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Scuolafilosofica Posts

Il comportamento Intimo – Desmond Morris

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Il comportamento intimo (1971) è un libro di antropologia scritto da uno zoologo e divulgatore scientifico, Desmond Morris. Come già recita il titolo, si tratta di un saggio che indaga i comportamenti intimi degli esseri umani. Il libro è così diviso in nove parti, tra cui Le radici dell’intimità, L’intimità sessuale, L’intimità sociale, L’intimità con il proprio corpo. Scopo del lavoro è quello di analizzare in dettaglio tutti gli aspetti del comportamento intimo, sia esso intrattenuto da una persona verso un’altra, sia esso intrattenuto verso se stessi.

Il saggio ricostruisce i primi rapporti tra la madre e l’infante. Sebbene non si tratti di una tesi assai originale, tutto il comportamento intimo, secondo Morris, è segnato proprio dal rapporto intimo che si instaura tra madre e figlio. Sicché una madre disinteressata determinerà un’evoluzione della prole priva di affetto e, viceversa, il prolungarsi del contatto intimo sino alle fasi successive dello sviluppo evolutivo del giovane può causare disturbi di diversa natura. Sin da qui si può evincere che lo scopo di Morris non solo non è esclusivamente di natura scientifica ma, più in generale, filosofica ma anche propriamente morale o, al minimo, didattica. Infatti, in più di una circostanza Morris sembra essere un estimatore del principio secondo cui est modus in rebus ovvero bisogna fare tutto seguendo la via mediana.

L’arte della guerriglia – Gastone Breccia

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L’arte della guerriglia è un saggio di Gastone Breccia, storico e bizantinista. Il volume è diviso in quattro parti: I. Il fenomeno; II. Il pensiero; III. L’azione; IV. Il presente. In più, al principio è collocata un’introduzione e alla fine un’appendice. L’arte della guerriglia, sebbene sia un libro di storia più che un libro equiparabile ad un saggio analogo ai vari trattati dell’arte della guerra, considera il fenomeno della guerriglia nella sua evoluzione e totalità. Infatti, sebbene Breccia, correttamente, sottolinei il fatto che la guerriglia sia un fenomeno più antico della guerra convenzionale, rimane il fatto che comporre una storia della guerriglia sarebbe stata un’operazione implausibile, sebbene non del tutto impossibile.

La guerriglia è una forma di guerra asimmetrica, una locuzione oggi assai di moda ma anche poco pregnante: da un lato è ovvia, da un altro lato non illumina. La guerriglia nasce in tutti quei contesti in cui un avversario preponderante non può essere combattuto in modo convenzionale. Un’immagine ormai classica, riportata anche da un recente volume di Lawrence Freedman, Strategy A History, è quella di Davide e Golia. Breccia ricostruisce l’immagine biblica concependo Davide come un guerrigliero che deve sconfiggere il fante armato pesantemente, un eventuale oplita. In tutte le circostanze in cui si dia un Davide e un Golia, la logica del conflitto segue assai spesso la forma della guerriglia. Correttamente, Breccia rileva che sin dalla trattatistica antica, come in Sun Tzu, si consideri il fenomeno anche qualora fosse soltanto in linea trasversale. Inoltre, la stessa storia classica, greca e romana, sia dell’impero romano sia dell’impero bizantino, previde in modo massivo la presenza di forme di guerra irregolare.

Guerra all’ISIS: Diario dal fronte curdo – Gastone Breccia

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Erbil, Kurdistan Iracheno, circa 70 km ad est di Mosul. Ha inizio qui il viaggio dell’autore che lo porterà ad essere testimone delle modalità con le quali i curdi portano avanti il conflitto che li vede opporsi all’avanzata del Da’ish, meglio conosciuto in Occidente come Isis o Stato Islamico. Nel corso dei 20 giorni di permanenza tra il nord dell’Iraq e il nord della Siria, l’autore visita città chiave per lo scacchiere mesopotamico, entra in contatto con un gran numero di individui appartenenti alle più svariate organizzazioni curde, clandestine e non, e ci offre un interessante reportage della sua storia.

Gastone Breccia è uno storico e insegna Storia Bizantina all’Università di Pavia. Non è dunque un giornalista, come ci si aspetterebbe da chi si assume il compito di vedere con i propri occhi la guerra per poi poterla raccontare. “No press card, I’m sorry. University professor, no journalist” sarà costretto a ripetere ai check-point, alle frontiere, a chiunque volesse sapere cosa lo avesse portato così lontano da casa, in luoghi tanto pericolosi. Questo ci racconta nelle prime righe dell’introduzione al libro, per poi proseguire giustificando la propria scelta. Ci spiega che, sebbene sia opinione comune che il compito dello storico sia “studiare fenomeni già sedimentati nella coscienza collettiva, sui quali si sia accumulata una quantità sufficiente di informazioni(…)che permetta di analizzarli scientificamente”, non è poi così inutile per lo stesso “immischiarsi nella storia mentre accade”. D’altronde, come ancora spiega Breccia, gli storici antichi, e dopo di loro quelli bizantini, ritenevano il vedere con i propri occhi necessario e “si scusavano con i lettori perché(…)non potevano fornire una testimonianza diretta sulla maggior parte dei fatti narrati nelle loro opere”.

Inoltre l’autore lavora da diverso tempo sul tema della guerriglia. Perciò lo studio dei curdi, popolo che storicamente ha combattuto le proprie battaglie facendo ampio ricorso alla guerriglia stessa, può riservare dell’ottimo materiale per i suoi studi. Perché, dunque, non avere risposte alle proprie domande direttamente da loro? Tutto ciò ha spinto l’autore ad intraprendere questo viaggio non privo di pericoli.

4.0 Conclusioni: cosa rimane oggi delle istituzioni passate? | Bibliografia

A prescindere dal risultato economico delle singole aziende agrarie delle colonie penali agricole, si deve in ogni modo constatare che la colonizzazione interna della Sardegna, che la legge si riprometteva di ottenere, mediante tale istituzione, non è stato ottenuto. Per esempio la colonia del Sarcidano, come tutti gli insediamenti penitenziari, non diventerà mai un paesello autosufficiente, confermando l’assunto che la struttura penitenziaria prevale e si impone a qualsiasi logica produttiva finalizzata all’autosufficienza. Al recluso doveva sostituirsi, dopo la bonifica, il colono libero, che fissandosi con la sua famiglia nelle case coloniche, avrebbe dovuto concorrere assieme agli altri, alla cosiddetta colonizzazione interna. Se questo avvicendarsi di reclusi e di liberi coloni si fosse realmente realizzato, oggi avremo descritto gli sviluppi di una vera colonizzazione.

3.6 Economia penitenziaria, mansioni e organizzazione del lavoro nelle colonie penali agricole

DZankell, CC BY-SA 4.0 <https://creativecommons.org/licenses/by-sa/4.0>, via Wikimedia Commons

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Il regolamento per le colonie penali agricole entrò in vigore ufficialmente nel gennaio del 1887[1]: gli articoli erano settantadue e all’interno di questi erano scritte le regole per la buona gestione economica di una colonia penale, oltreché l’organizzazione del lavoro e le varie mansioni. Partiamo proprio da queste ultime: la colonia aveva alla guida il direttore che rispetto al passato perse la sua totalità decisionale. Infatti, si instaurò una nuova figura di primaria importanza, ovvero quella dell’agronomo. Ben tredici articoli del nuovo regolamento erano riservati a questa figura, assimilabile al vicedirettore, e che aveva diritto di voto per quanto concerneva “tutti gli affari di qualche importanza relativi all’andamento industriale della colonia e specialmente all’attivazione di nuove coltivazione, nuove costruzioni, lavori di miglioramento, ecc. […]; era responsabile della buona conservazione delle macchine, degli attrezzi e degli utensili, nonché dei prodotti e del bestiame. Aveva il compito di formare le squadre di lavoro dei detenuti.”[2] Giuseppe Cusmano fu l’agronomo più in vista fra quelli impegnati nelle case di pena intermedia: si dimostrò un abile “pubblicista oltremodo fertile e nei suoi (numerosissimi) articoli si occupò di questioni direttamente legate all’agricoltura, così come alla medicina, all’igiene e all’amministrazione penitenziaria. Non a caso Cusmano lavorò stabilmente per parecchi anni come agronomo nella colonia di Castiadas, nel Sarrabus, senza mai mancare di avere numerose collaborazioni con le altre colonie. È proprio grazie a Giuseppe Cusmano che disponiamo la maggior parte delle statistiche sulle colonie penali agricole sarde.

Pokémon Go e l’esercito dei filosofi digiuni

Che ci sia un nuovo giochino dei Pokemon è un fatto del tutto irrilevante, almeno per chi non si interessi in prima persona o per lavoro di videogiochi. È così irrilevante che faccio fatica fisica anche solo a parlarne [*].

Ora, se questa deve essere un’occasione di riflessione, lo sia non tanto sull’introduzione del gioco e sul fatto che sta avendo particolare successo, ma sul fatto che troppe persone – tra i miei conoscenti, circa due su tre – parla a sproposito, come pure spesso succede, commentando con luoghi comuni difficili da digerire. L’impressione è quella di essere davanti ad un implacabile esercito di filosofi che, digiuni da tempo di ispirazione critica sui temi della morale, del buon gusto e dell’ontologia, all’improvviso trovino le parole (inadatte) ad esprimere il loro genio lungamente represso.