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Tristan da Cuhna, ovvero l’elogio all’isolanità

Tristan

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Dedicato ad Andrea Corona primo fra tutti con i quali ho espanso i miei desideri di viaggiare nel mondo, ahi noi, il turista per sempre non l’abbiamo ancora vinto. Ma l’Irlanda ci aspetta.

Dedicato a Matteo e Andrea Mereu, con i quali condivido sogni di viaggio molto importanti; giammai è tardi per sognare, ma anche di credere nel sogno.

Dedicato a Paolo, quando meno ce lo aspetteremo, scriveremo i ricordi alcolici di un nostro viaggio, magari a Tristan da Cunha.

Dedicato a Giangi, ai turchi e al suo video girato da delle studentesse (chissà) in gita verso Anadolu Kavağı, che vaga nell’etere e nella versione “tarocca” turca di youtube.

Capita, nei miei momenti liberi, che non sappia cosa fare: allora fin da ragazzino sbrigavo il tempo a guardare il mappamondo alla ricerca di isole sperdute, di isolette che solo il nome evocassero l’esoticità del viaggio e la lontananza da casa. Oggi più del mappamondo, mi oriento guardando Google Maps o Google Earth, che malgrado ledano qualche diritto alla privacy, sono ottimi strumenti per viaggiare utopicamente. Ed immagino in un futuro distopico, teletrasporti e portali supersonici che ti porteranno in qualche secondo gratuitamente, dove si vorrà. Ma questa è un’altra storia.

Che siano mappamondi, che sia Google Maps, si tratta sempre di un viaggio virtuale, un viaggio onirico, ma che negli anni è diventata una passione: lo studio dei paesi isolani più remoti del mondo, dei quali un giorno, non mi dispiacerebbe poter redigere un libro.

Ho sognato (e scritto su scuolafilosofica) di viaggiare verso le lande ghiacciate delle Svalbard, ho pensato di partire per le verdi e rigogliose Azzorre, ho fantasticato con Daniel de Foe di finire su qualche scoglio “abitato” da palme da cocco e pesci tropicali in mezzo al pacifico, per non parlare di quando viaggio con Jules Verne nella sua Isola Misteriosa. Fra tutte, in un mio racconto lungo scritto nell’adolescenza, scrissi di un’isoletta che mi è rimasta impressa più delle altre: si tratta di Tristan da Cuhna.

Dove si trova? Per la precisione, al 37° 6’44.19″S LATITUDINE, al 12°13’16.99″O LONGITUDINE, vale a dire quasi nella stessa linea d’aria di Cape Town e di Buenos Aires e Montevideo, ma come si può evincere dalla cartina tratta da Google Earth, si trova in mezzo all’Oceano atlantico meridionale.

Per raggiungerlo, non ci sono né aerei né elicotteri. A Tristan da Cunha arriva una nave ogni cinque, sei settimane. Prevalentemente un peschereccio-mercantile, l’MV Edinburgh, che a volte resta in rada per giorni prima che i roaring forties, gli impetuosi venti che soffiano in quella remota parte dell’oceano, permettano le manovre di scarico di merci e passeggeri.

Non vi dovete dunque meravigliare se non l’avete mai sentita nominare, né sentirvi ignoranti. E’ semplicemente il luogo più remoto da raggiungere al mondo, nonché quello con più tempo per raggiungerlo: la nave da Cape Town all’isola impiega circa sette giorni ad arrivare, ma ciò è molto variabile, infatti in quelle zone il mare è spesso in condizioni agitate e impervie.

L’isola venne scoperta per la prima volta nel 1506 dal navigatore portoghese Tristao da Cunha. Non fu l’anno in cui però fu messo piede per la prima volta: infatti si dovette attendere il 1520, anno nel quale Ruy Vaz Peneira sbarcò col suo equipaggio. Nel 1643 l’equipaggio della nave olandese Heemstede sbarcò e lasciò una tavoletta con un’iscrizione. I due secoli successivi furono segnati da sporadici e poco efficaci tentativi di colonizzazione dell’isola: lo scopo era quello di creare una colonia agricolo-commerciale, ma anche un insediamento con una guarnigione militare “pronta all’occorrenza”. Ma l’asprezza dell’isola cozzava maggiormente sulla voglia reale di creare un insediamento.

Il 1815 e il 1857 furono due date importanti per la colonizzazione dell’isola: il 28 novembre 1815 sbarcarono sull’isola trentotto militari, sette civili, dieci donne e dodici bambini che costruirono degli edifici sullo stesso posto dove ora sorge il villaggio. Nel 1816 sbarcano sull’isola le truppe di Re Giorgio III trasportate dal vascello HMS Falmouth e ne prendono possesso. Viene fondata una base chiamata Fort Malcolm e per quanto sperduta nel sud dell’Oceano Atlantico assume una certa importanza dovendo impedire l’uso dell’isola agli americani ma soprattutto ai francesi data la relativa vicinanza a Sant’Elena e al suo pericoloso ospite Napoleone. Solo un anno più tardi, la nave HMS Euridice, ritira la guarnigione come conseguenza della perdita di 55 uomini nell’affondamento della HMS Julia nel maggio precedente. Questo evento rappresenta il punto di svolta nella storia di Tristan da Cunha. Il caporale scozzese William Glass persuade il Comandante della guarnigione a lasciarlo rimanere con la famiglia e alcuni uomini.
Il gruppetto condivide un progetto chiamato The Firm (la Società) che contempla la suddivisione in parti uguali di tutto (provviste, spese, guadagni, ecc…) e la mancanza di gerarchie. L’accordo tra i fondatori viene siglato 7 novembre 1817. Lo sviluppo della comunità è lento e spesso dettato dalla temporaneità dei soggiorni. L’incremento della popolazione è legato anche all’incorporazione dei marinai superstiti dei naufragi nelle pericolose acque circostanti. Il naufragio di una nave costituisce una tragedia per gli equipaggi ma talvolta si trasforma in un pericolo per gli abitanti dell’isola costretti a dividere le poche scorte con numerosi “ospiti”. Accade persino che la comunità si triplichi in un solo giorno come dopo il naufragio del 1821 che coinvolge 50 uomini. I primi tentativi di commerciare pelli e olio di foca falliscono con l’affondamento di una goletta e la fuga del co-fondatore Burnell.

Il 5 maggio 1817 la nave inglese Conqueror riportò in Gran Bretagna quasi tutti gli abitanti sull’isola, tranne William Glass, sua moglie (considerati di fatto i veri fondatori della comunità di Tristan da Cunha) e due scalpellini che rimasero sull’isola fino al 1819 e al 1822. Più volte William Glass chiese al Duca di Glucester di poter aumentare la popolazione dell’isola: e più volte ottenne il consenso. Così negli anni, fra crisi demografiche e penuria di scorte, si fondò l’insediamento rinominato, Edimburgh of the Seven Sea (Edimburgo dei Sette Mari): si deve questo nome al fatto che nel 1867 il principe Alfredo, all’epoca Duca di Sassonia e Duca di Edimburgo, visitò l’isola che in quel momento contava una popolazione di 86 individui.

La storia della colonizzazione dell’isola è legata, in piccola parte, anche all’Italia: nel 1892 il brigantino Italia, che trasportava un importante carico di carbone dalla Scozia a Cape Town, naufragò in pieno atlantico: il comandante del brigantino, Rolando Perasso, riuscì ad andare alla deriva per sei giorni, fino ad arenare sugli scogli di Tristan da Cunha, dove non mancò l’ospitalità dei nativi. Era il 3 ottobre 1892 e dopo che tutto l’equipaggio riuscì a salvarsi, grazie a quel fazzoletto di terra col minaccioso vulcano, tre dei sopravvissuti, i camogliesi Gaetano Lavarello e Andrea Repetto, decisero di rimanere nell’isola, dove rimasero per sempre, dando vita a famiglie col loro nome, ancora oggi presenti. Questa piacevole storia è altresì narrata nel libro di Marzo Fezzardi intitolato “Il medaglione di Tristan da Cunha” edito dalla Frilli Editore. Di questo romanzo vi consiglio la lettura, sempre scorrevole e mai noiosa: un giallo veramente interessante.

Tratto dal diario di bordo del brigantino Italia:

Il giorno 2 ottobre, a mezzodì, eravamo a circa 160 miglia da Tristan: il vento si manteneva al primo quadrante, per cui correvamo a vele piene verso quell’isola. Il calore si faceva ben sentire sul ponte, l’aria stessa era impregnata di gas. L’equipaggio, relativamente tranquillo, prestavasi di buon animo ai lavori e manovre di bordo, quando la notte, verso le 11, si sentì una forte detonazione al centro ed a poppa; le boccaporte di maestra e mezzana erano scoppiate e saltate per aria in frantumi. Tutto l’equipaggio fu radunato sul ponte, s’imbrogliò immediatamente la maestra e le velaccie.

Dai boccaporti aperti non usciva che una grossa colonna di denso fumo ed un gran calore. Si diede mano a porre in mare le imbarcazioni. Il secondo canotto fu subito messo in acqua e rimorchiato di poppa, la gran lancia fu appesa fuori banda, l’uno e l’altra pronti e provvisti dell’occorrente. Si bordarono allora tutte le vele e si proseguì alla volta di Tristan. Ci ponemmo tutti ad inondar la stiva d’acqua tanto dai boccaporti quanto dai molti fori praticati sul ponte, per tentar di tener basso il fuoco, per quanto possibile, ma apparentemente con poco frutto, e seguitammo a gettar acqua sino al mezzodì del giorno successivo.

All’alba di detto giorno parte dell’equipaggio fu mandata in testa degli alberi per vedere se si scorgeva terra e così intempo raddrizzare la nostra corsa, se necessario. Ma il cielo completamente coperto e il tempo nebbioso ci fece prendere più d’un abbaglio. Di tanto in tanto passavano grossi ammassi di quell’alga gigantesca che annunzia ai naviganti la vicinanza di Tristan, ma l’occhio non poteva penetrare il denso banco di nebbia che si elevava sopra l’orizzonte.

Fortunatamente, verso le 9,30 antimeridiane, potemmo fare un’osservazione astronomica che situava il bastimento otto leghe circa all’est di Tristan. Il vento intanto aumentò e aumentò anche il mare, principiò a cadere la pioggia, per cui si faceva sempre più difficile il poter scerner terra. L’equipaggio era estenuato dalla fatica e dall’insonnia, quando nel pomeriggio, verso le 3, tutto ad un tratto si avvistarono frangenti da prua sormontati da un cordone nero di terra. Era il mare che frangeva impetuoso sulla costa greco di Tristan.

La storia dell’isola continua fra numerose colonizzazioni e altrettante carestie, fino alla seconda guerra mondiale quando venne installa una base segreta, la cosiddetta Job 9 o HMS Atlantic Isle, per monitorare l’eventuale passaggio di sommergibili tedeschi e per monitorare le condizioni metereologiche. Venne addestrato il corpo dei Tristan Defence Volunteers composto da 16 uomini anche se l’isola ricopre solo compiti di comunicazione. Vengono costruiti nuovi edifici per la stazione ed anche una scuola, un ospedale ed una bottega. Venne introdotto l’uso dello stipendio spendibile nello spaccio, anche se tuttavia il concetto di moneta tutt’oggi a Tristan non è del tutto concepito: molto più semplice in una comunità così piccola, dove tutti per forza si conoscono, attuare l’antico sistema del baratto.

Oggi, nell’isola, dove si erge minaccioso un vulcano attivo che più di una volta ha messo in ginocchio la popolazione, vivono 297 abitanti (dato del 2014) dediti all’agricoltura di semplice sussistenza e dediti alla pesca dell’aragosta e del gamberone, loro principale fonte di reddito. Il turismo continua a essere un miraggio, naturalmente. Ma in un mondo sempre più globalizzato, non è poi più così difficile arrivarci, nemmeno con l’immaginazione. Certo è che il turista a Tristan da Cunha, passerà tanto tempo all’interno dell’isola, a meno che non si tratti di una toccata e fuga.

E quando mi dico che la Sardegna è isolata, che la continuità territoriale è inefficiente, continuo a pensare che sia vero, e penso agli abitanti di Tristan da Cunha. Se io sono isolato, loro in che categoria rientrano? I cosiddetti “molto isolati”.

E’ per questo che gli scriverò una lettera aperta, sono orgoglioso di scrivere a questi uomini, sprezzanti della solitudine e orgogliosi della loro isolanità, come voi anche io sono orgoglioso di far parte di un’isola.


Wolfgang Francesco Pili

Sono nato a Cagliari nell’aprile del 1991. Ho da sempre avuto nelle mie passioni, la vita all'aria aperta, al mare o in montagna. Non disdegno fare bei trekking e belle pagaiate in kayak. Nel 2010 mi diplomo in un liceo classico di Cagliari, per poi laurearmi in Lettere Moderne con indirizzo storico sardo all'Università degli studi di Cagliari con un'avvincente tesi sulle colonie penali in Sardegna. Nel bimestre Ottobre-Dicembre 2014 ho svolto un Master in TourismQuality Management presso la Uninform di Milano, che mi ha aperto le porte del lavoro nel mondo del turismo e dell'accoglienza. Ho lavorato in hotel di città, come Genova e Cagliari, e in villaggi turistici di montagna e di mare. Oggi la mia vita è decisamente cambiata: sono un piccolo imprenditore che cerca di portare lavoro in questo paese. Sono proprietario, fondatore e titolare della pizzeria l'Ancora di Carloforte. Spero di poter sviluppare un brand, con filiali in tutto il mondo, in stile Subway. Sono stato scout, giocatore di rugby, teatrante e sono sopratutto collaboratore e social media manager di questo blog dal 2009... non poca roba! Buona lettura

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