Press "Enter" to skip to content

Tag: Film Giangiuseppe Pili

Recensione del film “Nel cuore di una tenebra immensa” di Giangiuseppe Pili

Se Blasetti ebbe a dire, agli albori del cinema italiano moderno, e non per gioco, che il suo tema era unico ed era l’imbecillità della violenza e della guerra, qui abbiamo, in Pili regista ed ideatore – nel contesto del nostro cinema contemporaneo il quale, a differenza di quello dei tempi di Blasetti che seppur non completamente nazionalizzato lo era certo almeno in parte, in una nazione diretta secondo precise ideologie (e sappiamo quali), comunque sottoposto a più o meno sapienti poteri di veto, ebbene, in un contesto nuovo ma non meno privo di elementi disapprovabili, dove abbiamo una produzione frastagliata e nauseante perché troppo libera (?), continuamente emancipata da un’infinità innegabile ma negata (e costantemente) di soggetti … che è, in sostanza, un cinema disapprovabile perché non funzionante, funzionale solo nell’imperativo d’accomodare i gusti più triviali dello spettatore, disattento alla sua (vera) ricchezza, occultata con parsimonia sotto a tutta la sabbia di tutti i deserti e le spiagge del mondo, trasandato e, per larghi strati (ovvero quelli emersi), trascurabile, e ancora (lo ripeto) trascurante, poiché schiavo di logiche mercantili padrone relative a mercati al contempo vicini e lontani, ormai quasi senza identità propria, ecco, qui, abbiamo invero una voce – abbiamo la concreta ed esplicita espressione di una voce, nuova anche se non nuovissima (Pili non è alla prima prova), la quale (voce) affronta con piglio deciso ma attento il vecchio tema caro, almeno a parole e qui da noi, a Blasetti.

Recensione di La Fiamma della Discordia.

L’ardore soprattutto, tra disarmonie dalla puntuale determinatezza e sboccatamente sempre provocanti giochi di stropicciate – però molto naturalmente, come una camicia di lino – citazioni. Allora molto cinema: a partire dalla frigida ma felina figura del ruggente (anche?) Man with No Name, attraversando classicissimi Citizen Kane e Gone with the wind, sguardi sex tutto felliniani, un finale che ricorda una performance dada – un pò alla Antonioni di Blow-up –, e prima (?) un inizio di provocatorie (?) scomposizioni di certi a priori eternissimi anche nel cinema – seppur già discussi in modo drammaticamente onirico dal Lynch che forse poi non fa che ripetere ancora ed ancora quei primi 15 minuti di Bunuel che già da subito discutono tutto – tra duelli che francamente somigliano più a scontatissime (ormai) variazioni madelaine che a momenti d’intramontabile pathos tutto west (però qui sta l’abilità del rinnovare consapevole?): e forse qualcosa di nuovo sotto il sole: ovvero una contro-geometria rigorosissima tutta imposta – al cinema – però  molto delicatamente.

Recensione di “L’incredibile tesoro dell’Isola dei Ratti.”

L’incredibile … che cosa? Esso stesso – questo è subito detto, qui però mostrato: il che significa trasfigurato in un divenire che già diviene essenzialmente immagine. Ovvero altrimenti detto: un’indicazione viva del trasformarsi del tutto attraverso una sorta d’autodigestione (detto per inciso, ricorda da vicino il Re Baldoria del giovane Marinetti, che terribile divora se stesso) – con un ‘Prost!’ a Kubrick e al suo (e nostro) vertiginoso eterno ritorno (dell’eguale?), Kubrick che siede magari al tavolaccio improbabile dove discutono (sempre delle stesse cose?) importuni ma liliali e Vico e Arbasino e Nietzsche (che stupendo tavolaccio!).