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Tag: Richard Nixon

La filosofia e il linguaggio politico cinese. La riscoperta di Confucio e i limiti filosofici della nostra comprensione della Cina [1/3]

Confucius by Wu Daozi – Louis Le Grand, 29 novembre 2012, https://www.worldhistory.org/image/970/confucius-by-wu-daozi/

Definire il problema: l’analisi filosofico-politica della Cina e l’eurocentrismo filosofico nelle relazioni internazionali.

Nell’analisi filosofico-politologica del mondo contemporaneo, e in particolare nelle riflessioni sulla politica internazionale e sulla diplomazia, persiste in Occidente un profondo bias cognitivo e culturale nei confronti del mondo asiatico. Questo limite si rivela in modo particolarmente evidente nel caso della Cina, destinata secondo molti a diventare la maggiore potenza globale del XXI secolo. La scarsa familiarità con la tradizione filosofico-politica cinese produce fraintendimenti sistematici, sia nell’interpretazione delle dinamiche interne del potere cinese sia nella valutazione delle sue scelte strategiche in ambito internazionale. Quando si tratta di analizzare il contesto politico occidentale, si ricorre con disinvoltura a categorie concettuali appartenenti alla nostra tradizione filosofica – da Hobbes a Locke, da Machiavelli a Jefferson – generando un discorso ridondante e cristallizzato, spesso incapace di produrre reali chiavi di lettura della complessità contemporanea. Al contrario, quando si osserva la Cina, l’assenza di una solida conoscenza della sua cultura filosofico-politica porta a una lettura superficiale ed “esotica” del suo vocabolario filosofico. In questo quadro, l’uso pubblico che Xi Jinping e il Partito Comunista Cinese fanno di Confucio rappresenta un caso emblematico. Il richiamo alla tradizione confuciana viene spesso interpretato in Occidente come un’operazione estetica o propagandistica, senza coglierne la funzione reale nella costruzione di un modello politico autoritario, ma culturalmente radicato. L’obiettivo di questo studio è duplice: da un lato, analizzare criticamente l’uso politico della tradizione confuciana nella Cina contemporanea, con particolare attenzione ai discorsi ufficiali di Xi Jinping; dall’altro, interrogarsi su come questa ripresa selettiva e ideologizzata della filosofia classica sia inquadrabile all’interno della tensione tra confucianesimo e Legalismo, prendendo come riferimento il pensiero di Han Fei. Il confronto tra Confucio e Han Fei consente di evidenziare come il potere cinese contemporaneo si muova tra due poli: da un lato, l’ideale armonico e gerarchico del primo; dall’altro, il pragmatismo autoritario del secondo.

Cina – Henry Kissinger

Kissinger, Henry, (2011), On China, New York: Penguin

Kinssinger, Henry, (2011), Cina, Milano: Mondadori


On China è un libro di Henry Kissinger, uno dei maggiori intellettuali americani, diplomatico e segretario di stato durante la presidenza Nixon. Il testo è stato tradotto da Mondadori nell’anno di uscita del volume, il 2011. Si tratta di un libro fondamentale per chiunque voglia farsi un’idea della storia della Cina negli ultimi sessant’anni e, soprattutto, per chiunque voglia comprendere l’evoluzione della complessa relazione tra la Cina e gli Stati Uniti, relazione a tratti conflittuale e a tratti convergente, destinata a improntare l’evoluzione politica, diplomatica ed economica del XXI secolo.

Kissinger inizia ripercorrendo a grandi falcate la storia della Cina sino alle guerre dell’oppio e alla successiva caduta dell’impero Qing, ultima dinastia imperiale cinese. Anche se obiettivamente si comprende che questo “preambolo storico” sia appunto funzionale all’analisi dell’evoluzione della storia delle relazioni internazionali successive, cioè ad inquadrare il complesso rapporto tra Cina e US e la “rivoluzione diplomatica” del 1970-1971, esso è comunque davvero utile proprio per la sua estrema essenzialità. La storia della Cina è un universo la cui indagine è obiettivamente onerosa (e doverosa) per comprendere la natura della sua evoluzione e il peso della sua cultura all’interno del mondo complesso della contemporaneità. Tuttavia, non è sempre possibile dedicare ugual tempo a qualsiasi tematica, e quindi è utile e prezioso avere una analisi a grandi linee ma molto precisa e chiara che aiuti all’inquadramento del tema dominante. Nessuno meglio di Kissinger riesce in questo genere di operazioni.

4. Détente o non détente: il dilemma del ventennio di Leonid Brezhnev e la stagnazione

[Vuoi leggere un intero libro sull’argomento scritto dall’equipe di Scuola Filosofica? Allora leggi La guerra fredda – Una guida al più grande confronto del XX secolo]


 

Nikita Kruscev si era spinto troppo in avanti nella crisi di Cuba e aveva incrinato i rapporti con il colosso cinese, la cui qualità nasceva principalmente dalla quantità. A seguito di ciò e del fatto che Kruscev era capace di prendere anche iniziative isolate dall’élite, si tramò alle sue spalle. L’organizzazione del complotto portò Leonid Brezhnev (1906-1982) al potere.

Leonid Brezhnev era stato uno dei principali sostenitori di Kruscev, ma questo non gli impedì di conquistare il comando dell’URSS. Kruscev fu semplicemente ‘invitato’ a uscire fuori dalla scena politica, un sistema che egli stesso ricordò amaramente, sostenendo che il suo contributo alla causa era stato rendere possibile un simile fatto senza rischiare, come sotto Stalin, di finire direttamente in un gulag. Sicché egli rimase in vita, gli venne concessa una pensione di stato e una casa. Quando, poi, iniziò a scrivere le sue memorie, data la natura delle stesse, la pensione fu ridotta e fu costretto a cambiare casa e la nuova dimora non era piacevole come la precedente. Ad ogni modo, dopo un iniziale scoramento, Kruscev ebbe modo di terminare la sua vita in pace.