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Recensione di La Fiamma della Discordia.

L’ardore soprattutto, tra disarmonie dalla puntuale determinatezza e sboccatamente sempre provocanti giochi di stropicciate – però molto naturalmente, come una camicia di lino – citazioni. Allora molto cinema: a partire dalla frigida ma felina figura del ruggente (anche?) Man with No Name, attraversando classicissimi Citizen Kane e Gone with the wind, sguardi sex tutto felliniani, un finale che ricorda una performance dada – un pò alla Antonioni di Blow-up –, e prima (?) un inizio di provocatorie (?) scomposizioni di certi a priori eternissimi anche nel cinema – seppur già discussi in modo drammaticamente onirico dal Lynch che forse poi non fa che ripetere ancora ed ancora quei primi 15 minuti di Bunuel che già da subito discutono tutto – tra duelli che francamente somigliano più a scontatissime (ormai) variazioni madelaine che a momenti d’intramontabile pathos tutto west (però qui sta l’abilità del rinnovare consapevole?): e forse qualcosa di nuovo sotto il sole: ovvero una contro-geometria rigorosissima tutta imposta – al cinema – però  molto delicatamente.

Tanta ironia, soprattutto caricaturale proprio di quel cinema che prima insegna: tra atmosfere da bosco muto perché sacro e profondissimo – comunque misticamente impegnato – e capannina stupro santo alla Bergman, parecchio dinamicismo comico con scene veloci e tanti spazi e  tempi diversi, e molta essenzialità proprio con assenza di ridondanza nonché di movimenti assolutamente non funzionali: tra questo forse una morale un poco banale, un poco troppo esplicita? Però la struttura generale del lavoro non sembra proprio tutta esplicita, anche conservando – attraverso un sapientemente costruito drappeggio di scene veramente solido e stretto amorevolmente (?) dal rigore espositivo – l’unità della semplice trama.

Anche cose molto gratuite, perciò tanto stimolanti. Buono veramente il montaggio, e l’uso delle musiche, anche se però alla fine funzionali al muto – un’antimoda della moda dell’antimoda della moda … forse? Probabilmente no, ma sono comunque sempre secondari i primi perchè? E a proposito di – sempre forse per essere in un certo senso genealogici?, dietrologi?, troppo curiosi di sapere come e perché si arriva da dietro le quinte a fare certe cose? – necessità, due particolari lodi: al personaggio – in certo senso contiguo all’uomo senza nome perlomeno per dominio semantico – Invisibile (con tutto il carico di simbolismi), ed al personaggio femminile (anche qui simbolismi? L’ambiguità del sentimento? Un’altra riflessione sull’omosessualità?…Dante e il carretto di figure retoriche?).

Conclusione estetica, morale e logica: anche però senza essere affatto una tragedia (ovvero un drammatico?). – Bello –


Francesco Margoni

Assegnista di ricerca presso il Dipartimento di Psicologia e Scienze Cognitive dell’Università di Trento. Studia lo sviluppo del ragionamento morale nella prima infanzia e i meccanismi cognitivi che ci permettono di interpretare il complesso mondo sociale nel quale viviamo. Collabora con la rivista di scienze e storia Prometeo e con la testata on-line Brainfactor. Per Scuola Filosofica scrive di scienza e filosofia, e pubblica un lungo commento personale ai testi vedici. E' uno storico collaboratore di Scuola Filosofica.

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