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Autore: Giangiuseppe Pili

Giangiuseppe Pili è Ph.D. in filosofia e scienze della mente (2017). E' il fondatore di Scuola Filosofica in cui è editore, redatore e autore. Dalla data di fondazione del portale nel 2009, per SF ha scritto oltre 800 post. Egli è autore di numerosi saggi e articoli in riviste internazionali su tematiche legate all'intelligence, sicurezza e guerra. In lingua italiana ha pubblicato numerosi libri. Scacchista per passione. ---- ENGLISH PRESENTATION ------------------------------------------------- Giangiuseppe Pili - PhD philosophy and sciences of the mind (2017). He is an expert in intelligence and international security, war and philosophy. He is the founder of Scuola Filosofica (Philosophical School). He is a prolific author nationally and internationally. He is a passionate chess player and (back in the days!) amateurish movie maker.

Una vecchia storia – Uno studio filosofico sull’alcolismo

Una delle principali cause di morte dirette o indirette nell’Occidente è senza dubbio l’assunzione smodata di alcolici. Non solo è impossibile stimare la quantità di persone decedute per malattie correlate all’assunzione di alcol, sia nel tempo (nei secoli) che nello spazio (nei vari continenti), ma è pure impossibile elencare la copiosa quantità di articoli giornalistici, saggistici, moralistici, scientifici e parascientifici dedicati all’argomento. In generale, sembra che in questi ultimi anni l’attenzione sia leggermente cresciuta nella considerazione del problema a livello giovanile, come se il fatto riguardasse esclusivamente i giovani e non tutto il complesso della società. In secondo luogo, sembra sfuggire il fatto che l’origine di questo costume sia difficile da datare. Nella maggior parte dei casi, data la scarsa attenzione generale alla storia dell’uomo, si considera il fenomeno con gli occhi attoniti del presente, senza scrutare in avanti (ragioni) o indietro (motivazioni storiche) in questo fenomeno. Il motivo principale è senza dubbio la scabrosità delle conseguenze che tale problema implica: l’incapacità di fornire una visione positiva della vita da parte di chi accetta o condanna il fenomeno. Questa incapacità è rimarcata dal fatto che, nella storia, l’unico serio tentativo fatto per sradicare il fenomeno sia stato quello di proibire l’assunzione dell’alcol, per ragioni sociali (negli Stati Uniti negli anni ’30 del XX secolo) o per ragioni morali (come prescrive la religione musulmana).

La sorellina – Raymond Chandler

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Ritornai nella grande sala e tastai la rivoltella che aveva appena sparato. Era abbastanza fredda. Quanto al signor Steelgrave, cominciava ad aver l’aria di voler rimanere morto in definitiva.

Raymond Chandler

Il detective Philip Marlowe viene assunto da una giovane ragazza dai modi affettati, convenzionali e piuttosto premurosa sottopelle. La giovane è “la sorellina” di Orrin Quest, un giovanotto apparentemente ben avviato e che, invece, finisce su una strada piuttosto pericolosa, in un giro di malviventi. Marlowe è incaricato di ritrovare Orrin, il quale, con la sua assenza e con il suo silenzio, ha lasciato madre e sorella in grandi ambasce. Ma subito Marlowe si rende conto di trovarsi impelagato in un caso assai pericoloso: ritrova cadaveri e morti ammazzati, quasi fosse una cosa normale. Il tutto solo per venti dollari. Ce la farà?

La guerra di Corea – Steven Hugh Lee

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Coloro che parteciparono al conflitto coreano non hanno ancora siglato un trattato di pace e fino a quando questo non si verificherà, non ci potrà essere un’epoca di pace duratura né per le due Coree né per il mondo intero.

Steven Hugh Lee

Il libro La guerra di Corea intende essere un’introduzione alla storia della guerra tra la Corea del Nord e la Corea del Sud, iniziato ufficialmente nel 1950 e terminato, ufficialmente, nel 1953. Nel libro si ripercorrono le tappe fondamentali che hanno portato all’avvento dello scontro bellico tra le truppe ONU e le truppe nord Coreane e che ha visto la diretta partecipazione delle potenze protagoniste della guerra fredda, USA, URSS e Cina.

Don Chisciotte della Mancia – Miguel de Cervantes

DonQ


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Fate in modo che, leggendo la vostra storia, il malinconico si senta invitato a ridere, l’allegro lo diventi ancora di più, l’ignorante non se ne stufi, e chi è colto ne apprezzi la trama, il serio non la disprezzi, né il saggio manchi di lodarla.[1]

Miguel de Cervantes

Don Chisciotte della Mancia è considerato il primo romanzo della storia della letteratura occidentale. Il libro, diviso in due parti, narra le vicende del cavaliere errante, Don Chisciotte, e del suo scudiero, Sancio Panza. La trama del romanzo si impernia attorno ai due personaggi, entrambi inscindibili e centrali.

La storia del Don Chisciotte della Mancia (da ora solo Don Chisciotte) prende avvio dalla follia di un possidente, un piccolo proprietario, che non si chiamava Chisciotte: “Pare che di cognome facesse Chisciada o Chesada, ma non c’è accordo fra gli autori che se ne occupano, e altre verosimili congetture lo darebbero per Chisciana. La cosa, a dire il vero, ha poca importanza…”[2] Egli era un cavaliere con non troppi averi. Il signor Chisciotte aveva letto moltissimi libri sulla cavalleria errante, sia i celebri che i meno celebri, e aveva tratto tante suggestioni da renderlo incapace di credere che i libri di cavalleria fossero solo finzioni. Dal principio, dunque, iniziò a congetturare sulla realtà di quelle storie, pensandole reali, poi passò a credere che anche nel suo presente esistessero tutte quelle bizzarre figure che sussistevano nelle storie e leggende della cavalleria errante: giganti, fate, maghi, incantatori, donzelle da amare, grandi principesse, draghi e via dicendo. “Il suddetto cavaliere, nei suoi momenti d’ozio (che prendevano la maggior parte dell’anno), si dedicava alla lettura di romanzi cavallereschi, con tanta intensità e piacere che trascurare quasi del tutto la caccia e anche l’amministrazione dei propri beni…”[3] Ciò fino a quando non decide di entrare anch’egli nell’onorevolissimo mondo della cavalleria errante: “Alla fine, ormai del tutto fuori di sé, maturò la più strampalata idea che potesse nascere nella mente di un pazzo: per accrescere la sua reputazione e servire la patria, gli sembrò conveniente e necessario farsi cavaliere errante e andare per il mondo, cavalcando in armi e cercando avventure. Si sarebbe cimentato nelle stesse imprese dei cavalieri dei suoi libri, riparando ogni genere di ingiustizie, affrontando difficoltà e pericoli che, una volta superati, gli avrebbero conferito onore e fama per l’eternità”.[4]

A scuola con i Re – Educare e rieducare attraverso il gioco degli scacchi – A cura di Giuseppe Sgrò

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Il libro A scuola con i Re è un lavoro monumentale, un manuale esaustivo per chiunque intenda insegnare gli scacchi e voglia possedere un quadro teorico e concettuale per affrontare problemi tecnici e pratici della didattica scacchistica. Da un lato, dunque, il libro fornisce una cornice teorica a sfondo didattico, da un altro esso vuole trasmettere e tramandare le esperienze più significative di chi ha svolto attività di educazione e rieducazione sul campo, all’interno di istituti scolastici o penitenziari, in particolare: “Quest’opera nasce dall’esigenza riscontrata in Italia in ambito educativo, rieducativo, preventivo, formativo, sportivo, nei contesti scolastici, aziendali, clinico-sanitari e carcerari, di avere uno strumento testuale scientifico teorico-pratico ragionato, organico e completo, senza precedenti a livello mondiale, per ideare, strutturare e realizzare progetti psicoeducativi attraverso il gioco degli scacchi e il contesto scacchistico (…)”.[1] La partizione del libro è così giustificata: nella prima si forniscono i “fondamenti teorico scientifici” e nella seconda “esperienze pratiche e di ricerca”.

Lo spionaggio – Il tredicesimo capitolo de L’arte della guerra


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Ogni singolo scontro armato richiede grandi investimenti in denaro e risorse. Questo comporta che si diano sia problemi interni che esterni. Lo sforzo di guerra impone il distoglimento della manodopera da settori chiave. Il problema principale delle conseguenze dello sforzo consiste nell’imprevedibilità del tempo in cui si consegue la vittoria perché è imprevedibile il momento in cui lo Shih impone di attaccare. La vittoria e i grandi risultati sono conseguiti mediante l’accurata precisione, pur nei limiti nel possibile. Sun Tzu rifugge l’idea che la previsione sia da operarsi sulla base di superstizioni o di credenze religiose. I tipi di spie sono cinque: spia locale, interna, convertita, morta, viva. “Non c’è nessun affare in cui non si possano impiegare spie. Lo spionaggio è essenziale per le operazioni militari”.

Attacco col fuoco – Il dodicesimo capitolo de L’arte della guerra


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I modi di attacco col fuoco sono cinque: il fuoco diretto contro persone, contro le provviste, contro gli equipaggiamenti, contro gli arsenali, contro i magazzini. Bisogna trovare una misura nelle proprie azioni tale che sia commisurata all’evento che sta accadendo.

Il capitolo tratta di ciò che può essere distrutto e, per tanto, che costituisce un vantaggio e uno svantaggio. E’ di vantaggio saper cosa colpire, è di svantaggio essere colpiti dove fa più male. Il fuoco è da intendersi come principio distruttore generale, come arma in grado di determinare la capitolazione di una forza nemica:

In breve, ci sono cinque modi di attaccare col fuoco –

Il primo è detto “dar fuoco alle persone”.

Il secondo è detto “dar fuoco alle provviste”.

Il terzo è detto “dar fuoco agli equipaggiamenti”.

Il quarto è detto “dar fuoco agli arsenali”.

Il quinto è detto “dar fuoco ai magazzini”.[1]

 

La casa in collina – Cesare Pavese

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Io non credo possa finire. Ora che ho visto cos’è la guerra, cos’è la guerra civile, so che tutti, se un giorno finisse, dovrebbero chiedersi: – E dei caduti che facciamo? Perché sono morti? – Io non saprei cosa rispondere. Non adesso, almeno. Né mi pare che gli altri lo sappiano. Forse lo sanno unicamente i morti, e soltanto per loro la guerra è finita davvero.

Cesare Pavese

La casa in collina è un romanzo breve, o racconto lungo, ambientato durante la seconda guerra mondiale nella campagna torinese. Il racconto non ha una trama particolarmente elaborata e si riassume brevemente: un professore di scuole medie vive l’esperienza della guerra, prima indirettamente e poi in prima persona. Da principio sembra che il rombo della guerra sia solo lontano, ma poi si intensificano i bombardamenti, gli eserciti si avvicinano e quando avviene il crollo del regime fascista anche l’ultima sicurezza viene meno. Incominciano a dominare le paure per prossima guerra civile, il cui incipit è uno stato di attonicità sorda e inquieta, ma ancora calma, che rafforza la percezione della caducità del momento presente. Il protagonista è costretto ad abbandonare la casa di campagna in cui dimora, i suoi amici vengono dispersi ed è presto costretto ad allontanarsi da un fanciullo, che sospetta possa essere suo figlio. Dopo aver soggiornato in un convento, imboscato e fuggiasco, decide di ritornare a casa, tra il terrore della morte per le esplosioni e il rischio di essere trovato dai tedeschi o da qualche banda locale.