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Tag: tardo antico

L’oratore siriano Gerio: un profilo sulla base delle fonti (Sant’Agostino, Confessiones IV, xiv, 21) – [Litterae ex oblivio]

Botticelli, Sant’Agostino degli Uffizi. Painting, 15th century; copyright: https://timelessmoon.getarchive.net/amp/media/botticelli-santagostino-degli-uffizi-b582fc

Introduzione:

Le Confessioni di Agostino (Tagaste, 354 – Ippona, 430) si propongono, secondo le parole dell’autore stesso nelle sue Retractationes, di lodare Dio per tutte le azioni compiute, ambo quelle buone e quelle cattive, e di elevare a Dio la mente e il cuore dell’uomo («Confessionum mearum libri tredecim et de malis et de bonis meis deum laudant iustum et bonum, atque in eum excitant humanum intellectum et affectum»; Retr. II, 6). Antonio Cacciari, nella sua Introduzione (2007: VI), sulla medesima scorta, individua i due cardini principali dell’opera agostiniana: laudant e excitant, le Confessioni di Agostino sono una lode e un protrettico a Dio.

Nella complessa biografia del Santo, comprendente la stesura di oltre un centinaio di opere, omelie e lettere, è fondamentale individuare alcuni momenti, al fine del presente lavoro: completati gli studi a Cartagine nel 370, decisivo spartiacque nel pensiero di Agostino fu la lettura dell’Hortensius di Cicerone, un’esortazione alla filosofia conservato in maniera frammentaria, e per la cui conoscenza le informazioni contenute nelle Confessioni (III, iv, 7-8) sono state fondamentali. Nel 374 fu grammaticus a Tagaste, e nel 375 iniziò la sua carriera alla cattedra di retorica a Cartagine, ove rimase per otto anni. Nel 383, a seguito della delusione maturata progressivamente dalla carriera esercitata, si reca a Roma, prima di assurgere, nel 384, alla cattedra di retorica di Milano grazie al prefetto Simmaco. È sul periodo che conduce al 383, ossia al primo distacco dal nord-Africa, che si concentra il presente lavoro.

L’epitome di Ianuario Nepoziano a Valerio Massimo: una riflessione socio-letteraria – [Litterae ex oblivio]

Valerius Maximus's Facta et dicta memorabilia: Opening Page of Book VIII of Valerius Maximus's Facta et dicta memorabilia
Valerius Maximus’s Facta et dicta memorabilia: Opening Page of Book VIII of Valerius Maximus’s Facta et dicta memorabilia. Copyright: https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Flanders,_15th_century_-_Opening_Page_of_Book_VIII_of_Valerius_Maximus%27s_Facta_et_dicta_memorabilia_-_1952.274.1_-_Cleveland_Museum_of_Art.jpg#filelinks

 

Nota dell’autore: il presente contributo, sull’epitome latina di Ianuario Nepoziano, è il primo della rubrica Literrae ex oblivio (lett. “Letteratura dall’oblio”), finalizzata a rendere nota e merito di opere di letteratura latina di ogni tempo, dagli albori con Livio Andronico (III sec. a.C.) fino agli esemplari medio-latini, opere che la fortuna editoriale e l’impostazione scolastica hanno, tutt’altro che a buon diritto, dimenticato; opere affascinanti e meritevoli di studio critico filologico, linguistico e letterario.

Introduzione:

L’arte dell’epitomare, ossia del sunteggiare un’opera tendenzialmente di imponenti dimensioni, non è sicuramente prerogativa esclusiva del Tardo-Antico: la difficoltà nel gestire una mole tale di informazioni da risultare ingovernabile era un problema già sollevato, e in un certo senso affrontato con successo, già dal periodo dello splendore letterario augusteo (27 a.C. – 14 d.C.). Un suggerimento rilevante ci giunge, in questo senso, da Valerio Marziale (38/41 d.C. – 104 d.C.), che in uno dei suoi epigrammi (Apophoreta, 14, CXC)[1] rende noto di essere in possesso di un’epitome degli imponenti 142 libri dell’Ab Urbe condita di Tito Livio (59 a.C. – 17 d.C.) riassunti in un unico codice pergamenaceo (cfr. Conte 2019: 194). Le dimensioni dell’opera liviana,[2] e con esse la rilevanza storiografica della materia trattata, richiesero giocoforza una resa in epitome, difatti la tradizione manoscritta ha tramandato le Perìochae, ossia un «Livio ‘epitomizzato’ (probabilmente a scopo didattico)» (Ibidem).[3]