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Antologia A-E

Adorno-Horkheimer. Filosofia. Contemporanei. Marxisti.

« Il sapere, che è potere, non conosce limiti, né nell’asservimento delle creature, né nella sua docile acquiescenza ai signori del mondo ».

Adorno-Horkeimer. Dialettica dell’illuminismo. Einaudi. Torino. Cap. “Concetto di illuminismo”.  P. 12.

 Adorno. Filosofia. Contemporanei. Marxisti.

« I testi elaborati come si deve sono come specie di ragnatele: fitti, concentrici, trasparenti, solidi e ben connessi. Essi attirano a sé tutto ciò che si aggira nei dintorni ».

Adorno T., Minima Moralia. Einaudi. Torino. 1994. P. 93.

Adorno. Filosofia. Contemporanei. Marxisti. Il comportamento di uno scrittore nei confronti del proprio lavoro.

« Lo scrittore si dispone nel proprio testo come a casa propria. Come crea disordine e confusione con i fogli i libri e le cartelle che si porta dietro da una stanza all’altra, così fa anche, in un certo modo, coi suoi pensieri ».

Adorno T. W., Minima Moralia. Einaudi. Torino. 1994. P. 93.

Anassimandro. Filosofia. Presocratici.

« Essi paragonano l’uno all’altro la pena e l’espiazione della giustizia secondo l’rodine del tempo ».

F.S.

Alcmeone. Filosofia. Presocratici.

« Delle cose invisibili e delle cose visibili soltanto gli dei hanno conoscenza certa; gli uomini possono solo congetturare ».

F.S.

Anassagora. Filosofia. Pluralisti.

« Del piccolo non c’è che un minimo ma sempre un più piccolo ma anche nel grande c’è sempre un più grande: e per quantità è uguale al piccolo e in rapporto a se stessa ogni ( cosa ) è grande o piccola ».

F.S.

Anassagora. Filosofia. Pluralisti.

« Ciò che appare è un fenomeno di ciò che non si vede con gli occhi ».

F.S.

Anassagora. Filosofia. Pluralisti.

« Per la debolezza dei sensi non siamo capaci di discernere il vero: ma possiamo valerci dell’esperienza, della memoria e delle tecniche nostre proprie… »

F.S.

 Anassagora. Filosofia. Pluralisti.

« Le cose visibili sono visione delle cose invisibili ».

F.S.

 Antistene ( cinico ). Filosofia. Cinici.

« Vedo i cavalli, ma non vedo la cavallinità ».

F.S.

 Antistene. Filosofia. Cinici.

« Preferirei impazzire piuttosto che provare piacere ».

F.S.

 Anassimene. Filosofia. Presocratici.

« Come l’anima nostra, che è aria, domina noi così anche soffio e aria contengono tutto il cosmo ».

F.S.

 Aristotele. Filosofia. Aristotelismo.

« Il bene è degno di essere amato anche per un solo uomo, ma è più bello e divino sia per nazioni che per stati. Il bene ottimo apparterrà quindi alla scienza suprema e per eccellenza direttrice delle opere; e tale sembra essere la politica ».

F.S.

 Aristotele. Filosofia. Aristotelismo.

« Il sapiente non deve essere comandato ma deve comandare, né egli deve ubbidire chi è meno sapiente ».

Aristotele. Metafisica I. Bompiani. Milano. 2000. A cura di Giovanni Reale. P. 9.

 Aristotele. Filosofia. Aristotelismo.

« Le scienze che presuppongono un minor numero di principi sono più esatte di quelle che presuppongono, altresì, l’aggiunta di più principi, come ad esempio l’aritmetica rispetto alla geometria ».

Aristotele. Metafisica I. Bompiani. Milano. 2000. A cura di Giovanni Reale. P. 9.

 Aristotele. Filosofia. Aristotelismo.

« … la scienza di ciò che è in massimo grado conoscibile. Ora, conoscibili in massimo grado sono i primi principi e le cause; infatti, mediante essi, e muovendo da essi, si conoscono tutte le altre cose, mentre, viceversa, essi non si conoscono mediante le cose che sono loro soggette ».

Aristotele. Metafisica I. Bompiani. Milano. 2000. A cura di Giovanni Reale. P. 11.

 Aristotele. Filosofia. Aristotelismo. Finalità della conoscenza.

« Ora, chi prova un senso di dubbio e di meraviglia riconosce di non sapere; ed è per questo che anche colui che ama il mito è, in un certo qual modo, filosofo: infatti, il mito, è costituito da un insieme di cose che destano meraviglia. Cosicché, se gli uomini hanno filosofato per liberarsi dall’ignoranza, è evidente che ricercheranno il conoscere al solo fine di sapere e non conseguire alcuna utilità pratica ».

Aristotele. Metafisica I. Bompiani. Milano. 2000. A cura di Giovanni Reale. P. 11.

 Aristotele. Filosofia. Aristotelismo.

« Ma, mentre questi pensatori procedevano in questo modo, la realtà stessa tracciò loro la via e li costrinse a ricercare ulteriormente ».

Aristotele. Metafisica I. Bompiani. Milano. 2000. A cura di Giovanni Reale. P. 19.

 Aristotele. Filosofia. Aristotelismo.

« Infatti, del fatto che alcuni degli esseri siano belli o brutti, e che altri lo diventino, non può indubbiamente essere causa né il fuoco, né la terra né alcun altro di questi elementi, e non è neppure possibile che quei filosofi lo abbiano pensato. D’altra parte, non era cosa conveniente rimettere tutto questo al caso e alla sorte ».

Aristotele. Metafisica I. Bompiani. Milano. 2000. A cura di Giovanni Reale. P. 21.

Aristotele. Filosofia. Aristotelismo. Come la filosofia nasca da problemi concreti.

« Ora, poiché appariva chiaro che, nella natura, vi sono anche cose contrarie a quelle buone e che ci sono non solo ordine e bellezza ma anche disordine e bruttezza e che ci sono più mali che beni e più cose brutte che belle, così ci fu un altro pensatore che introdusse amicizia e discordia, causa ciascuna di questi contrasti ».

Aristotele. Metafisica I. Bompiani. Milano. 2000. A cura di Giovanni Reale. P. 23.

 Aristotele. Filosofia. Aristotelismo. La causa del bene e del male.

« …il bene e male sono principi, si affermerebbe, probabilmente, cosa giusta, dal momento che la causa di tutti i beni è il bene stesso e la causa di tutti i mali è il male ».

Aristotele. Metafisica I. Bompiani. Milano. 2000. A cura di Giovanni Reale. P. 23.

 Aristotele. Filosofia. Aristotelismo. Errori dei filosofi “ingenui”.

« La causa materiale e la causa del movimento, ma in confuso e maldestro, proprio come si comportano nei combattimenti coloro che non sono esercitati: e come costoro, rigirandosi in tutti i sensi, tirano bei colpi ma senza essere guidati da conoscenza, così neppure quei pensatori sembrano avere veramente conoscenza di ciò che affermano; infatti non risulta che essi si servano di questi loro principi se non in finita parte ».

Aristotele. Metafisica I. Bompiani. Milano. 2000. A cura di Giovanni Reale. P. 23.

Aristotele. Filosofia. Aristotelismo. Sulla conoscenza che distingue i sapienti dai manovali.

« … posseggano maggiore conoscenza e siano più sapienti in quanto conoscono le cause delle cose che vengon fatte; invece i manovali agiscono, ma senza sapere ciò che fanno così come agiscono alcuni degli esseri inanimati, per esempio, così come il fuoco brucia: ciascuno di questi esseri inanimati agisce per un certo impulso naturale, mentre i manovali agiscono per abitudine. Perciò consideriamo i primi come i più sapienti, non perché capaci di fare, ma perché in possesso di un sapere concettuale e perché conoscono le cause ».

Aristotele. Metafisica I. Bompiani. Milano. 2000. A cura di Giovanni Reale. P. 7.

 Aristotele. Filosofia. Aristotelismo.

« In generale il carattere che distingue chi sa rispetto a chi non sa è l’essere capace di insegnare: per questo noi riteniamo che l’arte sia soprattutto la scienza e non l’esperienza; infatti coloro che posseggono l’arte sono capaci di insegnare, mentre coloro che posseggono l’esperienza non ne sono capaci ».

Aristotele. Metafisica I. Bompiani. Milano. 2000. A cura di Giovanni Reale. P. 7.

 Aristotele. Filosofia. Aristotelismo. Sulla base di ogni conoscenza.

« Poiché degli abiti razionali con i quali cogliamo la verità alcuni sono sempre veri, mentre altri ammettono il falso, come l’opinione e il calcolo mentre la conoscenza scientifica e l’intuizione sono sempre veri, e poiché nessun altro genere di conoscenza è più esatto di quella scientifica tranne che l’intuizione, e d’altra parte, i principi sono più noti delle dimostrazioni, e poiché ogni conoscenza scientifica si costituisce argomentativamente, non vi può essere conoscenza scientifica dei principi, e, poiché non vi può essere nulla di più vero della conoscenza scientifica tranne che l’intuizione, l’intuizione deve avere per oggetto i principi. Ciò risulta nell’indagine non sono a chi ma queste considerazioni, ma anche dal fatto che principio della dimostrazione non è una dimostrazione; di conseguenza principio della conoscenza scientifica non è la nostra conoscenza scientifica. Allora, se non abbiamo alcun altro genere di conoscenza vera oltre alla scienza, l’intuizione sarà principio della scienza. L’intuizione allora può essere considerata principio del principio, mentre la scienza nel suo complesso sta nello stesso rapporto con la totalità delle cose che ha per oggetto ».

Aristotele, citato da Reale G., Introduzione Metafisica di Aristotele. P. XXXIII.

Aristotele. Metafisica I. Bompiani. Milano. 2000. A cura di Giovanni Reale.

Aristotele. Filosofia. Aristotelismo. Cause delle difficoltà nella ricerca della verità.

« Poiché ci sono due tipi di difficoltà, la causa della difficoltà della ricerca della verità non sta nelle cose, ma in noi. Infatti, come gli occhi delle nottole si comportano nei confronti della luce del giorno, così anche l’intelligenza che è nella nostra anima si comporta nei confronti delle cose che, per natura loro sono le più evidenti di tutte ».

Aristotele citato da Reale G., Introduzione Metafisica di Aristotele. P. XXX.

Aristotele. Metafisica I. Bompiani. Milano. 2000. A cura di Giovanni Reale.

 Aristotele. Filosofia. Aristotelismo. Criterio di verità.

« Ciò su cui tutti concordano diciamo essere vero ».

Aristotele citato da Reale G., Introduzione Metafisica di Aristotele. P. XXXI.

Aristotele. Metafisica I. Bompiani. Milano. 2000. A cura di Giovanni Reale.

 Aristotele. Filosofia. Aristotelismo. Il fine di tutto.

« E il fine in ogni cosa è il bene, e, in generale, nella natura tutta, il fine è il sommo bene ».

Aristotele. Metafisica I., citazione G. Reale. P. 46.

G. Reale. Storia della filosofia greca e romana. Vol. 4 Aristotele e il primo peritato. Tascabili Bompiani. Milano. 2004. P. 46.

Aristotele. Filosofia. Aristotelismo. L’esperienza è conoscenza di particolari.

« Orbene, ai fini dell’attività pratica, l’esperienza non sembra differire nulla dall’arte; anzi, gli empirici riescono anche meglio di coloro che posseggono la teoria senza la pratica. E la ragione sta in questo: l’esperienza è conoscenza dei particolari… ».

Aristotele. Metafisica I. Bompiani. Milano. 2000. A cura di Giovanni Reale. P. 5.

Aristotele. Filosofia. Aristotelismo. Differenze tra sapienti ed ignoranti.

« …giudichiamo coloro che posseggono l’arte più sapienti di coloro che posseggono la sola esperienza, in quanto siamo convinti che la sapienza in ciascuno degli uomini, corrisponda al loro grado di conoscenza. E questo, perché i primi sanno la causa, mentre gli altri non lo sanno. Gli empirici sanno il puro dato di fatto ma non il perché di esso; gli altri conoscono il perché di esso ma non la causa ».

Aristotele. Metafisica I. Bompiani. Milano. 2000. A cura di Giovanni Reale. P. 5.

Aristotele. Filosofia. Aristotelismo. La forma come motore immobile.

« I principi che muovono il modo naturale sono due: uno di questi non è di carattere fisico, perché non ha in sé un principio che lo muove. Ché un principio di questo tipo, se c’è qualcosa che muove senza essere mosso, come ciò che è assolutamente immobile ed è primo di tutto, è l’essenza e la forma: infatti, esso è il fine e la causa finale. Sicché, dal momento che la natura ha un fine bisogna conoscere anche questo principio (…) ».

Aristotele. Metafisica I. Bompiani. Milano. 2000. A cura di Giovanni Reale. P. 53.

Aristotele. Filosofia. Aristotelismo.

« La meraviglia che l’uomo prova di fronte all’intero, ossia di fronte all’essere e all’origine dell’essere è, dunque, la radice della filosofia e della metafisica ».

Citazione da Reale G. Introduzione metafisica di Aristotele. P. XV.

Aristotele. Metafisica I. Bompiani. Milano. 2000. A cura di Giovanni Reale.

Anselmo ( proemio Proslogion ). Filosofia. Medioevali.

« Tendevo a Dio e mi imbattei in me stesso ».

F.S.

Anselmo. Filosofia. Medioevali.

« Non tento, o Signore, di penetrare la tua profondità, perché non posso neppure da lontano paragonare il mio intelletto; ma desidero intendere almeno fino ad un certo punto la tua verità, che il mio cuore crede e ama. Non cerco infatti di capire per credere, ma credo per capire. Poiché credo anche questo: che se non avrò creduto non potrò capire ».

F.S.

Abelardo. Filosofia. Medioevali.

« Si deve sanamente credere a ciò che non si può spiegare ».

F.S.

Avicenna. Filosofia. Medioevali.

« Ogni essere se tu lo consideri nella sua essenza senza considerare altro essere, deve essere tale che l’esistenza o gli appartiene necessariamente o non gli appartiene. Se l’esistenza gli appartiene necessariamente esso è verità in sé, colui la cui esistenza è necessaria per sé, egli è il sussistente ».

F.S.

Alberto Magno ( sui teologi contro i filosofi ). Filosofia. Medioevali.

« … questi ignoranti che vogliono combattere l’uso della filosofia, soprattutto i predicatori ove nessuno resiste loro: come animali bruti bestemmiano quello che ignorano ».

F.S.

Alberto Magno. Filosofia. Medioevali.

« Non mi interessano i miracoli di Dio quando tratto le cose naturali ».

F.S.

Arriano. Storia. Antichità. I sacrifici umani venivano effettuati anche dai “più civili”.

Alessandro attaccò dunque la città. Dopo aver immolato tre fanciulli, altrettante fanciulle e tre arieti neri, i nemici si slanciarono per sostenere il corpo a corpo con i Macedoni (…)

Arriano, L’anabasi di Alessandro, Mondadori, Milano, 2004, p. 23.

Arriano. Storia. Antichità. La distruzione di Tebe, un esempio di politica di potenza e di benevolenza umana.

Gli alleati che avevano partecipato all’azione e ai quali Alessandro aveva demandato ogni decisione su Tebe, stabilirono di presidiare la Cadmea con una guarnigione e di distruggere la città dalle fondamenta; di ripartire tra gli alleati il territorio, tranne quello consacrato; di ridurre in schiavitù i bambini e le donne e tutti i Tebani superstiti, tranne i sacerdoti e le sacerdotesse, quanti fossero stati in rapporti di ospitalità con Filippo o con Alessandro o fossero protettori dei Macedoni. La casa del poeta Pindaro e dei suoi discendenti narrano che fu risparmiata da Alessandro per rispetto verso Pindaro.

Arriano, L’anabasi di Alessandro, Mondadori, Milano, 2004, p. 43.

Arriano. Storia. Antichità. Le statue “sudano” e “piangono” da molti anni prima dell’avvento delle madonne & l’interpretazione delle meraviglie rientra all’interno di una lettura intenzionale degli eventi naturali.

Frattanto, fu riportato che in Pieria la statua di Orfeo, figlio di Eagro di Tracia, emetteva continuamente sudore. Gli altri indovini interpretarono variamente il prodigio; ma Aristandro, un indovino di Telmesso, esortò Alessandro a stare di buon animo: il prodigio significava che i poeti epici e lirici e tutti i compositori di inni avrebbero avuto un duro lavoro a comporre poemi in onore di Alessandro e a cantare le sue gesta.

Arriano, L’anabasi di Alessandro, Mondadori, Milano, 2004, p. 47.

Arriano. Storia. Antichità. Ancora un altro esempio di pregiudizio legato alla lettura intenzionale della natura.

Quando ancora Alessandro assediava Alicarnasso e nell’ora meridiana si riposava un poco, una rondine prese a volare intorno alla sua testa pigolando intensamente e si posava sul giaciglio ora qua ora là, cantando in modo più ostinato del solito. A causa della spossatezza Alessandro non riusciva a svegliarsi dal sonno, ma infastidito dal pigolio con un leggero movimento della mano cercava di allontanare la rondine. Ma invece di fuggire per i colpi, la rondine si posava persino sulla  testa di Alessandro, e non si allontanò prima di averlo svegliato del tutto. Alessandro giudicò l’episodio di non poca importanza e lo comunicò ad Aristandro di Temesso, l’indovino, il quale lo interpretò nel senso che un amico attentava alla sua vita, ma anche che l’insidia sarebbe stata scoperta: la rondine è un uccello domestico, amico dell’uomo e garrulo più di ogni altro volatile.

Arriano, L’anabasi di Alessandro, Mondadori, Milano, 2004, p. 99.

Arriano. Storia. Antichità.

Leggende attorno al nodo di Gordio.

Arriano, L’anabasi di Alessandro, Mondadori, Milano, 2004, p. 121.

Arriano. Storia. Antichità. La rapidità e la determinazione fanno la differenza sul campo di battaglia &  l’idea di bruciare le navi per motivare i soldati venne per prima ad Alessandro & la devastazione dei propri territori per non farli prendere in mano agli avversari è una tattica antica.

(…) Besso devastò la zona ai piedi del Monte Caucaso, sperando di impedire ad Alessandro di avanzare oltre per la desolazione della regione tra lui e Alessandro e per la mancanza di approvvigionamenti. Ma non di meno Alessandro avanzava, pur tra difficoltà a causa della neve abbondante e della mancanza dei rifornimenti; ma ugualmente procedeva. Besso, quando gli fu annunciato che Alessandro ormai non era lontano, varcato il fiume Oxo, bruciò le imbarcazioni sulle quali era passato; e si ritir. Verso Nautaca nella Sogdiana.

Arriano, L’anabasi di Alessandro, Mondadori, Milano, 2004, p. 289.

Arriano. Storia. Antichità. La conoscenza si è spesso sposata al potere dominante.

Proprio tu, Anassarco [un sedicente filosofo], più di ogni altro avresti dovuto esporre questi argomenti ad Alessandro [contro la proscinesi] e impedire ragionamenti opposti, dato che stai al suo seguito come filosofo ed educatore.

Arriano, L’anabasi di Alessandro, Mondadori, Milano, 2004, p. 335.

Arriano. Storia. Antichità. L’ebbrezza e l’ira sono sempre state piaghe dell’umanità.

E neppure io le approvo, ma in tale stato di ebbrezza giudico che fosse conveniente, tacendo, tenere per sé le proprie idee, e non incorrere nello stesso errore che commettono gli altri per adulazione. Ma quando alcuni, per far anche essi cosa gradita ad Alessandro, ricordarono le imprese di Filippo, ingiustamente affermando che non erano né grandi né stupefacenti, Clito non più in sé prendeva a celebrare le gesta di Filippo e a denigrare Alessandro e le sue imprese; ormai ubriaco, tra le ingiurie Clito rinfacciava ad Alessandro di avergli salvato la vita, quando al Granico si era ingaggiato lo scontro di cavalleria contro i Persiani. E ancora più, tenendo arrogantemente la destra, gridava: “Questa mano, Alessandro, allora ti salvò”. Alessandro non sopportò più l’ebbra tracotanza di Clito e, pieno d’ira, balzò contro di lui, ma veniva trattenuto dai compagni di banchetto; Clito però non cessava di insolentire. (…) Gli eteri non furono più capaci di trattenerlo: secondo alcuni, sottrasse con un balzo la lancia a una delle guardie del corpo, e con questa colpì Clito; per altri, invece, strappò la sarissa a una delle guardie. (…) Quanto a me, biasimo grandemente l’insolenza di Clito verso il suo re; compiango, invece, Alessandro per la sua sventura, dato che si mostrò allora facile preda di due mali, dell’uno e dell’altro dei quali bisognerebbe che un uomo di senno non fosse schiavo, l’ira e l’ebbrezza.

Arriano, L’anabasi di Alessandro, Mondadori, Milano, 2004, pp. 325-327.

Arriano. Storia. Antichità. Bellissimo discorso di Alessandro ai macedoni.

Per noi, allora, saranno state inutili le molte fatiche, oppure altri travagli e altri pericoli dovremo affrontare di nuovo. Resistete, Macedoni e alleati: solo chi sopporta fatiche e accetta pericoli compie imprese gloriose; ed è dolce vivere valorosamente e morire lasciando una gloria immortale.

Arriano, L’anabasi di Alessandro, Mondadori, Milano, 2004, p. 475.

Arriano. Storia. Antichità. La “condizione umana”, la sofferenza della solitudine e della lontananza dai propri cari sono costanti della storia umana.

(…) ma la maggior parte è morta di malattia; e quei pochi rimasti, da molti che erano, non hanno più la stessa forza nei corpi, ma soprattutto sono abbattuti nello spirito. Tutti costoro desiderano rivedere i genitori – chi li ha ancora in vita -; desiderano rivedere le proprie mogli e i figli; desiderano rivedere il suolo della terra patria; ed è perdonabile il desiderio di rivederla, poiché con il prestigio che tu hai dato loro, tornerebbero come persone importanti invece che umili, ricchi invece di poveri.

Arriano, L’anabasi di Alessandro, Mondadori, Milano, 2004, p. 479.

Arriano. Storia. Antichità. Un commento di alcuni saggi indiani alle gesta di Alessandro.

“O re Alessandro, ciascun uomo possiede tanta terra quanta è quella su cui ci troviamo. Tu sei uguale a tutti gli uomini, tranne che per l’ambizione e l’orgoglio; e lontano dalla tua patria hai percorso tanta terra, procurando difficoltà a te stesso e agli altri. Eppure, di qui a poco sarai morto e possederai tanta terra quanta è necessaria per seppellire il tuo corpo”.

Arriano, L’anabasi di Alessandro, Mondadori, Milano, 2004, p. 579.

Arriano .Storia. Antichità. Gli indovini e i profeti furono acclamati fino a che non ci furono persone più capaci di prevedere il futuro.

(…) dicevano di aver ricevuto un oracolo dal dio Belo, secondo il quale in quel momento l’entrata in Babilonia non sarebbe stata un bene per lui. E Alessandro avrebbe risposto con un verso del poeta Euripide che dice così: “L’indovino migliore è colui che fa giuste profezie”.

Arriano, L’anabasi di Alessandro, Mondadori, Milano, 2004, p. 625.

Asimov. Letteratura. Fantascienza. Sulla pericolosità della conoscenza.

La morale dei racconti sui robot malvagi era che l’uomo non deve mai spingere la propria conoscenza oltre un certo punto. Ma anche da giovane non riuscivo a condividere l’opinione che, se la conoscenza è pericolosa, la soluzione ideale risiede nell’ignoranza. Mi è sempre parso, invece, che la risposta autentica a questo problema stia nella saggezza. Non è saggio rifiutarsi di affrontare il pericolo, anche se bisogna farlo con la dovuta cautela. Dopotutto, è questo il senso della sfida posta all’uomo sin da quando un gruppo di primati si evolse nella nostra specie. Qualsiasi innovazione tecnologica può essere pericolosa: il fuoco lo è stato fin dal principio, e il linguaggio ancora di più; si può dire che entrambi siano ancora pericolosi al giorno d’oggi, ma nessun uomo potrebbe dirsi tale senza il fuoco e senza la parola.

Asimov I., I robot dell’alba. Mondadori, Milano, 1988, pp. 8-9.

Bayly. Storia. Modernità. Fino a che punto e fin dove si possono tracciare i confini dell’omogeneità tra gli uomini.

Verso la fine dell’Ottocento, l’uniformità aveva trovato espressione in una nuova sfera: quello dello sport e del tempo libero. La natura casuale ed estemporanea di molti giochi era stata ridotta all’ordine e al rispetto di regole, sempre più condivise dai corpi a livello mondiale. Persino la forma di quei tipicissimi prodotti d’esportazione inglese nel resto del mondo – il calcio, il rugby e il cricket – subì il segno di questo potente desiderio di disciplinare il corpo, visibile ugualmente sul campo di battaglia come in fabbrica. Anche giochi che passarono dall’Asia all’Occidente, come l’hockey e il polo, rinunciarono alla loro primitiva veste di simpatiche mischie e si trasformarono in competizioni ben regolate. Nel frattempo, i puntuali precetti francesi circa il modo di cucinare e di mangiare, i modelli, sempre francesi, di raffinata diplmazia e i concetti tedeschi relativi al modo più appropriato di ordinare le conoscenze scientifiche e umanistiche si mossero nel mondo secondo analoghe traiettorie.

Bayly C. (2004), Nascita del mondo moderno 1780-1914, Mondadori, Milano, 2011, pp. XLI-XLII.

Bayly. Storia. Modernità. La storia non è mai lineare e tratta di eventi contingenti la cui evoluzione non è mai assolutamente necessaria.

La domanda che sorse dall’”invenzione della colazione”, con il suo seguito di arredi domestici e di nuova intimità, può certamente aver proseguito di arredi domestici e di nuova intimità, può certamente aver procurato consumatori per l’incipiente rivoluzione industriale, come avvenne in Gran Bretagna. Ma le rivoluzioni industriose non portarono necessariamente alla prima industrializzazione. Non erano sempre forme di “protoindustrializzazione” (…). Secondo parecchie interpretazioni, la rivoluzione industriale sarebbe stata una rivoluzione dell’”offerta”, derivante dalla produzione meccanizzata. Le rivoluzioni industriose, al contrario, riuscirono ad aumentare la prosperità in maniera molto più furtiva senza beneficiare di una rapida introduzione di macchinismi nell’industria. Erano piuttosto il riflesso di mutamenti nella domanda  e nei modelli di desiderio del consumatore e ciò attizzava la richiesta.

Bayly C. (2004), Nascita del mondo moderno 1780-1914, Mondadori, Milano, 2011, p. 38. Corsivo mio.

Bayly. Storia. Modernità. Il lusso è uno scopo in sé dal seicento in avanti.

Il lusso diventò uno scopo in sé caratterizzato, con il controllo della popolazione da parte di magistrati virtuosi. Il lusso, in effetti, si era “oggettificato”, diventando un motore fondamentale delle rivoluzioni industriose interne ed esterne l’Europa.

Bayly C. (2004), Nascita del mondo moderno 1780-1914, Mondadori, Milano, 2011, p. 43.

Bayly. Storia. Modernità. La parola “crisi” è un po’ abusata; le conseguenze della crisi 1780-1820.

Gli storici probabilmente usano un po’ troppo la parola “crisi”. Mettere in rilievo una crisi storica sembra suggerire che le società e i sistemi di governo siano normali per gran parte del tempo e poi, improvvisamente, diventino critici. Il conflitto è, in realtà, un tratto insito nelle società umane ed è quindi sbagliato descriverle come “sistemi in equilibrio”. Comunque, pare legittimo usare la parola “crisi” per mutamenti epocali degli anni che vanno dal 1780 al 1820. Il livello del conflitto ebbe un’impennata straordinaria e scoppiarono contemporaneamente violente battaglie ideologiche e contese per le risorse materiali. E’ l’interconnessione mondiale delle turbolenze economiche e politiche di quest’epoca a colpire tanto. Per una larga parte dell’umanità, esse culminarono in cambiamenti radicali della forma di governo e dell’ordinamento economico, e per un’altra larga parte nella perdita dell’autonomia locale.

Bayly C. (2004), Nascita del mondo moderno 1780-1914, Mondadori, Milano, 2011, p. 85.

Bayly. Storia. Modernità. Le distinzioni categoriali sono delle utili convenzioni che non devono assurgere a modelli ontologici.

Il compito [di tracciare le ragioni del mutamento storico nel periodo 1780-1820], tuttavia, non è impossibile, poiché la distinzione tra l’economico, il politico e il linguistico è più nella mente degli storici di quanto non fosse nella mente dei contemporanei.

Bayly C. (2004), Nascita del mondo moderno 1780-1914, Mondadori, Milano, 2011, p. 107.

Bayly. Storia. Modernità. La burocrazia moderna è un’invenzione dello Stato ottocentesco come risposta alla crisi del 1820.

E ancora, gli avvocati e i funzionari furono tra i beneficiari di lungo periodo dell’era delle guerre mondiali. Essi allignarono e prosperarono sotto ogni tipo di governo poiché tutti avevano bisogno di aumentare la tassazione. L’esempio più calzante qui sono i principati tedeschi. (…) Di fatto, i principi restaurati erano adesso assai più dipendenti da avvocati di istruzione universitaria e cancellieri. La maggiore attività dello Stato in fatto di tassazione e di regolamentazione andava di pari passo con una crescente tendenza a disquisire in proposito, sottolineando il progresso che ne poteva derivare.

Bayly C. (2004), Nascita del mondo moderno 1780-1914, Mondadori, Milano, 2011, p. 158.

Bayly. Storia. Modernità. Le forze di cambiamento procedono in modo diseguale e le rivolte popolari arrivano al risultato sperato solo in alcuni casi.

Le folle parigine del 1789-93 e del 1848 contribuirono a spazzare via le vecchie autocrazie. Gli schiavi ribelli dei Caraibi tra il 1815 e il 1831 ferirono a morte il sistema di piantagione. I contadini ribelli nella Russia del 1770 e nell’India del 1850 pregiudicarono irreparabilmente i sistemi di sfruttamento. Comunque, in generale, i moti furono efficaci solo laddove le istituzioni prese di mira erano già state seriamente intaccate da un’estesa attività critica e sovvertitrice da parte di membri dell’elite e del popolo “medio”. Nei casi in cui le istituzioni di governo non fossero già state fiaccate dall’attacco dell’elite, ci furono almeno altrettante rivolte urbane o insorgenze di schiavi che non ebbero effetto, se non rafforzarono addirittura lo status quo.

Bayly C. (2004), Nascita del mondo moderno 1780-1914, Mondadori, Milano, 2011, p. 186.

Bayly. Storia. Modernità. L’invasività crescente dello stato nella civiltà liberale.

Gli stati precedenti talvolta erano stati intrusivi ed esigenti, ma solo in specifici settori della vita e solo in certi luoghi e in certi tempi. Invece, lo Stato moderno accampava una pretesa monopolistica sulla fedeltà dei propri sudditi. Gli Stati modernizzanti erano gelosi delle affiliazioni transterritoriali caratteristiche del vecchio ordine, vuoi che concernessero la religione, i legami etnici, o le tradizioni dinastiche. Cercarono di abolire i diritti di particolari categorie di loro soggetti che pretendevano uno statuto superiore nell’ambito della legge o del governo o, talvolta, le interdizioni di questi cambiamenti comportarono una crescente uniformità e lo Stato divenne più coeso. Cadde il vecchio rapporto tra sede e possessi regi e governo. Lo Stato si fissò in un luogo particolare invece di spostarsi ovunque fosse il re. Le fazioni di corte diventarono partiti politici che cercavano di impossessarsi delle leve del potere pià che del favore del re. Ma lo Stato si fece anche più complesso funzionalmente, con dicasteri e competenze separate al proprio interno.

Il bisogno di organizzare i cittadini come coscritti per guerre di larga scala o di tassarli per sviluppare una migliore tecnologia militare furono importanti incentivi a semplificare e a rafforzare le strutture dello Stato. Il sociologo contemporaneo Michael Mann ha messo in luce come il personale della maggior parte delle prime burocrazie provenisse dall’esercito. Ma lo Stato, oltre a essere una travolgente forza militare e finanziaria, era anche un’idea. Rappresentava l’aspirazione a un potere e a una sovranità territoriale completi, in nome vuoi della “nazione”, vuoi del “popolo”, o, a dispetto di entrambi. Lo Stato come concetto ha una sua propria storia che non può essere semplicemente ridotta a interessi di classe o a esigenze militari. Dai costruttori vittoriani dell’Impero britannico ai leader militari modernizzatori dell’Ecuador e del Perù, la nozione di “civiltà” incarnava idee circa una società ordinata e tecnologica e circa la perfettibilità dell’individuo. Tali idee attraevano egualmente conservatori, liberali, radicali e socialisti, per quanto in maniera diversa.

Bayly C. (2004), Nascita del mondo moderno 1780-1914, Mondadori, Milano, 2011, p. 294.

Bayly. Storia. Modernità. La burocrazia cresce con la grandezza e la sofisticazione degli eserciti.

Per consentire e mettere in campo navi da guerra corazzate, un’artiglieria pesante e granate chimiche erano necessari enormi capitali e una grande organizzazione. L’ammodernamento militare offrì una breccia in cui potevano inserirsi tanti e diversi difensori della potenza dello Stato. Il bisogno di riqualificare le forze armate avviò cambiamenti a catena nella riforma dello Stato. I gruppi dominanti dovettero rafforzare le burocrazie e i sistemi di tassazione. I riformatori la cui agenda era il progresso civile sottolineavano la necessità di cittadini più istruiti e più sani.

Bayly C. (2004), Nascita del mondo moderno 1780-1914, Mondadori, Milano, 2011, p. 318.

Bayly. Storia. Modernità. Lo Stato dal 1800 in avanti inizia a voler detenere il primato nella gestione e amministrazione dei comportamenti pubblici e privati.

Come notoriamente ha sostenuto Michel Foucault, alle punizioni pubbliche e spesso più brutali che prevalevano negli antichi regimi subentrarono i sistemi di incarceramento regolato. La rimozione dalla società sostituì quasi ovunque nel mondo il barbaro castigo in piazza. Sempre più, gli Stati attuarono per decreto, o con misure giuridiche approvate dai parlamenti, mezzi legali per stigmatizzare e punire certi tipi di comportamento considerati come antisociali, tra cui l’aborto, l’infanticidio, l’omosessualità, tenere armi senza licenza, gli sport crudeli, la bigamia e l’eccessivo consumo di alcol durante la settimana lavorativa. In tutte queste materie, gli amministratori dello Stato esprimevano il desiderio generale di civilizzare e gestire le popolazioni nazionali come quelle coloniali. Ma, tramite questa giuridificazione sempre più pubblicamente invasiva che coinvolgeva legge e moralità, esprimevano anche il proprio diritto a intervenire in ambiti che nei tempi andati erano spettanza della Chiesa locale e della pubblica opinione della comunità.

Bayly C. (2004), Nascita del mondo moderno 1780-1914, Mondadori, Milano, 2011, p. 314.

Bayly. Storia. Modernità. La condizione della donna nell’età liberale.

Le donne erano escluse quasi universalmente dalla capacità politica. Mentre di solito ciò è visto come il risultato inconcusso pregiudizio maschile, in realtà è anche perché si pensava che vi fossero sul tappeto delle questioni di principio. Le donne, in virtù del loro ruolo sociale, non sarebbero state in grado di esprimere giudizi indipendenti. I riformatori britannici, nel 1867, rinunciarono a concedere il voto alle donne, soprattutto perché esso avrebbe potuto creare divisioni politiche, all’interno delle famiglie, tra mogli e mariti, come ha illustrato Jane Rendall. All’opposto, è rivelativo che le prime forme di suffragio femminile venissero perlopiù adottate nei territori di frontiera dell’Occidente. Lo Stato americano del Wyoming ne adottò una nel 1869, lo Utah nel 1870, la Nuova Zelanda nel 1893 e l’Australia meridionale nel 1894. Ad aver fatto pendere la bilancia in tali zone di confine non sembra sia stata tanto la teoria liberale classica dei diritti individuali, quanto l’idea che le donne potessero essere capaci di “governare” uomini semicivili a beneficio della famiglia. Altrove, la nozione di diritti e doveri femminili fu spesso abbracciata dai maschi nazionalisti. Ma questi attivisti erano ancora piuttosto restii a fare concessioni alle donne come individui.

Bayly C. (2004), Nascita del mondo moderno 1780-1914, Mondadori, Milano, 2011, pp. 369-370.

Bayly. Storia. Modernità. La costruzione della professione di “scienziato” e “medico”.

Ci furono tre principali fasi in questa costruzione delle professioni e di un sapere sistematico. La prima vide la rapida accumulazione di enormi archivi di dati sui fenomeni naturali, che potevano essere classificati nei campi delle statistiche mediche e della botanica. Il caso classico è quello del biologo svedese Linneo, che catalogò piante e animali in un formidabile schema del vivente. Come ha mostrato Richard Drayton in riferimento alla botanica, questa fase trae le sue origini dal Rinascimento e raggiunse l’apogeo nel XVIII secolo. La seconda vide la ricerca dei principi evoluzionistici e dei modelli di cambiamento storico che sottendono simili tassonomie, sia che riguardino la diffusione delle malattie, o le famiglie di animali o l’umanità stessa. (…) Un’ulteriore fase nell’elaborazione di leggi storiche concernenti la scienza si sviluppò a metà Ottocento. La pubblicazione dell’opera di Charles Darwin Sull’origine delle specie nel 1859 rimane una data cruciale in questo spostamento di fuoco.

Bayly C. (2004), Nascita del mondo moderno 1780-1914, Mondadori, Milano, 2011, p. 379.

Bayly. Storia. Modernità. La cristianizzazione dei territori avvenne, spesso, per ragioni di opportunità economica e di interesse di prestigio.

Si è calcolato che verso il 1900 in Africa ci fossero ben 100000 missionari europei. I capi locali giocarono ancora un ruolo rilevante in questi cambiamenti, catturando a livello simbolico la potenza dei missionari. Ad esempio Lewanika, il capo barotse, protesse una serie di missionari per dimostrare il suo benevolo potere regale e, a tutti gli effetti, se ne servì come strumenti di potere controllandone attentamente l’impatto sul popolo. Tuttavia, quando le scuole delle basi missionarie cominciarono a produrre un numero crescente di giovani istruiti nelle lingue europee, il processo andò avanti per forza propria. L’istruzione cristiana forniva l’alfabetizzazione, e questa a sua volta conferiva potere e status economico. Il cristianesimo cominciò a diventare un canale di mobilità sociale, cosicché i giovani svincolati dai divieti delle leardeship tribali polarizzarono su di sé nuove forme di potere nelle comunità. E si trattava di un percorso che i missionari avevano difficoltà a governare.

Bayly C. (2004), Nascita del mondo moderno 1780-1914, Mondadori, Milano, 2011, p. 427.

Bayly. Storia. Modernità. La “modernità” e l’omologazione dei sistemi produttivi implicò l’emergere di un sentimento uniforme del sentire e del pensare.

La complessità si accompagnò a una maggiore uniformità globale. In molte società, gli stili e le forme occidentali avevano spinto ai margini le arti e la letteratura colta delle elite non europee, o quanto meno le avevano declassate al rango di artigianato. Soltanto in Giappone e, in misura minore, in Cina, le arti sfuggirono largamente a questo destino, pur mostrando anche lì segni allarmanti di kitsch. Il declino del mecenatismo, la meccanizzazione e la rincorsa alla modernità nell’istruzione avevano realizzato quanto non erano riusciti a fare i grandi distruttori come Genghiz Khan e Tamerlano. L’Asia, l’Africa e il Pacifico avrebbero prodotto artisti raffinati nel XX secolo, ma quasi tutti dediti ora a dipingere arte occidentale in stili indigeni, o al massimo un’arte ibrida, più che autoctona. L’ibridazione, naturalmente, non significava declino e, in Europa e fuori, spesso impresse nuovi impulsi di energia dinamica alla creazione artistica. Tuttavia vi era una contaminazione di simboli, una confusione di tradizioni, e l’arte alta delle corti, dei templi e delle chiese perse la sua integrità. La funzione dell’arte era effettiamente mutata in modo sconvolgente. La creazione artistica era meno guidata dalla fede e dai valori religiosi dei grandi mecenati o della ristretta classe dei colti, e piuttosto invece da un mercato vasto, impersonale e sempre più internazionale.

Bayly C. (2004), Nascita del mondo moderno 1780-1914, Mondadori, Milano, 2011, p. 481.

Bayly. Storia. Modernità. Tutta la drammaticità della schiavitù tra il 1780 e il 1900.

Sono molto sconvolgenti le cifre raccolte dagli storici sul traffico degli schiavi. In base ai calcoli di Paul E. Lovejoy, tra il 1701 e il 1800 furono trasportati dall’Africa attraverso l’Atlantico 6 133 000 schiavi, e altri 3 330 000 tra il 1801 e il 1900. Volendo considerare il periodo coperto da questo studio, 1780-1914, probabilmente il numero complessivo degli abitanti dell’Africa occidentale catturati e sradicati nel corso del “lungo” XVIII secolo (ca. 1680-1780) non risulterebbe molto diverso da quello del “lungo” secolo XIX. Paradossalmente, gli anni ottanta del Settecento, proprio il priodo di approdo decisivo alla modernità e all’Illuminismo, sembrano aver coinciso con il picco assoluto del traffico di schiavi. Ed è altresì probabile che verso la fine del secolo la tratta dagli Stati arabi avesse visto un incremento. Nella storia dei traffici mondiali di scahiavi non andrebbe perciò attribuita eccessiva all’abolizione inglese decretata nel 1807. Anche nei territori britannici il possesso di schiavi si protrasse fino al 1834-1838, e le sue eredità pesarono ancora molto a lungo. Su isole come Giamaica, dove permeava il lavoro di squadra, a differenza del sistema più comune negli USA di assegnare mansioni individuali agli schiavi, ribellioni e punizioni brutali continuarono anche in piena “epoca riformata” degli anni Trenta. In realtà, i ribelli neri delle Indie Occidentali furono trattati come schiavi per oltre una generazione dopo l’emancipazione britannica, e ancora più a lungo proseguì lo schiavismo negli ex territori spagnoli e portoghesi del Nuovo Mondo. Per giunta fu il Brasile, e non i Caraibi, la principale destinazione di schiavi africani nel periodo 1780-1830. Dunque, la decisione del Parlamento inglese di abolire il commercio di schiavi ebbe pure uno scarso impatto sull’Africa stessa per varie generazioni.

Bayly C. (2004), Nascita del mondo moderno 1780-1914, Mondadori, Milano, 2011, p. 500.

Bayly. Storia. Modernità. Il lavoro libero fu, talvolta, solo un’altra forma di schiavitù.

Anche dopo la fine ufficiale del commercio e del possesso di schiavi in tutto il mondo, il sistema del lavoro a ingaggio rappresentò un’altra forma di estremo asservimento in grado di rimpiazzarlo e di creare, nelle parole di Hugh Tinker, che citava a sua volta Lord John Russell, primo ministro inglese a metà dell’Ottocento, una “nuova forma di “schiavitù”. All’interno delle società asiatiche e africane del XIX secolo, esistevano particolari privince o regioni che, anno dopo anno, producevano eserciti di coolies o manovali ingaggiati per opere pubbliche, piantagioni e miniere, spesso reclutati tra le popolazioni aborigene o “tribali”. Si trattava di un sistema facilmente adattabile alle necessità di lavoro d’oltremare. All’incirca tra il 1830 e il 1912 (quando il governo inglese limità il trasporto di lavoratori ingaggiati dall’India in seguito a una cmpagna promossa da nazionalisti e filantropi) ancora quattro milioni o più di indiani, malesi, singalesi, cinesi e giapponesi furono portati da un capo all’altro del mondo per lavorare come manovali. Per quanto fossero tecnicamente uomini liberi, erano talmente vincolati dalle clausole contrattuali e dai debiti che li legavano agli impresari che la loro situazione dava origine ad abusi in misura non diversa dalla schiavitù vera e propria. Indiani provenienti dal Bihar e dalle regioni del Sud venivano inviati nelle isole dello zucchero, dai Caraibi a quelle di Marizio e alle Figi. Prima del 1914, 250 000 indiani poveri erano stati importati in Guyana, 134 000 a Trinidad, e 33 000 a Giamaica.

Bayly C. (2004), Nascita del mondo moderno 1780-1914, Mondadori, Milano, 2011, p. 506.

Bayly. Storia. Modernità. L’Europa è sempre stata una terra esportatrice di manodopera.

Ciononostante, quando la Francia ebbe a risentire di un’acuta carenza di forza lavoro, come accadeva stagionalmente nel Sud durante il periodo del raccolto e a livelli molto gravi nel corso della prima Guerra mondiale, migliaia di contadini tributari della Francia furono trasportati dall’Algeria e dall’Indocina per far tornare i numeri. I contadini del Terzo Mondo venivano reclutati per riempire le file rimaste vuote di agricoltori europe. Questi “contadini” non divennero mai “francesi”, se non per breve tempo quando c’era bisogno di loro come carne da cannone durante le guerre. Una simile situazione da Terzo Mondo si poteva osservare anche nel Sud dell’Euriopa. In Italia e in Spagna, come in gran parte dell’Est europeo, prima della fine dell’Ottocento lo Stato stentava persino a entrare in contatto con l’immensa realtà di miseria, malnutrizione e malaria presente nelle campagne. L’unica via d’uscita passava per l’emigrazione. I contadini impoveriti italiani, spagnoli, portoghesi e tedeschi confluirono attraverso l’Atlantico in Brasile e in Argentina, soprattutto dopo il 1848. Verso il Nordamerica si misero in viaggio gli irlandesi, i russi, gli scandinavi e i tedeschi.

Bayly C. (2004), Nascita del mondo moderno 1780-1914, Mondadori, Milano, 2011, p. 510.

Bayly. Storia. Modernità. Ancora sugli schiavi.

Un corollario dell’esportazione di merci fu l’esportazione di persone. Nella prima metà dell’Ottocento, la schiavitù africana persistette e addirittura si estese (…). E’ difficile definire il divieto inglese della tratta come una vera rivoluzione. Con esso, semplicemente, il commercio degli schiavi passò alle marinerie di altre nazioni, specialmente il commercio degli schiavi passò dalle marinerie di altre nazioni, specialmente a quelle spagnole e portoghesi. La schiavitù in altre forme continuò a perdurare fino circa al 1845. Negli Stati Uniti, a Cuba e in Brasile doveva funzionare ancora per parecchi decenni. La novità in fatto di esportazione di esseri umani  nella prima metà del secolo fu, comunque, un’ascesa a livelli perfino più alti del numero di “liberi” migranti in altre parti del mondo, in specie da Inghilterra, Scozia, Irlanda e Europa nordoccidentale. La depressione degli anni postbellici e le storie delle fortune fatte nelle americhe, in Sudafrica e, più tardi, in Australia e Nuova Zelanda, coinvolsero centinaia di migliaia di persone in un’era di miglioramento consapevole. Gli uomini di stato europei sperarono che il fenomeno li avrebbe liberati da piantagrane e radicali. In una certa misura ebbero probabilmente ragione.

Bayly C. (2004), Nascita del mondo moderno 1780-1914, Mondadori, Milano, 2011, p. 143.

Bonavventura. Filosofia. Medioevali.

« Ogni creatura nel mondo è per noi come un libro, un’immagine, uno specchio ».

F.S.

Bonavventura. Filosofia. Medioevali.

« Luce inaccessibile, e tuttavia prossima all’anima e più intima all’anima che l’anima a se stessa ».

F.S.

Brown. Storia. Tardoantichità.  Come tante altre conversioni, quella di Costantino fu nel segno del guadagno politico e sociale.

La “conversione” di Costantino fu una conversione molto “romana”. Consistette nel fatto che egli era arrivato a considerare il Sommo Dio dei cristiani, anziché gli dèi tradizionali, come il referente appropriato della religio. Il culto del Dio cristiano aveva portato prosperità a lui personalmente e avrebbe portato prosperità all’impero. Egli era salito al potere dopo una serie di sanguinose guerre civili che avevano distrutto il sistema e diviso l’impero sviluppato da Diocleziano. Occupò Roma nel 312. Ma questo non gli dette il potere totale che desiderava. Solo dodici anni più tardi, nel 324, rilevò la metà orientale dell’impero con una serie di cruente battaglie. E fece tutto questo senza attribuire in alcun modo il suo successo alla corretta religio versio gli antichi dèi. Fu da questa manifesta assenza di pietà verso gli dèi come i guardiani tradizionali dell’impero che i suoi sudditi arrivarono a capire che il loro imperatore era un cristiano. Costantino non era un giovane convertito. Aveva oltre quarant’anni ed era un politico navigato quando alla fine si dichiarò cristiano. Aveva avuto tempo per prendere le misure della nuova religione e rendersi conto delle difficoltà che gli imperatori avevano incontrato nel tentare di sopprimerla. Egli decise che il cristianesimo era una religione adatta per il nuovo impero.

Brown P., (1995), La formazione dell’Europa cristiana, Mondadori, Milano, 2011, pp. 73-74.

Brown. Storia. Tardoantichità. Il cristianesimo non comportò la fine del politeismo, riscrisse gli dèi all’interno di un ordine nel quale essi configuravano come l’estremo negativo della spiritualità.

Questi dèi di rango inferiore erano indicati di solito dai politeisti comedaimones, esseri intermedi invisibili. Per i cristiani, tutti gli dei erano “demoni”, nel senso in cui noi usiamo tuttora la parola “demoni”. Essi non erano semplicemente permalosi. Erano cattivi. I cristiani non negarono mai l’esistenza degli dèi. Ma piuttosto, li trattavano tutti, anche quelli di più alto rango, come malevoli e inaffidabili. I demoni erano invisibili potenze senza volto, vecchi signori dell’arte dell’illusione, che semplicemente usavano i riti, i miti e le immagini tradizionali del politeismo come tante maschere con cui trascinare il genere umano sempre più lontano dall’adorazione dell’Unico vero Dio. Vista con gli occhi cristiani dell’epoca di Costantino, il culto da tempo immemorabile prestato agli dèi in tutto il mondo romano era una grande illusione: gli antichi riti così rispettati dall’imperatore Diocleziano non erano altro che penose rappresentazioni, messe in scena dai demoni, che rimanevano a mezza strada fra l’umanità e il suo vero Dio.

Brown P., (1995), La formazione dell’Europa cristiana, Mondadori, Milano, 2011, pp. 79-80.

Brown. Storia. Antichità. Le contro-persecuzioni dei cristiani.

Dopo la fine della Grande Persecuzione [durata undici anni e perpetrata ai danni di quella che si presume fosse il 10% della popolazione] (…) Le grandi aggregazioni cominciarono a includere molti credenti titubanti. Per gente di questo genere il politeismo era pericoloso per il semplice fatto che esistesse ancora: ed era ancora ben saldamente radicato e seducente. Per questo, quanto più la Chiesa diventava grande tanto più era vitale per ivescovi “far fuori” (per usare il linguaggio militare) le postazioni del nemico con attacchi preventivi. Gli oracoli erano rimasti popolari: molti furono chiusi. I grandi templi venivano deliberatamente violati: le loro porte erano abbattute e i loro santuari profanati, anche solo per dimostrare che gli dèi ad essi associati non erano in grado di proteggere i loro altari da simile sacrilegio. Le statue delle divinità erano fatte a pezzi con studiata accuratezza: le teste, le braccia e le gambe venivano tagliate via, in modo da privarle della “vita” divina che i loro adoratori (e anche molti tiepidi cristiani) vedevano in esse. (…) Anche in regioni del mondo romano in cui il politeismo non fu fatto segno ad attacchi diretti, gli veniva consentito di esistere solo a condizione che fosse visto come un guscio vuoto, prosciugato di ogni potere soprannaturale. In tutto il mondo romano, il panorama urbano cambiò. I templi divennero spazi morti. Il loro stato sempre più in rovina proclamava la nascita di un nuovo gruppo religioso, la cui religio (il culto di Cristo) fu ufficialmente dichiarata responsabile della sicurezza dell’impero romano.

Brown P., (1995), La formazione dell’Europa cristiana, Mondadori, Milano, 2011, pp. 89-91.

Cesare. Storia. Antichità. Il comunismo degli Svevi. Per altre forme di comunismo, vedi anche sotto.

Gli Svevi sono la nazione più grande e più bellicosa di tutti i Germani; si dice che abbiano cento villaggi, ciascuno dei quali fornisce ogni anno mille armati, per attaccare i paesi vicini; quelli che rimangono a casa provvedono al vitto per sé e per l’esercito; l’anno successivo, mutato il turno, questi restano a casa e quelli vanno sotto le armi. Così non si tralascia né l’agricoltura, né la teoria o la pratica della guerra. Nessun campo è presso di loro di proprietà privata né definito da limiti; nessuno può rimanere più di un anno a lavorare la terra nello stesso luogo. Non si nutrono molto di frumento, ma in massima parte di latte o di carne ovina e molto si dedicano alla caccia. Questa attività, il genere di cibo, l’esercizio quotidiano e la libertà di vita (non sono sottoposti da fanciulli da nessun dovere e a nessuna disciplina e niente fanno mai contro volontà) accresce le loro forze fisiche e li rende uomini di gigantesca statura. Sono abituati a non portare in quei luoghi freddissimi, altro vestito che le pelli che, piccole come sono, coprono poca parte del copro. Si lavano nei fiumi.

Cesare Caio Giulio, La guerra gallica, Rizzoli, Milano, 1997, p. 133.

Cesare. Storia. Antichità. Usi e costumi degli Svevi.

Concedono l’ingresso nelle loro terre ai mercanti più per avere a chi vendere il loro bottino di guerra, che per importare qualcosa. Essi non importano neppure i cavalli, che i Galli, invece, apprezzano moltissimo e comprano a caro prezzo, e con continuo esercizio rendono quelli indigeni, anche se piccoli e brutti, adatti a sostenere grandi fatiche. Nelle battaglie di cavalleria spesso smontano da cavallo e continuano a combattere a piedi, mentre i quadrupedi, abituati appositamente, non muovono da quel preciso punto; in caso di necessità si ritirano velocemente balzando in groppa. Niente, secondo i loro costumi, è considerato più vergognoso e più vile che adoperare la sella e, per quanto pochi essi siano, osano affrontare qualunque numero di cavalieri forniti di sella. Non permettono che sia importato nella loro terra il vino, perché credono che esso determini l’infiacchimento degli animi.

Cesare Caio Giulio, La guerra gallica, Rizzoli, Milano, 1997, p. 133.

Cesare. Storia. Antichità. La credulità dei Galli.

Quando Cesare fu informato di questi avvenimenti, temendo la leggerezza dei Galli (sono infatti volubili nelle loro decisioni, e desiderosi sempre di novità) pensò che non bisognava fidarsi di loro. I Galli hanno l’abitudine di far fermare i viandanti, anche quando questi non ne hanno voglia, e di chiedere loro cosa abbiano sentito dire o abbiano saputo su qualunque argomento; i mercanti vengono circondati sulle piazze dalla folla e devono raccontare per quali regioni vengono e che notizie ne portino. Secondo questi racconti essi poi prendono le loro decisioni anche per affari importanti ed è inevitabile che presto, poi, abbiano a pentirsene, giacché danno ascolto a incerte dicerie o a risposte falsate per assecondare la loro volontà.

Cesare Caio Giulio, La guerra gallica, Rizzoli, Milano, 1997, p. 133-135.

Cesare. Storia. Antichità. Gli schiavi in Gallia.

In Gallia vi sono due categoria di uomini che sono tenuti in gran conto e in grande onore; quelli che appartengono alla plebe sono considerati come schiavi e non prendono da soli nessuna iniziativa né partecipano a nessuna assemblea; molti, poi, quando sono oberati da debiti o da tributi troppo gravosi o sono tormentati dalle offese di potenti, si fanno servi dei nobili, che hanno, allora, su di loro quasi gli stessi diritti dei padroni sugli schiavi. Delle due categorie sopraccennate l’una è quella dei druidi, l’altra quella dei cavalieri.

Cesare Caio Giulio, La guerra gallica, Rizzoli, Milano, 1997, p. 225.

Cesare. Storia. Antichità. (Usi e costumi dei germani: p. 229).

Cesare. Storia. Antichità. Giustificazione della disinformazione delle masse tra i germani.

Presso le genti che, secondo l’opinione comune, hanno un’organizzazione politica migliore, è prescritto dalla legge che chiunque senta dire dai popoli confinanti qualcosa circa gli affari pubblici, sia che si tratti di diceria isolata, sia di voce diffusa, deve riferire tutto al magistrato, senza parlarne con nessuno. Ciò perché si sa che spesso le dicerie infondate, spaventando uomini impulsivi ed ignoranti, li spingono ad atti inconsulti o a commettere eccessi. I magistrati tengono segreto ciò che credono opportuno e mettono il popolo al corrente di ciò che giudicano necessario. Non è permesso trattare affari di stato se non nelle pubbliche adunanze.

Cesare Caio Giulio, La guerra gallica, Rizzoli, Milano, 1997, p. 229.

Cesare. Storia. Antichità. La castità non è stata solo una vocazione cristiana.

Tutta la loro attività [dei Germani] consiste nella caccia e negli esercizi militari; fin da piccoli si abituano alla fatica e alla vita dura. I giovani, quanto più a lungo restano casti, tanto più sono lodati, perché si crede che la continenza contribuisca a rendere più alta la statura, più robusto il corpo e più saldi i nervi. Considerano tra le cose più vergognose aver contatto con una donna prima dei venti anni: eppure non si fa mistero di sesso, tanto è vero che uomini e donne si bagnano insieme nei fiumi e si coprono con corte pellicce, che lasciano nuda gran parte del corpo.

Cesare Caio Giulio, La guerra gallica, Rizzoli, Milano, 1997, p. 231.

Cesare. Storia. Antichità. Il comunismo: la variante dei Germani.

Non si dedicano all’agricoltura e la maggior parte di essi vive di latte, formaggio e carne. Nessuno ha terreni di propiretà privata: i principi e i magistrati ogni anno assegnano la qualità di terra che credono opportuna, e nella località da essi stabilita, alle genti o alle famiglie in cui i parenti vivono insieme e l’anno dopo li costringono a migrare in un altro punto. Spiegano quest’uso adducendo molte ragioni: perché una prolungata abitudine non muti il loro interesse per la guerra con quello per l’agricoltura; perché non sentano il desiderio di accapparrarsi grandi proprietà e i più potenti prevalgano sui più deboli; perché non fabbrichino case adeatte a ripararli dal freddo e dal caldo; perché non nasca l’avidità di ricchezze, che sempre provoca discussioni e dissensi; vogliono inoltre, col disinteresse di tutti, tenere a freno la plebe, evitando che sorda tra essa l’invidia, poiché ciascuno può così vedere che le sue ricchezze sono pari a quelle dei più potenti.

Cesare Caio Giulio, La guerra gallica, Rizzoli, Milano, 1997, p. 231.

Cesare. Storia. Antichità. La brutalità della guerra.

Non ci fu nessuno dei nostri che cercasse di darsi al saccheggio: pieni di ira per la strage di Cenabo e le fatiche sostenute durante l’assedio, non risparmiarono nessuno né vecchi né donne né fanciulli. Insomma, di tutti i difensori che ammontavano a circa quarantamila, solo ottocento, quelli che alle prime grida erano fuggiti dalla città, arrivarono incolumi a Vercingetorige.

Cesare Caio Giulio, La guerra gallica, Rizzoli, Milano, 1997, p. 271.

Cesare. Storia. Antichità. Discorso di Critognato.

Nulla (…) voglio dire circa la proposta di coloro che chiamano col nome di resa una turpissima servitù, che io ritengo non meritevoli di essere detti cittadini, né di essere interpellati nel consiglio. Apro la discussione con quelli che approvano l’idea della sortita, proposta in cui voi tutti siete d’accordo nel vedervi un richiamo alla nostra antica virtù. Ma è debolezza d’animo, non valore, questo non saper sopportare per un po’ le privazioni. E’ più facile trovare chi si offerse spontaneamente alla morte che uno che sappia sopportare con pazienza la sofferenza. Ed io approverei questa proposta – tanto può in me il senso dell’onore – qualora vedessi che si metterebbe in gioco solo la nostra vita; ma nel decidere dobbiamo pensare a tutta la Gallia che abbiamo chiamata ad aiutarci. Uccisi ottanta mila uomini in un sol punto, quale spirito credete che potrebbero avere i parenti e i familiari nostri costretti quasi a combattere sui cadaveri?

Cesare Caio Giulio, La guerra gallica, Rizzoli, Milano, 1997, p. 319.

Cesare. Storia. Antichità. Un castigo severissimo per i ribelli delle province romane.

Cesare sapeva che la sua clemenza era nota a tutti e non temeva più di essere accusato di crudeltà se anche avesse preso i provvedimenti più severi; capiva anche che non avrebbe mai portato a termine i suoi disegni se popolazioni delle varie regioni della Gallia continuavano in tal modo a ribellarsi: credette opportuno, pertanto, atterrire gli altri dando un esempio di castigo severissimo. Perciò a tutti quelli che avevano impugnato le armi contro i Romani fece amputare le mani, lasciando loro la vita perché potessero maggiormente testimoniare come i Romani punivano i ribelli.

Cesare Caio Giulio, La guerra gallica, Rizzoli, Milano, 1997, p. 367.

Chandler. Letteratura. Noir. Uno spaccato della vita contemporanea a base di droghe.

Prove di che? Provavano soltanto che un tale fumava ogni tanto una sigaretta drogata, e quest’uomo per di più aveva l’aria di non restare insensibile a nessuna cosa che avesse un tono esotico. D’altra parte c’è un’infinità di gente che fuma la marjuana, persino suonatori d’orchestra, studentelli e ragazzine per bene che hanno gà oltrepassato il periodo degli esperimenti. E’ l’hascisc americano. Una pianta capace di crescere dovunque. La sua coltivazione è proibita. Il che non contanta tanto in un paese grande come gli Stati Uniti d’America.

Chandler R., Addio mia amata, Feltrinelli, 1941, p. 81.

Cicerone. Storia. Antichità. La paura della morte è fondamentale per l’ordine pubblico.

E’ per questo che, volendo che i malvagi avessero davanti agli occhi, in vita, un qualche spauracchio, gli antichi sostennero l’esistenza, nell’aldilà, di certi supplizi di tal genere, ben comprendendo, immagino, che senza di questi la morte stessa non contenga più niente che possa incutere spavento.

Catilinaria 4, 7-8.

Sallustio, La congiura di Catilina, Mondadori, 1992, p. 138.

Cipolla. Storia. Medioevo. Sulla qualità degli orologi nel medioevo e la lancetta dei minuti.

« I primi orologi marcavano il tempo così imperfettamente che dovevano continuamente venir corretti e la correzione veniva fatta da appositi “governatori d’orologi, i quali mandavano avanti o indietro la lancetta dell’ora ( la lancetta dei minuti apparve molto più tardi ) ».

Cipolla C., Storia Economica dell’Europa Pre-industriale. Il Mulino. Bologna. 1997.

Cipolla. Storia. Medioevo. Nascita ( dell’uomo) macchina.

« La ragione per cui la macchina origine in Europa va cercata in termini umani. Prima che gli uomini potessero sviluppare e applicare la macchina come fenomeno sociale occorreva che gli uomini stessi divenissero meccanici ».

Cipolla C., Storia Economica dell’Europa Pre-industriale. Il Mulino. Bologna. 1997.

Cipolla. Storia. Medioevo. L’occidentale gusto per la macchina.

« Sulle torri comunali a Basilea come a Bologna, sui campanili delle chiese o all’interno delle chiese come a Strasburgo e a Lund si costruirono complicatissimi orologi, in cui l’indicazione dell’ora era un fatto quasi accidentale che si accompagnava a rivoluzione di astri, a movimenti e piroette di angeli, santi, madonne, magi e personaggi del genere. Questi macchinari testimoniavano ad usura un gusto irrefrenabile per il fatto meccanico. Questo gusto raggiunse forme esasperate nel corso del rinascimento e ne ritroviamo l’espressione più chiara nei disegni di Leonardo ».

Cipolla C., Storia Economica dell’Europa Pre-industriale. Il Mulino. Bologna. 1997.

Cipolla. Storia. Medioevo.

« Il tema dominante nella concezione del mondo sia greco-romano sia orientale è quello di un’armonia tra uomo e natura, un rapporto che presupponeva però nella natura forme involabili a cui l’uomo doveva fatalmente sottomettersi. (…)

Il mondo medioevale misteriosamente ruppe questa tradizione ».

Cipolla C., Storia Economica dell’Europa Pre-industriale. Il Mulino. Bologna. 1997.

Cipolla. Storia. Medioevo. I sogni di dominio della natura dei medioevali: il culto dei santi.

« Tecnicamente ancor troppo arretrati per dominare di fatto la natura in modo apprezzabile, gli europei del medioevo si rifugiarono nel mondo dei sogni. All’”animismo” degli antichi e degli orientali si sostituì il culto dei santi. I santi non erano né demoni né spiriti strani: erano uomini, in grazia di Dio, ma pur sempre uomini – le cui fattezze tutti vedevano sui portali all’interno delle chiese: volti di ogni giorno, colti che la gente incontrava di continuo tra i propri simili. Questi “santi” non si adagiavano nell’immobilismo ieratico dei santoni orientali né si divertivano come gli dei greci, a punire gli uomini per la loro audacia. Al contrario, si davano di continuo da fare per dominare la forme avverse della natura e sconfiggevanole malattie, calmavano i mari in burrasca, salvavano i raccolti (…). Questi i sogni dell’uomo medioevale. Dominare la natura non era peccato e credere ai miracoli è il primo passo per renderli possibili ».

Cipolla C., Storia Economica dell’Europa Pre-industriale. Il Mulino. Bologna. 1997.

Cipolla. Storia. Medioevo. Sulla soddisfazione dei bisogni dell’uomo nelle società pre-industriali.

« In conclusione, si può affermare che sino alla rivoluzione industriale l’uomo continuò a soddisfare il suo bisogno di energia basandosi soprattutto sulle piante e sugli animali: sulle piante per ottenere il cibo e combustibile, sugli animali per disporre di cibo e di energia ».

Cipolla C., Storia Economica dell’Europa Pre-industriale. Il Mulino. Bologna. 1997.

Cipolla. Storia. Medioevo. Forme dell’energia pre-industriale.

« … tenendo conto delle caratteristiche generali suesposte –che dall’80%-85% dell’energia totale a disposizione dell’umanità in un epoca qualsiasi a quella della rivoluzione industriale era fornita dalle piante, dagli animali e dagli uomini stessi ».

Cipolla C., Storia Economica dell’Europa Pre-industriale. Il Mulino. Bologna. 1997.

Cipolla. Storia. Medioevo. Sulle ragioni dell’esistenza della schiavitù nell’antichità: problema nella produzione di energia.

« La diffusione della schiavitù fu appunto una delle conseguenze di questa generale penuria di altre forme di energia ».

Cipolla C., Storia Economica dell’Europa Pre-industriale. Il Mulino. Bologna. 1997.

Conrad. Letteratura. Sensazioni di persone in esilio dalla propria terra.

« E poi, ripeto, stavo per tornare in patria, – in quella patria così lontana che tutti i suoi focolari apparivano come un focolare unico davanti al quale anche il più umile di noi aveva il diritto di sedersi. Vaghiamo a migliaia per tutta la terra, illustri o sconosciuti, guadagnandoci oltremare fama e denaro o soltanto una crosta di pane; ma a me sembra che per ciascuno di noi tornare in patria debba essere l’equivalente di una resa dei conti. Torniamo per affrontare i nostri superiori, i nostri parenti e i nostri amici- quelli ai quali obbediamo e quelli che amiamo; ma anche coloro che non hanno nessuno, i più liberi, solitari, irresponsabili, privi di legami. Anche per coloro per i quali la patria non contiene né un viso caro né una voce familiare- anche coloro devono fare i conti con lo spirito che risiede in quella terra, sotto il suo cielo, nella sua aria nelle sue valli, sulle alture e nei suoi campi, nelle acque e nei suoi alberi- un muto amico, giudice e ispiratore. Dite quel che volete, ma per godere della sua gioia, per respirare la sua pace,per affrontare la sua verità, bisogna tornarvi con la coscienza tranquilla. Tutto questo può sembrarvi mero sentire narcisistico; e in effetti pochissimi tra noi vogliono o possono guardare consapevolmente sotto la superficie delle emozioni usuali. Ci sono le ragazze che amiamo, gli uomini che ammiriamo, le tenerezze, le amicizie, le occasioni, i piaceri! Resta però il fatto che dovete ricevere la vostra ricompensa con le mani pulite, se non volete che nel vostro pugno si tramuti in foglie secche e spine. Io credo che siano i solitari, quelli senza focolare o un affetto, che possono reclamarla come propria, quelli che non tornano a una casa ma alla terra in sé, per incontrare lo spirito disincarnato, eterno e immutabile –che siano loro a comprendere meglio la severità, il potere di redenzione, la grazia del suo diritto secolare alla nostra fedeltà alla nostra obbedienza. Si!, pochi di noi lo capiscono ma tutti lo sentiamo, e dico tutti, senza eccezione perché quelli che non lo sentono non contano. Ogni filo d’erba ha un suo posto sulla terra da cui attinge vita e forza; nello stesso modo l’uomo ha le radici nella terra da cui attinge la propria fede insieme con la propria vita ».

Conrad, J., Lord Jim. Arnoldo Mondadori. Milano. 1997.  Pp. 189-190.

Conan Doyle. Letteratura inglese. Ancora una volta, tracce del presente.

Per incominciare mi vedo costretto a dirle qualcosa della mia carriera universitaria. Provengo dall’Univeristà di Londra e spero lei non crederà che io voglia indebitamente cantare le mie lodi se le dico che da studente ero ritenuto dai miei professori come una futura promessa della medicina. Dopo essermi laureato, proseguii nelle ricerche di laboratorio, occupando una posizione in sott’ordine all’Ospedale di King’s College, ed ebbi la fortuna di suscitare un interesse non indifferente con le mie ricerche sulla paotlogia della catalessi, conquistando finalmente il premio e la medaglia Bruce Pinkerton con la mia monografia sulle lesioni nervose cui il suo amico ha alluso poco fa. Non credodi esagerare dicendo che a uel tempo tutti avevano l’impressione, nel campo medico, che mi attendesse una carriera luminosa.

Ma l’inciampo maggiore consisteva purtroppo per me nella mia mancanza di mezzi. Come lei si renderà facilmente conto, uno specialista che mira in alto è costretto a mettere studio in una delle dodici strade che circondano Cavendish Square, il che comporta un affitto enorme e grandi spese di arredamento. A parte ciò, deve avere la possibilità di mantenersi senza percepire onorario magari per diversi anni, oltre a noleggiare una carrozza e una cavallo di primo ordine. Tutto questo era assolutamente al di sopra dei meiei mezzi, e potevo soltanto sperare, a furia di economie, di arrivare in capo a dieci anni a mettere sulla porta la mia targa personale.

Conan Doyle, I Signori di Reigate, Mondadori, Milano, 1960, p. 69. Corsivo mio.

Democrito. Filosofia. Atomisti.

« Vi sono due forme di conoscenza, l’una genuina e l’altra oscura; e a quella oscura appartengono tutti quanti questi oggetti: vista, udito, odorato, gusto e tatto. L’altra forma è la genuina e gli oggetti di questa sono nascosti ».

F.S.

Democrito. Filosofia. Atomisti.

« Noi siamo stati discepoli delle bestie nelle arti più importanti: del ragno nel tessere e rammendare, della rondine nel costruire case, degli uccelli canterini, del cigno, nel canto con l’imitazione ».

F.S.

Democrito. Filosofia. Atomisti.

« Il qualcosa non esiste più del nulla ma una volta posti i due tipi di esistenza –la corporea del qualcosa ( l’ente ) e l’incorporea del nulla ( il non ente )- resta la reciproca esclusione ».

F.S.

Eraclito. Filosofia. Presocratici.

« Non date ascolto a me, ma al logos, è saggio convenire che tutte le cose sono uno ».

F.S.

Eraclito. Filosofia. Presocratici.

« La sapienza è dire cose vere e farle ».

F.S.

Eraclito. Filosofia. Presocratici.

« Non bisogna agire e parlare come dormienti ».

F.S.

Eraclito. Filosofia. Presocratici.

« Bisogna seguire il comune. Pur essendo comune il logos, i molti vivono come se avessero una saggezza privata ».

F.S.

Eraclito. Filosofia. Presocratici.

« Come è possibile sfuggire a ciò che non tramonta? »

F.S.

Eraclito. Filosofia. Presocratici.

« Di questo logos che è sempre, gli uomini non hanno intelligenza, sia prima di averlo ascoltato sia subito dopo averlo ascoltato; benché infatti tutte le cose accadono secondo questo logos, essi assomigliano a persone inesperte, pur trovandosi in opere e in parole tali e quali sono quelle che lo spiego, distinguendo secondo natura ciascuna cosa e dicendo come. Ma agli altri uomini rimane celato ciò che fanno da svegli allo stesso modo che non sono coscienti di ciò che fanno dormendo ».

F.S.

Empedocle. Filosofia. Pluralisti.

« L’essere non può originarsi dal non essere e non può perire e distruggersi diventando completamente nulla ».

F.S.

Eraclito. Filosofia. Presocratici.

« Polemos è padre di tutte le cose, di tutte re e gli uni rivela dei e gli uomini, gli uni fa schiavi e gli altri liberi ».

F.S.

Erodoto ( su di se stesso ). Storia. Antichità.

« Che il tempo non cancelli il ricordo delle azioni umane e che le grandi e meravigliose gesta compiute sia dai greci che dai barbari non cadano nell’oblio ».

F.S.

Erodoto. Storia. Antichità.

« Gli uomini sono convinti che le loro usanze sono di gran lunga le migliori ».

F.S.

Epicuro. Filosofia. Antichità.

« Vana è la parola del filosofo se questa non allevia qualche sofferenza ».

F.S.

Epicuro. Filosofia. Antichità. Quando smettere di filosofare.

« L’uomo cominci sin da giovane a filosofare e da vecchio non sia mai stanco di fare filosofia ».

Citato da: Lettera a Meneceo. M. Trombino. Filosofia. Vol. 1.2., Dalle filosofie ellenistiche alla Scolastica. Poseidonia. Bologna. 1997. Pp. 4-7.

Epicuro. Filosofia. Epicureismo. Sulla felicità.

« E’ bene riflettere sulle cose che possono farci felici: infatti, se siamo felici abbiamo tutto ciò che ci occorre; se non lo siamo, facciamo di tutto per esserlo ».

Citato da: Lettera a Meneceo. M. Trombino. Filosofia. Vol. 1.2., Dalle filosofie ellenistiche alla Scolastica. Poseidonia. Bologna. 1997. Pp. 4-7.

Epicuro. Filosofia. Epicureismo. Perché non bisogna temere la morte.

« Abituati a pensare che per noi uomini la morte è nulla, perché ogni bene e ogni male consiste nella sensazione, e la morte è assenza di sensazioni ».

Citato da: Lettera a Meneceo. M. Trombino. Filosofia. Vol. 1.2., Dalle filosofie ellenistiche alla Scolastica. Poseidonia. Bologna. 1997. Pp. 4-7.

Epicuro. Filosofia. Epicureismo. Sui bisogni umani.

« Dobbiamo poi pensare che alcuni dei nostri desideri sono naturali, altri vani. E di quelli naturali alcuni sono necessari, altri non lo sono. E di quelli naturali e necessari, alcuni sono necessari per essere felici, altri per la buona salute del corpo ».

Citato da: Lettera a Meneceo. M. Trombino. Filosofia. Vol. 1.2., Dalle filosofie ellenistiche alla Scolastica. Poseidonia. Bologna. 1997. Pp. 4-7.

Epicuro. Filosofia. Epicureismo. Sulla vanità dei falsi beni ( festini, donne… ).

« Infatti non danno una vita felice né le continue feste, né il godersi fanciulle e donne, né il godere di una lauta mensa. La vita felice è invece il frutto del sobrio calcolo che indica le cause di ogni atto di scelta o di rifiuto, e che allontana quelle false opinioni dalle quali nascono gravissimi turbamenti d’animo ».

Citato da: Lettera a Meneceo. M. Trombino. Filosofia. Vol. 1.2., Dalle filosofie ellenistiche alla Scolastica. Poseidonia. Bologna. 1997. Pp. 4-7.

Epitteto. Filosofia. Stoicismo. Sulle “discussioni” tra padri e figli.

I doveri e gli offici si misurano generalmente dalle relazioni. Il tale ti è padre? appartientisi aver cura di lui; cedergli in ogni cosa; se ti rampogna, se ti batte, portatelo pazientemente. Ma egli è un cattivo padre. Forse che la natura ti obbliga al padre buono? non già semplicemente al padre.

Epitteto, Manuale, SE, Milano, 2009, p. 33.

Epitteto. Filosofia. Stoicismo. Sulle “discussioni” tra padri e figli.

Di qui è che il figliuolo trascorre alle male parole contro il padre, quando costui non gli fa parte di quelli che la gente estima esser beni (…).

Epitteto, Manuale, SE, Milano, 2009, p. 35.

Epitteto. Filosofia. Stoicismo. Discorsi “triti e ritriti”.

(…) discendasi a favellare distesamente; ma non di cotali materie trite e ordinarie, non di gladiatori o di corse di cavalli, non di atleti, non di cibi né di bevande, né di sì fatti altri particolari di che si ode a favellare tutto il dì, e sopra ogni cosa, non di persona alcuna lodando o vituperando o facendo comparazioni.

Epitteto, Manuale, SE, Milano, 2009, p. 38.

Epitteto. Filosofia. Stoicismo. Sulle mode “antiche”.

Misura dello avere si è a ciascheduno il proprio corpo, siccome della scarpa il piede. Per tanto se tu ti conterrai dentro ai termini di quel che è richiesto alla tua persona, tu serberai la misura, ma se tu gli passerai, di necessità da quell’ora innanzi andrai senza fine precipitando come per un dirupato. Non altrimenti che nella scarpa se tu passi più avanti di quello che si appartiene all’uso del piede, la scarpa ti diventa prima dorata, appresso di porpora, poi ricamata, gioiellata. Perocché di là dalla misura non ci ha limite alcuno.

Epitteto, Manuale, SE, Milano, 2009, p. 43.

Eriugena. Filosofia. Medioevali.

Le cause primordiali in quanto sono nel principio di tutte le cose, cioè nel verbo, sono un’unità assolutamente semplice; ma quando procedono nei loro effetti infinitamente moltiplicati divengono molteplici secondo una complessa e ordinata pluralità.

F.S.

Eriugena. Filosofia. Medioevali.

« Nessuno entra in cielo senza la filosofia ».

F.S.


Giangiuseppe Pili

Giangiuseppe Pili è Ph.D. in filosofia e scienze della mente (2017). E' il fondatore di Scuola Filosofica in cui è editore, redatore e autore. Dalla data di fondazione del portale nel 2009, per SF ha scritto oltre 800 post. Egli è autore di numerosi saggi e articoli in riviste internazionali su tematiche legate all'intelligence, sicurezza e guerra. In lingua italiana ha pubblicato numerosi libri. Scacchista per passione. ---- ENGLISH PRESENTATION ------------------------------------------------- Giangiuseppe Pili - PhD philosophy and sciences of the mind (2017). He is an expert in intelligence and international security, war and philosophy. He is the founder of Scuola Filosofica (Philosophical School). He is a prolific author nationally and internationally. He is a passionate chess player and (back in the days!) amateurish movie maker.

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