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Italo Svevo tra Darwin e Schopenhauer

Ovvero: Quando la Letteratura incontra la Scienza e la Filosofia

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Il marxismo e la psicanalisi hanno avuto un ruolo importante nell’analisi e interpretazione dei romanzi da parte dei critici letterari nel ventesimo secolo. La critica letteraria di impostazione marxista assume che il testo letterario e l’autore che lo produce sono il frutto delle condizioni economiche e sociali in cui l’autore viveva al momento in cui il testo è stato scritto, mentre la critica letteraria di impostazione psicoanalitica utilizza i principi della psicanalisi per analizzare gli scopi dell’autore di un testo letterario e come questi scopi sono realizzati nel testo. A partire dagli anni 90 è stato sviluppato un nuovo approccio all’analisi ed interpretazione dei testi letterari, noto come Darwinismo Letterario[1]. Il Darwinismo Letterario riconosce che uno degli scopi fondamentali della letteratura è quello di esplorare e rappresentare la condizione umana, ed in particolare i processi della mente, quelli del comportamento, e le dinamiche delle relazioni sociali. Il Darwinismo Letterario fa riferimento ad una disciplina scientifica, la psicologia evoluzionistica, nell’analizzare ed interpretare i processi psicologici e comportamentali rappresentati nella letteratura.

Un concetto fondamentale per la psicologia evoluzionistica è quello della natura umana, vale a dire l’idea che gli esseri umani possiedono delle caratteristiche psicologiche e comportamentali universali, con delle basi biologiche significative, che si sono evolute tramite la selezione naturale, e che rappresentano degli adattamenti all’ambiente. Gli psicologi evoluzionistici hanno mostrato che una delle caratteristiche adattative della mente umana è la nostra tendenza a percepire noi stessi e il nostro ambiente circostante in maniera soggettiva, in modo favorevole a noi stessi, e così da facilitare la nostra sopravvivenza e riproduzione. Le nostre caratteristiche psicologiche adattative influenzano il nostro comportamento e fanno sì che le relazioni sociali siano prevedibili su base probabilistica. Gli esseri umani sono ben adattati a vivere in ambienti sociali complessi e altamente competitivi. L’altruismo si osserva spontaneamente soprattutto tra individui imparentati, mentre la cooperazione tra individui non imparentati è possibile ma emerge solo in circostanze particolari. La tendenza degli esseri umani ad essere competitivi e ad affermare i propri desideri e bisogni a scapito di quelli altrui risulta nella formazione di relazioni di dominanza tra gli individui, che a loro volta danno origine alle gerarchie di potere nelle società umane. L’acquisizione e il mantenimento del potere richiedono spesso la formazione di alleanze politiche tra individui o gruppi di individui. L’esistenza di predisposizioni biologiche sia nei processi psicologici che in quelli comportamentali non implica alcun tipo di determinismo. Queste predisposizioni possono esprimersi in maniera diversa in ambienti differenti. Il comportamento umano mostra molta variabilità a livello individuale, e questa variabilità ha delle cause sia genetiche che ambientali. La natura umana è malleabile e può essere controllata o soppressa; la biologia non è destino. Il darwinismo è una teoria scientifica e non fornisce alcuna valutazione morale o indicazioni prescrittive riguardo al comportamento umano.

La psicologia evoluzionistica fornisce uno strumento interpretativo molto efficace, non soltanto per le menti, il comportamento, e le dinamiche sociali nella vita reale ma anche per le loro rappresentazioni letterarie. Gli autori di romanzi possono avere motivazioni distinte per creare un’opera letteraria, e quest’ultima può svolgere funzioni molto diverse, da puro intrattenimento a critica socio-politica ad esplorazione epistemologica. Non è detto che il Darwinismo Letterario sia applicabile a qualsiasi tipo di opera letteraria. Quando però l’esposizione al darwinismo e l’assorbimento di queste idee risultano chiare dalla biografia di uno scrittore, e quando tale scrittore fa riferimenti precisi all’evoluzione biologica nella sua opera letteraria, allora un’interpretazione darwiniana di quest’opera non è soltanto auspicabile ma anche necessaria.

Nel periodo storico che comprende la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, alcuni scrittori europei scrissero dei romanzi psicologici nei quali presentarono una nuova visione della natura umana ispirata dalla teoria evolutiva darwiniana[2]. Sebbene l’influenza del darwinismo su questi scrittori sia stata riconosciuta dai critici letterari, la visione della natura umana presentata nei loro romanzi non è stata esplorata e compresa a fondo. Un caso tipico è quello di Italo Svevo, uno scrittore del primo Novecento tra i meglio conosciuti e tra i più amati dai lettori italiani.

 

L’interpretazione tradizionale dei romanzi di Svevo

I tre romanzi di Italo Svevo Una Vita (1892), Senilità (1898), e La Coscienza di Zeno (1923) costituiscono una trilogia narrativa centrata sulla figura dell’inetto, il personaggio principale la cui personalità, idee, aspirazioni, e vicende sono modellate a quelle di Svevo stesso. I protagonisti dei tre romanzi, Alfonso Nitti, Emilio Brentani, e Zeno Cosini, appaiono sostanzialmente affini tra loro nel fatto che sono degli individui incapaci di inserirsi nelle dinamiche tradizionali della famiglia, delle amicizie, e del lavoro, e che quindi si trovano a gestire relazioni problematiche e frustranti con i propri genitori e i propri figli, con le amanti e le mogli, e con gli amici, i colleghi di lavoro, e i superiori.

La critica ad orientamento psicoanalitico ha enfatizzato come Svevo tenda non tanto a fornire una narrazione oggettiva delle vicende che coinvolgono i protagonisti (per esempio tramite l’uso di un narratore onnisciente) quanto piuttosto ad esplorare, attraverso un’analisi introspettiva, i luoghi più profondi ed oscuri della loro coscienza. In questa interpretazione, gli inetti sveviani sono incapaci di inserirsi e di avere un ruolo costruttivo nella società perché sono troppo occupati ad esaminarsi la coscienza e ad esplorare le radici inconscie del proprio comportamento. L’unico tipo di esistenza che gli inetti sono in grado di avere è quella improntata all’analisi introspettiva che tende a smascherare i motivi reali delle proprie azioni, identificare le radici profonde dei propri desideri e paure, ed evidenziare i meccanismi psicologici usati per mentire a se stessi, gestire i sensi di colpa, e reprimere ricordi e pensieri poco graditi. Visto che gli inetti sono costantemente e patologicamente orientati su se stessi, nel corso della vita essi diventano vittime del caso o delle dinamiche sociali dominanti nell’ambiente in cui vivono.

I critici letterari di impostazione marxista hanno suggerito che sebbene Svevo derivi dalla psicanalisi un interesse per i processi psicologici, egli finisce per spiegarli sulla base dei processi sociali ed economici. Secondo questi critici, gli inetti sveviani sono definiti, sia per quanto riguarda i propri pensieri che le proprie azioni, dalla loro appartenenza ad una specifica classe sociale, la piccola/media borghesia intellettuale. In questa ottica, uno degli scopi principali perseguiti da Svevo nei tre romanzi sarebbe quello di formulare delle generalizzazioni sugli orientamenti psicologici e comportamentali della piccola/media borghesia intellettuale, e più in generale, di rappresentare la crisi della borghesia e dei suoi valori. La critica ad impostazione marxista ha quindi suggerito che l’inettitudine è un prodotto storico, per il quale le responsabilità dell’individuo sono inesistenti rispetto a quelle della società.

Visto che l’interpretazione della figura dell’inetto ha un ruolo centrale nell’interpretazione dei romanzi di Svevo sia in chiave psicanalitica che in quella marxista, è importante notare che nella lingua italiana l’aggettivo inetto (dal latino ineptus, derivato dalla combinazione in + aptus) ha due significati diversi. Il primo indica una persona goffa, maldestra, o incompetente. Il secondo si riferisce ad un individuo inadatto o maladattato. Questo secondo significato non implica necessariamente una carenza di competenze o altre debolezze intrinseche, ma si riferisce al concetto che l’individuo non è adattato al proprio ambiente, quindi c’è una mancanza di corrispondenza tra le caratteristiche dell’individuo e le esigenze dell’ambiente. Di questa mancanza di corrispondenza può essere responsabile l’individuo (per natura o per scelta), oppure l’ambiente (perché per esempio l’ambiente cambia rapidamente), o entrambi. La maggior parte della critica tradizionale ha fatto riferimento al primo significato dell’aggettivo inetto. C’è motivo di credere, però, che Svevo stesso abbia usato il termine inetto in relazione al suo secondo significato, quello di maladattato all’ambiente in senso darwiniano.

Svevo, Darwin, e Schopenhauer

L’interesse di Svevo nel darwinismo e la sua conoscenza approfondita di concetti evoluzionistici fondamentali quali la selezione naturale, l’adattamento, e la natura umana, sono espresse nei suoi saggi ‘L’uomo e la teoria darwiniana’ (1905) e ‘La corruzione dell’anima’ (1907). Da Darwin Svevo aveva assorbito l’idea che il comportamento umano è fortemente influenzato da predisposizioni biologiche e che ci sono leggi naturali che regolano le relazioni sociali tra gli individui, quali la competizione per la sopravvivenza e per la riproduzione, che Svevo chiama ‘lotta’. Alcuni aspetti della visione darwiniana della natura umana di Svevo, però, sono contaminati dalla filosofia di Schopenhauer. Per esempio, Svevo ha una visione deterministica e fatalistica della natura umana e della vita che non è propria del darwinismo stesso, ma rappresenta una derivazione dalla filosofia di Schopenhauer. Dei tre romanzi di Svevo, Una Vita e La Coscienza di Zeno sono quelli che più si prestano ad un’analisi darwiniana.  In entrambi, i protagonisti prestano la propria voce per esprimere direttamente le idee di Svevo e i suoi dilemmi esistenziali. Come anche riconosciuto da Svevo stesso, in Senilità le riflessioni filosofico-esistenziali dell’autore e del suo alter-ego, il protagonista Emilio Brentani, sono quasi del tutto assenti. In questo romanzo l’aspetto epistemologico della narrativa è chiaramente subordinato a quello estetico-artistico.

Una Vita

Un’analisi darwiniana di Una Vita si centra sull’interpretazione dell’inetto come di un maladattato in senso darwiniano. Una delle conclusioni principali di questa analisi è che l’inettudine non è una condizione psicologica ma il frutto di una scelta, una presa di posizione basata sulla constatazione di non essere come gli altri e non di trovarsi a proprio agio tra loro. Il protagonista di Una Vita, l’inetto Alfonso Nitti, si rifiuta di vivere lasciandosi guidare dai propri istinti e di soggiacere agli impulsi della natura umana che lo spingono verso l’egoismo, la vanità, la competizione, e la manipolazione sociale. Questo rifiuto di adeguarsi alle ‘leggi naturali’ delle relazioni sociali rende l’inetto un maladattato. Alfonso pone la conoscenza e la rettitudine morale come valori alternativi e superiori agli istinti biologici che governano le motivazioni e le azioni degli esseri umani. Il suo suicidio finale è un atto di affermazione individuale e di ribellione alle leggi darwiniane della vita, con il conseguente rifiuto della stessa, dopo la constatazione che la soppressione della propria natura umana e l’adozione di uno stile di vita contemplativo non sono possibili.

L’importanza degli adattamenti biologici nella mente e nel comportamento è illustrata in Una Vita nella famosa conversazione sui gabbiani tra Alfonso e Macario, in cui Macario spiega che i gabbiani sono “Fatti proprio per pescare e per mangiare”. Qui Svevo introduce anche l’idea che gli esseri umani non nascono tutti uguali, e alcuni sembrano essere meglio adattati alla vita di altri. Macario esprime la convinzione che gli intellettuali sono poco adattatati alla vita, molto meno degli individui pragmatici, ambiziosi, e competitivi quali lui stesso. In realtà, un tema ricorrente nei romanzi di Svevo, che viene introdotto in Una Vita ed elaborato ne La Coscienza di Zeno, è che la forza e sicurezza dei non-intellettuali (una condizione che viene identificata con la ‘salute’) sono solo apparenti, sono un’illusione.

Una Vita fornisce una rappresentazione brutale delle dinamiche delle relazioni sociali e delle motivazioni che guidano il comportamento umano. Svevo mostra che nell’ambito delle relazioni sociali, la natura umana si esprime nelle tendenze competitive con gli altri, nell’orientamento gerarchico teso ad aspirare a posizioni di stato sociale elevato o a mantenerle, nel desiderio per il guadagno materiale o il riconoscimento narcisistico del proprio valore, e nell’attrazione sessuale e il desiderio di conquista romantica. Alfonso è costretto a riconoscere che la natura umana non può essere controllata o soppressa: non è possibile rendersi immuni alle influenze delle proprie predisposizioni biologiche, in termini di percezioni, motivazioni, desideri, ed emozioni. Questa constatazione è espressa nella riflessione finale di Alfonso, nel momento in cui prende la decisione di suicidarsi: “Bisognava distruggere quell’organismo che non conosceva la pace; vivo avrebbe continuato a trascinarlo nella lotta perché era fatto a quello scopo”.

Il fatto che Alfonso si riferisca a se stesso usando la terza persona, si distanzi da se stesso usando la parola ‘quello’ invece che ‘questo’, e si riferisca a se stesso con la parola ‘organismo’ invece che ‘individuo’ o ‘persona’, sono elementi altamente significativi con i quali Svevo enfatizza l’essenza biologica della natura umana. L’espressione ‘che non conosceva la pace’ illustra come gli istinti biologici operino continuamente nella mente e nel comportamento di un individuo, mentre l’espressione ‘perché era fatto a quello scopo’ riconosce esplicitamente che gli esseri umani sono organismi biologici programmati dalla selezione naturale per operare in modo da garantirsi la sopravvivenza e la riproduzione (qui indicate con la parola ‘lotta’).

La Coscienza di Zeno

Ne La Coscienza di Zeno il tema della nevrosi e della malattia psicosomatica del protagonista sono usati da Svevo in maniera strumentale, come espediente per giustificare l’aspetto psicologico e introspettivo della narrazione e per evidenziare che Zeno (che probabilmente impersona l’autore) ha un approccio filosofico-cognitivo alla vita diverso da quello delle persone che lo circondano. La diversità di Zeno dagli altri è presentata come dicotomia salute/malattia, e uno dei temi centrali del romanzo è la valutazione di chi è veramente sano e chi è malato.

La concezione della natura umana e della vita espressa da Svevo in Una Vita rimane fondamentalmente inalterata ne La Coscienza di Zeno. Lo Svevo scrittore maturo de La Coscienza di Zeno però presenta un nuovo elemento rispetto al giovane scrittore di Una Vita: il distacco ironico nel vivere ed interpretare la vita. Questo cambiamento si riflette nella diversità con cui i protagonisti dei due romanzi, Alfonso e Zeno, si rapportano alla realtà. Alfonso si confronta con la realtà della natura umana in maniera diretta, drammatica, e conflittuale. Zeno riconosce, come Alfonso prima di lui, di non poter sopprimere la propria natura umana, ma si rassegna a vivere nella società a cui appartiene, ad allacciare relazioni con gli altri, e ad accettare i loro valori e le loro convenzioni tra i quali l’interesse nella carriera, il matrimonio, e la cura dei figli.

Zeno capisce è che non è possibile cambiare le regole del gioco della vita, non è possibile convincere gli altri ad essere diversi, e non è nemmeno possibile cambiare se stessi. L’unico approccio possibile alla vita è il distacco ironico da se stessi e dalla realtà.

Zeno presenta il tema dell’adattamento o maladattamento alla vita come un gioco delle parti ironico tra i sani e gli ammalati. Gli individui sani sono – così sembrerebbe – quelli ben adattatati all’ambiente, che non si analizzano, non comprendono le ragioni del proprio comportamento, ma si lasciano guidare passivamente dagli istinti della natura umana. Zeno che analizza tutto, capisce, e soffre, è il malato; non è debole o psicologicamente danneggiato, ma non si adatta spontaneamente all’ambiente come fanno gli altri. L’ironia è che sebbene Zeno professi di ammirare gli altri – il padre, il suocero, la moglie – in realtà li disprezza; la loro salute è un’illusione; sono loro i malati, e l’inetto Zeno è in realtà l’unico individuo sano. Zeno capisce che la ‘salute’ degli altri non si poggia su fondamenta solide e che la felicità dei sani è solo apparente. I ‘sani’ sono ignoranti, e in quanto tali, prendono spesso decisioni sbagliate e poi ne pagano il prezzo personalmente o lo fanno pagare agli altri. Essi brancolano nel buio, e senza saperlo si alternano a vicenda nei ruoli biologici di predatore e preda, di sfruttatore e di sfruttato, di vincente e di perdente.

Ne La Coscienza di Zeno Svevo elabora una concezione fondamentalmente pessimistica del rapporto tra l’individuo e la realtà: l’uomo non è libero, perché le sue azioni sono influenzate, guidate, e costrette da forze superiori alla sua forza di volontà e al suo libero arbitrio. Molte interpretazioni precedenti de La Coscienza di Zeno, e soprattutto quelle di matrice marxista, sostengono che queste forze sono riconducibili al contesto storico e all’assetto sociale e economico. In realtà nel romanzo di Svevo la critica diretta del contesto sociale, economico, storico, e culturale è assente mentre abbondano i riferimenti alla natura e all’evoluzione biologica. Il fatto che Svevo spieghi la condizione umana tramite la biologia è esemplificato dalle sue metafore dal mondo animale: per esempio, nella riflessioni di Zeno sulle leggi naturali delle relazioni sociali si parla di prede e di predatori, di cibo e di consumatori, dei parassiti e delle loro vittime. Svevo, tramite Zeno, esprime anche il concetto che gli esseri umani, come organismi biologici impegnati nella lotta per la sopravvivenza e la riproduzione, non sono intrinsecamente né buoni né cattivi, proprio come tra gli animali non ci sono buoni e cattivi, azioni giuste e sbagliate, morali e immorali. La vita stessa non è né brutta né bella, ma semplicemente “un’enorme costruzione priva di scopo”.

Ne La Coscienza di Zeno Svevo afferma che l’adattamento degli organismi al proprio ambiente porta dei benefici immediati ma a lungo termine conduce alla stasi e alla cristallizazione, mentre gli organismi che sopravvivono meglio a lungo termine sono quelli che si mantengono più flessibili e dinamici. Questo concetto, che in parte riflette anche l’influenza del pensiero filosofico di Henri Bergson, viene elaborato ulteriormente nei due saggi ‘L’uomo e la teoria darwiniana’ (1905) e ‘La corruzione dell’anima’ (1907). Svevo specula che gli inetti come se stesso e i protagonisti dei suoi romanzi, per via del fatto che sono meno intellettualmente statici e meno inseriti negli ingranaggi della società, hanno una maggiore flessibilità e un potenziale maggiore per il cambiamento. Svevo ritiene che la maggiore flessibilità degli inetti sia anche accompagnata da sforzi costanti per migliorarsi, mentre gli altri si accontentano di quelli che sono. Questo pensiero è espresso tramite le parole di Zeno in riferimento a se stesso e al padre:

In me c’è sempre stato – forse la mia massima sventura – un impetuoso conato al meglio. Tutti i miei sogni di equilibrio e di forza non possono essere definiti altrimenti. Mio padre non conosceva nulla di tutto ciò. Egli viveva perfettamente d’accordo sul modo come l’avevano fatto ed io devo ritenere ch’egli mai abbia compiuti degli sforzi per migliorarsi”.  E Zeno conclude: “Certo il mondo sarebbe meno aspro se molti mi somigliassero”.  Una conclusione che si applica certamente anche a Italo Svevo e alla sua arte.


[1] Joseph Carroll C (1995). Evolution and Literary Theory. Columbia, MO: University of Missouri Press.

[2] Dario Maestripieri (2019). Literature’s contributions to scientific knowledge: how novels explored new ideas about human nature. Newcastle, UK: Cambridge Scholars Publishing.  Dario Maestripieri (2019). La scienza incontra la letteratura. Cosa ci rivela Auto da fé di Elias Canetti sulla mente e sul comportamento umani. Roma: Giovanni Fioriti Editore.


Dario Maestripieri

Dario Maestripieri è Professore Ordinario di Sviluppo Umano Comparato e Biologia Evoluzionistica alla University of Chicago negli USA. Il Prof. Maestripieri è uno biopsicologo che si interessa dello studio della mente e del comportamento umano da una prospettiva interdisciplinare. Il Prof. Maestripieri si interessa anche dei contributi delle discipline scientifiche e di quelle umanistiche alla genesi di nuove conoscenze sulla mente e sul comportamento umano. Il Prof. Maestripieri ha pubblicato oltre 250 articoli scientifici e 7 libri alcuni dei quali sono anche disponibili in italiano.

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