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Pokémon Go: analisi critica

6024839140_90035bd42a_bPremetto di essere un grande amante dei videogiochi. Quelli per console in particolare. E mi son sempre chiesto, quasi con timore, “cosa succederà se un giorno la Nintendo dovesse iniziare a vendere giochi per cellulari?”

Sapevo in cuor mio che ciò prima o poi sarebbe accaduto. Una conseguenza quasi ovvia del mercato, tutti possiedono almeno un cellulare e in tanti trascorrono svariate ore con giochi come Candy Crush e simili. Le conseguenze di quel mio timore le ho viste alcuni giorni fa in un video su Youtube. Inizialmente non volevo crederci, pensavo fosse un falso. Decine, forse centinaia di persone che camminavano e correvano come Zombie a Central Park alla ricerca di un Pokémon. L’ho guardato più volte, non poteva essere davvero così, invece era la realtà. La realtà aumentata. Viene chiamata così questa tecnologia che, attraverso la fotocamera del telefono, fa apparire i Pokémon nello schermo dei giocatori nei luoghi che sono inquadrati in quel momento. Con Pokémon Go, in sostanza, bisogna camminare e controllare nella mappa della propria città dove appaiono i Pokémon, per andar poi a catturarli. L’idea in sé è anche brillante. Tra l’altro esisteva già nel 2011 con il Nintendo 3DS dove inquadrando delle carte speciali apparivano dei mostri che prendevano vita nell’ambiente ripreso.

Cercando degli aspetti positivi, ho pensato a questa tecnologia applicata in giochi come The legend of Zelda. Immaginate di dover entrare nel castello per salvare la principessa ma non trovate la chiave… perché la chiave non è nel gioco! Bisogna uscire fuori di casa e cercarla nella propria città, nascosta da qualche parte. E magari sconfiggere pure qualche mostro sulle strisce pedonali, rischiando la vita (quella vera). L’idea quasi mi intriga! Mi ricorda la caccia al tesoro.

Un altro aspetto che mi affascina abbastanza è che Pokémon Go va controcorrente. Ho sempre riflettuto sull’evoluzione dei giochi, in generale. Sembra che con il passare del tempo si sia passati dal giocare fuori casa con delle persone vere, allo stare dentro casa, con delle macchine. Un tempo si giocava nella terra e nelle strade! Ricordo le partite con le biglie e i tappi di bottiglia, con la palla e i giri in bicicletta con quella sana voglia di avventura in stile Goonies. Ricordo le mie mani sporche che scavavano pensando che prima o poi avrei trovato lo scrigno dimenticato di qualche pirata. Ricordo però anche il mio primo Atari e il primo Nintendo. Che emozioni! Purtroppo, però, queste tecnologie hanno portato sempre di più le persone dentro le case a schiacciare dei tasti. E il trend è preoccupante. Pare che le grosse aziende dei videogiochi stiano puntando sulla “realtà virtuale” indossando il casco che ti immerge nei giochi. Ma questo non è un isolamento maggiore? È qui che Pokémon Go mi stupisce, mentre le altre aziende cercano di isolarti sempre di più in una “realtà” che di reale non ha proprio nulla, con questo gioco cammini per davvero e oltre ai Pokémon prendi un po’ d’aria.

Il successo planetario del gioco è diventato virale sul web. Pare che tutti ne parlino e che sia la moda del momento. Sono tantissime le leggende metropolitane dove, chissà, ci sarà anche qualcosa di vero. Gente che cercando Pokémon ha trovato cadaveri, Nerd che si inoltrano in luoghi loschi e finiscono in sparatorie e varie storie assurde.  Nel mentre che la Nintendo si arricchisce (anche se il gioco è prodotto dalla Niantic), sembra tutto divertente. Ma è tutto così bello? O c’è qualche problema? Mi è tornato in mente Central Park. Sì, c’è un problema. Mi sono ricordato che il “progresso” è solo tecnologico e che il firmware dei cervelli non è ancora aggiornabile a meno che non ci si sieda per ore a studiare qualcosa. Perché se lo guardo bene, questo “fenomeno”, è davvero preoccupante. Perché un gioco, alla fine, è solo un gioco e tale dovrebbe rimanere. E soffro nel dire questo, perché alcuni giochi, per me, son al pari delle grandi opere d’arte.

Mi rattristava già il fatto che negli ultimi anni la gente guardasse più il monitor del cellulare che il mondo circostante e ora la situazione è peggiorata a causa di questo gioco. Purtroppo ho visto con i miei occhi persone che, mentre parlavano con degli amici, improvvisamente si sono messe a correre per catturare un Pokémon. Persone isolate dal mondo reale. Ho visto persone che passeggiavano nel lungomare senza guardare né il mare né la strada né la gente a torno a loro.

E i problemi non sono solo questi. Pokémon Go per poter essere usato, necessita del segnale GPS attivato. Questo significa che gli spostamenti di ogni giocatore sono ben noti e, probabilmente, ben studiati. Tanto a chi importa? Ti fai sfuggire Pikachu? Viviamo in una strana epoca dove la privacy non esiste, quindi regaliamo pure la nostra geolocalizzazione all’azienda di turno. Regaliamo le nostre informazioni private praticamente ad ogni App che installiamo nel nostro telefono e siamo spiati e analizzati da ogni sito che ci regala i “dolcetti”.

D’altronde siamo sempre più nudi, anche il web si è evoluto in questo modo, mentre prima era tutto più anonimo. Ora è normale e ovvio usare il proprio nome e cognome mentre prima ci si nascondeva dietro i nickname… Ora si fanno anche i live su quando si va in bagno. Chiunque può essere “importante”. Siamo tutti più nudi e tutti più “Re”, come il “Re nudo” delle fiabe di Andersen (dalla fiaba I vestiti dell’Imperatore). È un po’ come se Pokémon Go fosse il vestito invisibile di quella fiaba, ma sul web ci sono tanti “Re nudi”. Una nudità mentale che non è nient’altro che degrado.


Andrea Mereu

Andrea Mereu nasce a Cagliari nel 1982. Diplomato in turismo, è autore del libro La maschera della luna (2010). Amante della fotografia, vince svariati concorsi nazionali e realizza alcuni cortometraggi proiettati dalla cineteca umanitaria di Cagliari. Grande amante dei videogiochi per console e della bicicletta, è attualmente impegnato nello studio del giapponese.

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