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Mese: Gennaio 2022

Riflessioni sulla felicità – La passione, i vizi umani e le virtù umane secondo Aristotele, Tommaso d’Aquino e Spinoza

Abstact: Lo scopo di questo articolo è focalizzare in poche pagine alcune concezioni tradizionali sulla felicità portandone all’evidenza gli aspetti essenziali emergenti dal complesso, articolato e millenario sistema concettuale che le caratterizza. Un’interpretazione dell’etica svolta sulla base delle riflessioni di Aristotele, Tommaso d’Aquino e Baruch Spinoza, con il fine di rendere chiara e fruibile la ratio che definisce il concetto tradizionale di felicità, per mostrarne la concretezza e l’attualità anche tramite esempi. Il punto di partenza è l’Etica Nicomachea di Aristotele, scelta per la sua caratteristica di proporre un concetto di felicità concreto e alla portata della vita reale, rispettoso nei confronti del gioco delle passioni, dell’amicizia, della misura delle capacità personali e della disposizione di ogni singolo nell’orientamento etico. Ho voluto accompagnare i punti salienti dell’etica aristotelica con le spiegazioni del più grande interprete medievale del filosofo di Stagira: Tommaso d’Aquino. Il santo ci offre un quadro estremamente sintetico, che ha introdotto con una lucidità senza precedenti nel cuore della Chiesa Cattolica e nella storia medievale la filosofia dello Stagirita e la suddivisione delle virtù proposta da Platone, fornendo anche una descrizione altrettanto chiara e sintetica del loro contrario, i vizi. Nonostante le differenze essenziali rispetto ai filosofi citati, ho voluto mettere in relazione ad essi Spinoza, un filosofo moderno, perchè ha sottolineato l’importanza di comprendere profondamente le passioni nel perseguire la felicità e ne ha mostrato quindi la logica.

Opacità Referenziale – Possibile Non Assurdità Degli Enunciati Mooreani

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In questo post tratterò del tipo di enunciati definiti mooreani[1]. Tali enunciati sono composti da due parti congiunte da un connettivo logico: la prima parte (fattuale) enuncia che p; la seconda parte (soggettiva) afferma che il soggetto S non crede che p. Generalmente assumono la forma “p e non credo che p”, ad esempio “Piove e non credo che piova”.

Lo scopo che mi prefiggo in questo breve testo è quello di delineare alcuni specifici e semplici contesti linguistici ed epistemici nei quali è possibile emettere enunciati simili senza che si dia alcuna assurdità. Tale scopo è analogo a quello delle selfless assertions[2], ovvero delle particolari forme di asserzione in cui chi asserisce, per particolari ragioni, non crede a quanto sta asserendo.

Sul Valore della Filosofia – Bertrand Russell

https://en.wikipedia.org/wiki/File:Bertrand_Russell_1957.jpg

Introduzione

In questo breve testo ho pensato di toccare un argomento che chiude perfettamente un anno denso, come lo sono tutti gli anni: iperdensi. [1] Ora, sebbene ci siano e possano essere molti argomenti a favore dell’esistenza della filosofia, questo è quello di Bertrand Russell.

Sebbene Russell abbia toccato questo argomento in modo diverso in tempi e scopi diversi, ricostruirò il suo argomento così come lo tratteggia nel suo testo “Sul valore della filosofia”. [2] È un breve saggio, scritto magnificamente tanto quanto può essere stimolante. Bello e rinvigorente, come verosimilmente non lo sono i pilastri della filosofia analitica dei nostri giorni – e si può sostenere che, in effetti, Russell qui è lontano dall’essere un filosofo analitico vero e proprio. Comunque sia, l’argomento si mostrerà per quello che è, sia esso appropriato o inappropriato, solo bello o anche vero. Ricordare che la veridicità ultima è qualcosa di impossibile in filosofia, come dice esplicitamente Russell, è ancora la sua formulazione di un ideale razionale prezioso. Vale la pena leggere questo testo dopo più di cento anni? Vediamo.