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La proprietà in Hobbes

British Library, CC0, via Wikimedia Commons

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Consigliamo Thomas Hobbes David Hume


  1. La proprietà nasce da un bisogno umano universale, quello di utilizzare degli oggetti per la propria sopravvivenza.
  2. La ragione (precetto della ragione) mostra tutto ciò che è consono alla sopravvivenza individuale.
  3. Lo stato istituisce la proprietà per il proprio bene e per il benessere della società.

La proprietà nasce dall’esigenza individuale di possedere entità esterne al proprio corpo al fine di un incremento della propria capacità di sopravvivenza. L’esigenza, l’interesse indiririzzata verso un oggetto, risiede nella capacità di ciascuno di utilizzare la cosa al fine della difesa e conservazione della vita.

All’interno della condizione naturale, ogni individuo è dotato di un’infinita estensione di diritti e, per tanto, più persone possono essere intenzionate ad avere un unico e solo oggetto. Così, nello stato di natura, l’oggetto è posseduto da chi per primo lo prende ed è in grado di difenderlo. Ciò, considerato in questa condizione di assoluta parità di diritto, la proprietà degli oggetti non è stabile ma soggetta alla precarietà della propria forza: un oggetto è mio, sin tanto che sono in grado di difenderlo. Da quest’intrinseco problema di stabilità del possesso, Hobbes conclude che solo all’interno dello Stato si può consolidare uno stabile diritto alla proprietà.

Kant e le leggi della robotica di Isaac Asimov

I_Robot_-_Runaround

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Consigliamo Capire la critica della ragion pura


“[L]e tre leggi della Golemica (…): 1) un golem non può nuocere all’uomo né permettere che, per il suo mancato intervento, un uomo riceva danno; 2) un golem deve sempre obbedire agli ordini ricevuti, a meno che questi non contrastino con la Prima Legge; e infine, 3) un golem è tenuto ad autoconservarsi e a difendersi a meno che questo non contrasti con la Prima e Seconda legge.”[1]

Le cosiddette “tre leggi della robotica”, nel nucleo, non sono proprio un’idea originale di Isaac Asimov, grandissimo scrittore di fantascienza nonché intelligente divulgatore scientifico. I “robot” nella narrativa fantascientifica sono più che un corollario. Surrogati dell’uomo per qualche particolare, come in Philip Dick, dotati di psicologia assolutamente equiparabile a quella umana. Oppure “elaboratori umani privi di sentimenti” come in Asimov. Però, è si avverte, non solo nella letteratura, ma anche nella realtà, l’esigenza di dare delle regole rigide a degli oggetti capaci di comportamenti identici a quelli umani, ma distinti dalla nostra specie.

Semplice e semplicità – Un concetto complesso

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Consigliamo L’atomismo logicodi Bertrand Russell e Thomas Khun


In tutte le scienze, sin dai tempi antichi, si parla di semplicità, di maggiore o minore semplicità, di realtà semplici, più semplici etc.. Tutti coloro che si propongono di difendere le proprie tesi, piuttosto di demolire quelle degli altri, spesso usano come argomento il fatto che una certa dottrina, teoria scientifica, struttura filosofica, sia più o meno semplice di un’altra. Come se la sola “semplicità” fosse sinonimo di verità. Ma cosa intendiamo, generalmente, per semplicità?

La questione dell’infinito: uno spunto di riflessione ad amplissimo raggio.

Di Pili G., www.scuolafilosofica.com

Vale la pena di riflettere un attimo sulla delicata questione dell’infinito: cosa è infinito?

L’infinito ammette diverse definizioni, al variare della definizione varia anche la sua stessa concezione. Innanzi tutto bisogna notare come dell’infinito noi non abbiamo mai esperienza diretta. Di fatti si tratta sempre di una supposizione quella dell’esistenza dell’infinito: che lo spazio cosmico sia infinito è tutto da dimostrare ( tanto che si dice che l’universo non sia infinito ma in continua espansione… -dove si espanda una cosa in continua espansione non mi è chiaro- ) e anche che la retta o i numeri siano infiniti è una questione di parole, soprattutto. Che io sappia, ancora non sono riuscito ad arrivare ad un termine ultimo per dire: di questo so per certo che è infinito.

Il problema delle descrizioni: un problema logico?

Di Pili G., www.scuolafilosofica.com

La descrizione è di tre tipi: definita, indefinita e impropria. I tre tipi di descrizione denotano tre cose distinte, nel primo caso un oggetto, nel secondo caso un insieme e nel terzo caso un insieme vuoto ( un individuo che non esiste è un insieme vuoto ). Il problema della descrizione è il problema di stabilire cosa sia l’elemento atomico del linguaggio, ovvero cosa possa essere l’enunciato atomico minimale dotato di senso compiuto.

Il grande miraggio: la prova ontologica – Una spiegazione introduttiva al problema.

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Consigliamo La prova ontologica di San Anselmo La prova ontologica spiegata ad un amico


Le prove ontologiche dell’esistenza di qualcosa, le più celebri sono quelle di Dio, sono tutte volte a dedurre l’esistenza di qualcosa (l’essere-stare ) dall’essenza (l’essere-qualità ).

Il problema per i pensatori cristiani era quella di non poter dimostrare l’esistenza di Dio. Infatti, a Dio bisogna credere e di Lui non si può sapere con esattezza se esista o meno. Tuttavia, non è facile, per tutti coloro che ragionano, doversi rassegnare ad una più pacata visione delle cose: Dio non è dimostrabile. Ebbene, proprio perché non ci si rassegnava e si aveva necessità di dare un “fondamento stabile” alle proprie dottrine, tutte incentrate sull’esistenza di un Essere sommo, si imponeva da sé il problema di dimostrare l’esistenza di Dio. Non a caso, pensatori quali Cartesio e Spinoza, pur fuoriuscendo dal pensiero “medioevale”, fanno riferimento alle varie versioni della prova ontologica. La fortuna di tale “dimostrazione dell’esistenza” arriverà fino a Hegel, nonostante Kant si fosse prodigato a chiarificarne l’insensatezza.

Essenza e presenza, la questione dei due modi di “essere”

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Consigliamo La prova ontologica di san AnselmoDante di G. Pili


Una delle cose che, da che studio filosofia, mi sono reso conto è che i filosofi hanno imparato a usare due termini diversi per quel che normalmente diciamo con un solo verbo: quello “essere”. Le parole “essenza” e “presenza” possono essere riscritti nei termini del solo verbo “essere”: “essenza” = “ciò che una cosa è” = “la definizione di una cosa”, mentre “la presenza” = “l’esistere di una certa cosa nel mondo”.

Per esempio: “l’uomo è un animale sociale”, come vediamo fatta con il verbo essere, è la definizione dell’essenza di una cosa. La parola che abbiamo dedotto da questa nel luogo comune è, giusto per dirne una, “essenziale”.

La delicata questione degli universali: una cosa che difficilmente vi verrà spiegata con chiarezza

Grafiker61, CC BY-SA 4.0 <https://creativecommons.org/licenses/by-sa/4.0>, via Wikimedia Commons

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Capire cosa è la perfezione nell’età Classica di G. Pili


Gli universali sono la riproposizione medioevale dell’antico problema degli archetipi platonici. Noi conosciamo le proprietà degli oggetti e le definiamo secondo qualità. Gli oggetti sono, in ultima analisi, riconosciuti a partire dalla loro definizione, cioè l’enumerazione delle loro proprietà essenziali.

La questione sembra non avere problemi, ciò solo in superficie. Cosa sono queste qualità? Possono essere inerenti all’oggetto o indipendenti. Possono essere delle descrizioni comode ma non avere corrispettivo reale, come un meridiano è una linea immaginaria ma utile, allo stesso modo potrebbero essere le proprietà delle cose.

Dall’individuo allo stato – La parabola di Hobbes

https://www.flickr.com/photos/66351465@N00/13888108157/

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Consigliamo Thomas Hobbes – Vita e Opere e Percorso di filosofia moderna di G. Pili


L’individuo è indirizzato ad una soddisfazione dei suoi desideri. Secondo Hobbes, l’egoismo individuale è universale e necessario e, di per sé, illimitato. Universale perché è comune a tutti gli uomini, necessario perché è determinato dalla nostra sola esistenza.

La libertà è la risultante delle forze resistenti alla possibilità di ciascuno. Essa è l’attività possibile, il potere dell’uomo di operare all’interno della realtà. Nella condizione di natura, l’uomo tende ad esercitare le proprie possibilità anche a scapito degli altri, qualora ciò sia necessario per la soddisfazione dell’istinto soggettivo. Dunque, lo scopo di ogni individuo è la ricerca del proprio bene, un bene che non ha nulla di astratto (morale cristiana) o determinato mediante una regola intersoggettiva (morale kantiana) né attraverso la conoscenza (morale platonico/socratica). Il bene è un oggetto capace di migliorare la condizione di un soggetto, dunque è qualcosa di concreto e, allo stesso tempo, di soggettivo che non si conquista a partire da una riflessione ma da un’azione pratica posta da un’intenzione non-razionale. Hobbes, prima di Locke e Hume, teorizza l’impossibilità della ragione nel determinare intenzioni, esse determinano la ragion-pratica, non viceversa.

Critica alla dottrina morale di Aristotele

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Consigliamo Aristotele, Vita e Opere e La felicità in Aristotele di G. Pili


Aristotele non ritiene che la conoscenza della vita quotidiana attenga alla ragione scientifica. La ragione ha la possibilità di conoscere ciò che è necessario, ovvero, ciò che è insostituibile per vivere, per arrivare a determinare un fine, la premessa per una definizione, la deduzione logica ecc.. Ma la conoscenza attiene sempre ad un’osservazione e, in quanto tale, decide ciò che capita più spesso.

Come osserva Aristotele, nell’etica non ci può essere posto per una trattazione interamente razionale della questione in quanto non è data conoscenza a priori dei fini particolari delle deliberazioni nella vita quotidiana: essi sono, assai spesso, unici, per ciò non oggetti di osservazione ripetibile. Da un lato, è vero, il fine sommo della vita umana è quella di essere felici. Ciò, certo, non è un’ovvietà, ma è anche vero che, generalmente, sono assai pochi che ne sono coscienti e assai pochi che davvero cercano umanamente di vivere una vita beata: è questione, guarda caso, di esperienza che siano assai pochi quelli in grado di condurre una vita felice.