeto “avvolgente” la nebbia, per “attenuarne” l’oblio. E’ un astrattismo che ri-entra continuamente in se stesso, non solo “contro” la nostra sensibilità visiva (come per Vedova). Stingel esibisce “l’accavallarsi” delle linee informali, sfavillanti “oltre” ogni “cappa” dell’oblio (sul necessario trapassare della storia).

Deleuze ama la filosofia del vitalismo. In esso i singoli enti (materiali od astratti) si danno come tali perché “allargati” (tesi) gli uni verso gli altri. L’intera realtà va percepita nel divenire di sé. I singoli enti s’annullano fra di loro (differenziandosi), nell’apparenza d’allacciare “l’accensione” della vitalità al suo “scarico” nell’inorganico. Per Deleuze, noi potremo seguire il “flusso” universale tramite il “modellamento” della percezione. E’ il momento in cui il pensiero logico ha un senso, nella sua “situazione contestuale”. La soggettività accentra in sé l’esteriorità del mondo. Ma la prima necessariamente si trova ad essere, dipendendo così dalla seconda. Per Deleuze, il pensiero logico abilitato ad inseguire il divenire della realtà (sia materiale sia astratta) si percepirebbe come il “modellamento” artigianale. Qualcosa che persino ricordi il girovagare. La mano del fabbro, ad esempio, è in rotazione sulla superficie del metallo grezzo, dovendola forgiare. Il fluxus universale degli enti si percepirà in chiave macchinosa, “scaricando” ciascuno di quelli (al momento della loro differenziazione). Qualcosa che ci evochi il modellamento in metallurgia. Pare che il fabbro dia una sorta “d’itinerario” alla sua matrice. Questa sarà letteralmente spostata “di qua e di là”. Deleuze avanza la fenomenologia dello spazio “liscio” o “striato”. Le mani del fabbro restano continuamente “sulla soglia” della matrice. Nello spazio striato, i fili della trama saranno mobili, passando sopra e sotto quelli fissi dell’ordito. Visivamente, i primi allargherebbero “l’accensione” dei secondi. La verticalità dell’ordire “si spezzetterebbe”, nella profondità del tramare. Allora la prima tornerà “all’indietro” su di sé, passando sopra e sotto la seconda. L’ordito nella trama alla fine consente di percepirvi una dimensione ad “intervalli”. Il fabbro avanza un modellamento dove la matrice metallica letteralmente passa “sopra e sotto” a se stessa, nel suo “accavallarsi”. Forgiando qualcosa, noi ne “distendiamo” gli intervalli “battenti”. La base metallica diventa uno spazio liscio continuamente “sventolato” in se stesso. Il modellamento si percepisce come una deformazione “per eccedenza”. E’ quasi la parabola dello sventolio. Qualcosa che rientri in se stessa passando tramite il suo allargamento (eccedendosi). Nella forgiatura, lo spazio liscio della matrice si fa striare… “sventolandosi”. E’ come se il metallo prendesse il “possesso” di sé. L’attrezzo battente del fabbro non “spezzetta” la matrice, bensì vi ri-entra (grazie al modellamento). La metallurgia diviene per Deleuze una metafora del fluxus universale fra gli enti, perennemente “aperti e chiusi” per “l’eccedenza” del proprio differenziarsi. Anch’essi paiono virtualmente forgiati. Il fluxus universale degli enti si dà nel loro “sventagliarsi”. La “tessitura” della differenziazione va percepita solo nel ri-entro di se stessa. Deleuze scrive che la metallurgia, grazie al suo modellamento, quasi rievoca l’armonizzarsi fra le note musicali. Essa pare la “coscienza” della realtà materiale. Potendo ri-entrare, tramite il modellamento, la matrice metallica prenderebbe “possesso di sé”, come nella propria autogiustificazione. Se la mente pare liscia (in quanto indeterminata), facendosi striare da tutti i singoli pensieri (con gli inquadramenti del concettualismo), la coscienza si percepirà come “l’accavallarsi” dei secondi sulla prima. Per Deleuze, la metallurgia simboleggia degnamente il fluxus universale degli enti, perché i sali minerali favoriscono la vitalità sia vegetale sia animale. Assimilandoli, il fusto od il corpo si percepirà quasi “forgiando” se stesso.

Valutiamo il dipinto di Stingel Untitled 2012 (ad olio e smalto su tela). Il suo tono è “classicamente” grigio, ma d’una sfumatura più chiara, verso il “biancheggiamento”. Le pennellate informali si scorgono principalmente in alto, e “scaricano” al centro il loro rimodellamento (quasi “coagulandosi”). E’ credibile percepire in quelle lo “strike” dell’astrattismo, nel suo “ri-entro” in se stesso. La distensione del colore ci pare a strattonare la tela, come i birilli che… “sfavillino” sulla pista (una volta abbattuti). In mezzo, l’accavallarsi delle linee informali avvierà il ripristino d’una figurazione: almeno, geometricamente? Nel bowling i punti per la vittoria si calcolano in base a quanti birilli sono stati colpiti. Il fabbro, forgiando il metallo grezzo, all’inizio deve adoperare il martello. Anche il bowling conoscerebbe esteticamente la dialettica deleuziana fra lo spazio liscio e quello striato? I birilli sono preparati con una triangolazione. Rinveniamo una striatura, che poi la boccia dovrà urtare, passandovi visivamente sopra e sotto. I birilli si cavalcheranno gli uni sugli altri. Nella metallurgia, “l’accensione” della matrice grezza (e così “astratta”) ne avvierà il rimodellamento. Qualcosa che si percepisca come il “contrassegno” d’una figurazione. Nel modellamento, la matrice grezza ri-entra continuamente in se stessa. E’ il suo contrassegnarsi. Il fabbro batte col martello per ri-configurarlo. Si può dire che la forgiatura letteralmente “faccia il punto della situazione”, in merito alla sua matrice “astrattamente” grezza. Qualcosa che ri-entri certo si stria sopra e sotto a se stessa. Essa visivamente farà “il punto” della sua situazione. Il dipinto di Stingel Untitled 2012 esibisce uno “strike” dell’astrattismo informale. Esso forgerebbe “il punto della propria situazione”, provando a rivitalizzarsi… “freddamente” (nella fantasia che il grigio risplenda, tramite l’argento).

Di Stingel c’è un secondo dipinto Untitled 2012 (ad olio e smalto su tela). In esso, pare che il consueto “strike” delle linee informali possa forgiare un paesaggio naturale. In mezzo avremmo una dorsale montuosa, e sotto forse un prato, oppure persino una città… Pare che le linee informali qui “si rimodellino” non tanto nella loro “coagulazione”, bensì “depositandosi”. La parte inferiore del dipinto (laddove “avremmo” l’ambiente prativo od urbanizzato) ha la tela stracciata. Sarà facile percepirla nel “deposito” di se stessa. Se più in alto le linee informali avessero “battuto contro” la figurazione, adesso la stingeliana “metallurgia” dell’astrattismo ce ne lascerebbe i “sali minerali”. Piace la fantasia dell’urbanizzazione, per l’inevitabilità della cementificazione. L’artista provvede a rivitalizzare l’astrattismo informale, “accendendolo” mediante la sua forgiatura. I sali minerali favoriscono la crescita sia vegetale sia animale. Questa è facilmente percepibile come nel ri-entro della vitalità (che “si forgerà”). Esteticamente, i “sali minerali” dell’astrattismo diventeranno le “ceneri” della sua “accensione”. Queste si depositerebbero, sul continuo ri-entro verso la “forgiatura” della figurazione. Nel secondo dipinto Untitled 2012 percepiamo lo spazio striato delle pieghe “pseudo-montuose” (sopra), col correlato liscio del probabile manto (in basso), erboso o stradale. Stingel conferma la sua propensione a raffigurare l’accavallamento. Le pieghe “pseudo-montuose” si percepiranno nello “strike” delle linee astratte, a “sfavillare” verso il ri-entro della forgiatura. La mano del fabbro “perdura a depositarsi” sulla matrice grezza, per esempio visivamente palpandola.

Al Palazzo Grassi di Venezia, Stingel espone pure un’altra serie di dipinti, citanti certe sculture, d’epoca lontana. Egli utilizza la tecnica del fotorealismo. Simbolicamente, pare che così la raffigurazione voglia riappropriarsi di se stessa (dall’antichità al presente). Torna la percezione estetica del deposito. Guardiamo il dipinto Untitled 2011 (ad olio su lino). Il mezzobusto umano quasi subirebbe il consueto “strike” delle linee astratte, qui “pericolosamente” incise sulla pelle (causandone il sanguinamento). Ciò accade in primis nella gola, e più velatamente sulla tempia destra. Noi saremo spaventati, credendo che il mezzobusto da un momento all’altro possa andare in frantumi. La muscolatura del volto, guardata insieme ai taglio in gola e sulla tempia destra, si renderebbe pallida o forse cianotica (dopo un grave soffocamento). L’arte ri-entrerà infinitamente in se stessa, senza distinguere il classicismo dall’avanguardia (percepiti quasi nel loro sottosopra)? Il depositabile favorevolmente è sempre (anche) riprendibile. Una statua ad esempio assumerebbe in sé la grande illusione di riportare “in piedi” qualcuno, che realisticamente manchi. Ad essa, s’accompagna l’utile colonna. Ma è un ri-entro solo virtuale, “di facciata”. Modernamente, il sistema dell’arte contemporanea tende a favorire il deposito nelle gallerie e nei musei. Sembra che questi funzionino come le banche, per il denaro… Quantomeno sul dipinto Untitled 2011, la rivitalizzazione dell’arte classica, mediante la “fredda” lucidatura dell’argento (un materiale caro alla produzione seriale, col postmoderno!), perdurerebbe in chiave negativa a “ri-entrare” nella necessità che il tempo passi. Il mezzobusto è drammaticamente ferito, parendo sul punto di rovinarsi. Forse, Stingel ha ironizzato contro il deposito dell’arte istituzionalizzata (nelle gallerie o nei musei). Questo comunque ferisce la libertà espressiva.

C’è un terzo quadro Untitled 2012 (ad olio e smalto su tela), in cui da un monocromo grigio (a sinistra) si passa ad una decorazione “pseudo floreale od araldica” (sia in centro sia a destra). Stingel di frequente infonde la suggestione estetica che il suo astrattismo si forgi “facendo riaffiorare” la figurazione. La decorazione del quadro sarebbe stata sommersa, almeno simbolicamente, tramite la “nebbiosità” dell’oblio. Recuperiamo la percezione estetica per cui, nella fucina del fabbro, il modellamento deriva dallo “sventolarsi” delle faville (che continueranno a ri-entrare sulla matrice). Nel nuovo dipinto di Stingel, vediamo che l’astrazione a sinistra poi si straccerà (sia in mezzo sia a destra), scoprendo l’ornamento. Sembra che la prima si sventoli sul secondo. L’astrazione passerà “sotto” di sé, facendo riaffiorare una figurazione sommersa, dove curiosamente i motivi pseudo-vegetali si specificherebbero nelle alghe. Immaginiamo che la caratteristica atmosfera “pesantemente grigia” quasi possa “mareggiare”. Così, davvero l’astrazione a sinistra avvierebbe il “ri-entro” di se stessa… nei “fondali” della figurazione. Esteticamente, il nuovo dipinto di Stingel avrà un simbolismo più psicanalitico. La coscienza ri-entra nei “fondali” del proprio inconscio.


Paolo Meneghetti

Paolo Meneghetti, critico d’estetica contemporanea, nasce nel 1979 a Bassano del Grappa (VI), città dove vive da sempre. Laureato in filosofia all’Università di Padova (nel 2004), egli ha scritto una tesi sull’ estetica contemporanea, in specie allacciando l’ ermeneutica di Vattimo alla fenomenologia francese (da Bachelard, Bataille, Deleuze, Derrida). Oggi Paolo Meneghetti scrive recensioni per artisti, registi, modelle, fotografi e scrittori, curando eventi (mostre o conferenze) per loro, presso musei pubblici, fondazioni culturali, galleristi privati ecc... Egli in aggiunta lavora come docente di Storia e Filosofia, presso i licei del vicentino.

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