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Tag: Risorgimento

Gaetano Donizetti, Giuseppe Mazzini e il suono del Risorgimento: la musica come arte progressiva

Copyright: Pixabay (senza royalties)

Il palco è a noi trionfo, e l’ascendiam ridenti: ma il sangue dei valenti perduto non sarà. Verran seguaci a noi i martiri e gli eroi: e s’anche avverso ed empio il fato a lor sarà, lasciamo ancor l’esempio com’a morir si va[1]

Il Risorgimento in Italia è un’epoca febbrile, segnata da fermenti politici, moti insurrezionali e crisi di identità personali e sociali, ma è anche un periodo di ricerca di nuove forme di libertà, di ideali e del risveglio, soprattutto tra gli intellettuali e gli artisti, di una coscienza nazionale. Anche la musica, come arte capace di veicolare ed esprimere tutta la gamma delle emozioni dell’animo umano, può farsi specchio dell’inquietudine collettiva e partecipare del vivace fermento che caratterizza questo periodo. Ma se sarà Giuseppe Verdi a realizzare in Italia la “nuova funzione sociale dell’arte come proiezione di ideali morali, civili e patriottici”[2] (impossibile non andare con il pensiero a quel famoso “Viva Verdi” che è suggestivo acrostico di “Viva Vittorio Emanuele Re d’Italia”) è comunque in questa cornice inquieta e incerta che si inserisce anche la figura di Gaetano Donizetti (1797–1848), compositore bergamasco tra i più fecondi del melodramma romantico italiano, per il quale la musica non è più, come per la precedente generazione di musicisti, semplice ornamento dell’esistenza. La vita di Donizetti, infatti, attraversa i fremiti di un’Italia frammentata, politicamente ancora dominata da potenze straniere, culturalmente viva ma scissa, lacerata tra l’anelito al nuovo e l’attaccamento alla tradizione; e, in qualche modo, la riflette. La generazione di Donizetti attraversa, quindi, come ben scrive Rostagno (2011), un periodo di grande disorientamento “che corrisponde agli anni delle cospirazioni fallite, dei tentativi insurrezionali, delle aspirazioni represse”[3]. Donizetti, pur non essendo un militante politico, riesce comunque a dar voce, nelle sue opere, seppur spesso inconsapevolmente, a un immaginario in cui eroismo, sacrificio e alienazione si fondono in un linguaggio musicale capace di parlare all’animo di un pubblico che anche nel melodramma va cercando ormai qualcosa di più di un raffinato intrattenimento. È la musica, adesso, che deve disancorarsi dall’estetica kantiana legata al bello come contemplazione, per divenire un’arte educativa e progressiva.[4] Non più “artificio dilettoso” ma “conforto”, “raggio di fiducia e di poesia”[5] per le “anime giovani”.[6]

I rapporti tra Stato Italiano e Chiesa – Evoluzione o immobilismo?

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Questo lavoro vuole risolvere, attraverso un’argomentazione storica, il problema se si possa veramente parlare di evoluzione sostanziale dei rapporti tra Stato Italiano e Chiesa, così dei rapporti tra Chiesa e cittadino italiano.

Non è possibile risolvere in modo netto il problema. Dobbiamo distinguere due elementi nella questione.

Da una parte non c’è un sostanziale mutamento di atteggiamento da parte della Chiesa nei confronti del cittadino, se non quello imposto necessariamente dalla storia dello Stato. Considerando globalmente gli avvenimenti storici riguardanti l’Italia e la Chiesa, avvenuti negli ultimi centocinquanta anni, si può concludere che la Chiesa si apre al cambiamento quando, ormai, non può più fare altrimenti, e che, dunque, si pone costantemente come forza reazionaria, salvo poi, di fronte all’oggettiva impossibilità di cambiare la realtà, in primis con lo scopo nemmeno troppo dissimulato di tutelare i propri interessi, si adatta ai cambiamenti avvenuti. Dall’altra parte sì, i rapporti tra Stato e Chiesa, come quelli tra Chiesa e cittadino, e quelli tra Chiesa e sistema politico italiano, cambiano senz’altro negli ultimi centocinquanta anni, ma non certo nella direzione voluta dalla Chiesa. Molte conquiste laiche dello Stato, come il divorzio e l’aborto, si sono di fatto ottenute nonostante la contrarietà esplicita e influente della Chiesa. Quello che però va detto è che c’è questa contrarietà, e che è costante durante tutta la storia del nostro paese, determinando un rallentamento nel cammino laico e liberale del paese, di ieri e di oggi.