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La vittoria non è un accidente – Parte 2

“Nessun vento è buono per chi non sa dove andare”

Seneca

Tra la fine del XIV secolo e la fine del XV, in Europa occidentale avvengono una serie di fenomeni economici e, conseguentemente, sociali, che modificano radicalmente la storia del continente europeo. Emerge il fenomeno definito dagli studiosi “economia- mondo”, ovverossia lo sviluppo di un mercato internazionale. Esso accompagnerà e caratterizzerà la storia del mondo per i successivi cinque secoli, culminando con due guerre mondiali e l’affermarsi di un sistema di egemonia bipolare.  Dopo la pesante crisi del XIV secolo ricomincia a crescere la popolazione, ma nei secoli XIII e XIV si era assistito anche ad un altro fenomeno, la progressiva esplosione del commercio, lana, coloranti, tessuti, minerali, sia all’interno dell’Europa che verso e dall’oriente. Quest’ultimo era arrivato come “scoperta” di fonte di prodotti preziosi, a seguito delle crociate. Il regno latino d’oriente era stato un fallimento politico-strategico, ma aveva messo in comunicazione le ricche civiltà d’oriente, dominanti sul mondo medievale, con la meno ricca ma ambiziosa civiltà dell’Europa, dove i nascenti Stati nazione e le famiglie più ricche (nobili e nuovi ricchi borghesi) domandavano oro, pietre preziose, seta, spezie. Questo creò un intenso flusso finanziario e monetario nelle due direzioni; le scoperte geografiche, avviate da Spagna e Portogallo, crearono le disponibilità di metalli preziosi, necessari per supportare questi flussi commerciali. L’Europa dispose finalmente delle risorse necessarie ad organizzare gli Stati moderni, in particolare per creare strutture militari che permettessero sia l’espansione, che la stabilizzazione di organismi politici statuali. Questi eserciti, composti da professionisti specificamente addestrati, forniti di armi da fuoco e di tattiche di combattimento coerenti con queste, combatterono le guerre di affermazione degli Stati moderni: Guerra dei Trent’anni; guerre di successione Spagnola, Polacca, Austriaca, la Guerra di Devoluzione, e (last but not least) la Guerra dei Sette Anni, prima guerra definibile “mondiale”, non a caso essendo un conflitto scoppiato per ripartirsi il mercato mondiale appena sorto. In queste guerre si resero rapidamente necessarie capacità organizzative, logistiche e finanziarie; la guerra divenne così sempre meno affare da soldati e sempre più politica, nel senso più ampio del termine.  A rompere il monopolio Regio e Privato dei campi di battaglia ci pensò la Rivoluzione Francese e, in un modo un po’ diverso, la guerra d’indipendenza americana. Chi aveva fino a quel momento pagato per permettere ai Re di allargare i loro possedimenti, decise di averne abbastanza, al di là delle romantiche fantasie su sanculotti e popoli che assaltano castelli, e la borghesia prese il controllo dello Stato. Visto che l’industria rendeva sempre più disponibili nuovi e semplici strumenti per ammazzare il proprio prossimo, si pensò che fosse opportuno mandare a morire anche quel popolo nel nome del quale si affermavano le idee illuministe delle “rivoluzioni”. Gli eserciti di leva cambiarono ancora le regole del gioco. Logistica, organizzazione, mobilità, divennero le chiavi di volta della vittoria, ma a scontrarsi nel fango di Waterloo e sui ghiacci degli stagni di Austerlitz furono contadini di professione, in svariate maniere inseriti entro eserciti sempre più grandi. Napoleone vinse fino al 1815, perché la sua artiglieria era migliore di quella degli altri; la sua tecnologia di gestione delle risorse umane e non, era migliore di quella degli altri, i suoi piani di battaglia erano preparati con estrema razionalità. Finì per perdere essenzialmente perché non riuscì a rompere il blocco che l’Inghilterra impose all’Europa con la Royal Navy, anche se Napoleone pensava di essere lui a bloccare la perfida Albione.

Tra 1815 e il 1914 l’Europa divenne il centro del mondo, fu l’imperialismo a renderla tale, permettendogli di conquistare rotte commerciali, punti strategici, territori vergini ricchi di ogni genere di risorse naturali e materie prime, lo fece sugli scafi delle cannoniere a vela e poi a vapore, sulla carta degli strumenti finanziari e dei contratti commerciali e sulle ali di ideologie variamente configurate ai fini del successo del modello occidentale. Qua e la,  le guerre di affermazione degli stati nazionali, a volte quasi delle guerre locali, come quella franco-prussiana, quella anglo-boera; quella Russo-Giapponese e soprattutto la guerra civile americana, davano un ruolo sempre più essenziale agli aspetti tecnologici e organizzativi della guerra, attraverso il crescere del ruolo della potenza di fuoco, togliendo alla affascinante manovra di origini Federiciane (Federico II di Prussia) il compito di conseguire la vittoria. Quest’ultima non volava sulle ali di Nike, ma semmai su quelle di Mercurio, dio del commercio ed anche dei ladri. Il più importante segnale che la guerra sarebbe stata, in futuro, un affare di colate d’acciaio, di treni e potenti navi a vapore, arrivò dagli Stati Uniti, dove una civiltà agraria e basata su mercati aperti, quella sudista/schiavista, fu spietatamente schiacciata da quella del nord, industriale, protezionista e razzista quanto e più di quella del sud, ma meno anacronistica. La cavalleria di Sherman, i treni di Grant, i fucili e i cannoni ad anima rigata e le corazzate della US. Navy, dimostrarono che solo possedendo una industria potente ed avanzata, si poteva sperare di far vincere le proprie ragioni. La Prima Guerra Mondiale fu il tragico esempio di quanto rovinosa sia l’impreparazione nell’affrontare il fenomeno bellico. Impreparazione di chi? Della società in generale. Dei militari, fermi sui principi dell’attacco ad ogni costo, della massa e di una rapida guerra “gioiosa” che garantivano loro una posizione di privilegio nella società ed il controllo di un numero enorme di uomini. Dei politici conservatori, incapaci di andare oltre l’idea del confronto imperialistico attraverso il dominio militare e di quelli progressisti, che sperarono che la guerra avrebbe portato la “rivoluzione”. Della cultura infettata da balzane idee maltusiane, quali la guerra sola igiene del mondo.

Qualcuno, come il banchiere polacco Ivan Bloch, intuì e descrisse gli enormi rischi per l’umanità di un conflitto della “seconda rivoluzione industriale”, ma fu ignorato, nonostante prendesse spunto da previsioni di scrittori militari. Forse era più urgente, per le grandi industrie appena nate, scaricare i propri enormi potenziali produttivi nella formidabile zuppa del diavolo dei campi di battaglia. I calcoli dei guerrafondai erano però totalmente sbagliati, di fatto nessuno vinse la guerra: le due grandi potenze imperiali, Francia e Gran Bretagna, ne uscirono molto ammaccate e con le premesse per perdere i propri imperi, per non parlare della Russia dove scoppiò la rivoluzione comunista. Vinsero gli Americani, con un pugno di morti e con un’Europa comprata a prezzi di saldo. Quello che venne dopo fu un mondo degno di una distopia: l’umiliazione della Germania, che invece avrebbe potuto essere salvata dal nazismo con intelligenza e lungimiranza;  l’avanzata delle ideologie socialiste quali strumenti per la liberazione dei popoli delle colonie, schiacciati dal tallone imperiale, mentre le potenze coloniali si affannavano a contenere la debole Russia attraverso una inaccettabile tolleranza verso regimi autoritari e criminali in Europa; un’America esaltata dai successi del suo capitalismo spericolato, che precipitò nel ‘29 in una crisi da sovrapproduzione, riflessasi sui mercati finanziari, che rischiò di distruggerla e contribuì ad accompagnare il mondo alla nuova non-inevitabile tragedia della seconda guerra mondiale. Ancora una volta non furono l’eroismo, il genio militare e le idee di una società basata sulla forza a vincere. Se in un primo tempo la Germania, che preparava da anni la guerra, ebbe la meglio grazie alla sua organizzazione militare, alla tecnologia delle sue armi ed all’organizzazione delle sue forze armate, a partire dall’inverno del ‘42 le cose cambiarono enormemente. Il fatto è che, mentre la Germania perdeva il treno, grazie al suo innamoramento per la violenza e per le armi complicate, Russia e Stati Uniti, questi ultimi, pare, tirati in campo per i capelli dai Giapponesi, trovarono la soluzione della vittoria. Industria strapotente, mezzi militari standardizzati ed efficienti, applicazione al campo di battaglia dei modelli organizzativi dell’impresa industriale. Il sangue russo, il denaro e la tecnologia americana, condannarono a morte l’anacronistico impero giapponese e l’esercito con uno Stato divenuto un partito senza cervello. Quello che venne dopo fu una lunga fase chiamata Guerra Fredda. La paura dell’olocausto nucleare per fortuna impedì una ulteriore ecatombe mondiale, e le regole, silenziosamente ma non troppo, cambiarono. Oggi si combatte con armi che di militare hanno sempre meno, quello che non è cambiato è che anche quando invece delle bombe vengono lanciate sanzioni, la guerra continua a sprecare risorse altrimenti e meglio utilizzabili.


Giovanni Ingrosso

Giovanni Ingrosso è nato a Bari il 16 aprile 1953, si è laureato a Pavia in Scienze Politiche indirizzo politica economica, a Torino in Scienze Strategiche e ha conseguito un MBA alla Scuola di Direzione Aziendale, dell’Università Bocconi. E’ autore di diversi articoli, su strategia militare e management, di un libro sull’evoluzione della guerra nel mondo moderno e post-moderno, di due romanzi di spionaggio. Ha vissuto tra il 2008 e il 2016 nel Canton Vaud e oggi vive nei pressi di Porto, Portogallo.

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