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Scuolafilosofica Posts

Military virtues – An individual perspective – 3

By Ssolbergj – The vexilloid of the Roman Empire

Always keeping in mind the importance of the classical period of Roman history, Vegetius suggests that the best soldiers are peasants in peace: they are more accustomed to the harsh reality of hard work for surviving, to the difficulties of a merciless and uncomfortable life. They are also well-motivated people not to die because they have a lot to lose. Even if it was not the subject of (fairly recent) studies, it was already clear in the past that humans considers the fear of loosing more relevant for making decision than betting to get something more. One strives for the defense of what already owns, rather than the love of risk for something better. According to the studies of neuroeconomics, this is true for a ratio of 2/1, so that peasants already have several virtues useful from a military point of view.

Efficienza come misura morale delle istituzioni pubbliche

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Esaurito il discorso per l’individuo possiamo fare un breve salto verso enti sociali – i cosiddetti “agenti plurali”. Non ho intenzione di addentrarmi nella disamina specifica della loro natura metafisica, ma considero gli “agenti plurali” banalmente tutti quegli enti formati da esseri razionali tali che la somma degli individui è capace di generare credenze collettive. Ad esempio, uno stato è un agente plurale perché gli si possono attribuire delle credenze che, in ultima analisi, possono essere diverse dalla somma delle credenze dei singoli individui che lo costituiscono. La modalità di aggregazione della credenza collettiva è irrilevante in questa sede, ma non lo è in senso assoluto – naturalmente.

L’efficienza è un valore morale

https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/b/b3/Increased_Efficiency_TEXT4.png

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Metaefficienza ed efficienza come precondizione e condizione dell’agire morale

1. Introduzione

L’efficienza non è spesso avvocata nel novero dei valori morali fondativi come, ad esempio, il dovere verso se stessi o il dovere verso gli altri. A chi sposa una certa religione, al dovere verso sé e gli altri (per altro comandati dall’assiologia religiosa quasi universalmente – per quanto ne sappia), si deve aggiungere il dovere verso la divinità. Dato che quest’ultimo dipende intrinsecamente da una visione religiosa di sfondo – quale che essa sia – non lo considereremo al pari del dovere verso se stesso e verso gli altri per la semplice ragione che essa non è parimenti universale rispetto alle possibili declinazioni della morale. Intanto, qui con “morale” intenderemo un insieme di principi che fondano i concetti stessi di “dovere verso se stessi” e “dovere verso gli altri”. Non ha qui importanza la distinzione tra approcci normativi o approcci descrittivi all’etica in quanto qui vogliamo solamente fissare un punto che, a nostro giudizio, risulta piuttosto oscurato, ovvero che se una persona intende sviluppare un atteggiamento etico di qualche sorta – di qualunque essa sia – l’efficienza deve necessariamente rientrare come valore derivato del suo stesso approccio.

Assonanze tra Hans Kelsen e David Hume

https://it.m.wikipedia.org/wiki/File:Hans_Kelsen_(Nr._17)_-_Bust_in_the_Arkadenhof,_University_of_Vienna_-_0291.jpg

Hans Kelsen fu uno dei più grandi giuristi del novecento e fonda la sua “teoria pura del diritto” su un fine piuttosto preciso: chiarificare il ruolo del diritto, riportarlo alla luce al di fuori di filtri di scienze al diritto estranee. Questo fine può essere raggiunto solo specificando quale è l’ambito d’indagine della giurisprudenza e quali siano i limiti del diritto stesso. Il problema maggiore della scienza del diritto è quello di riuscire a separarsi da tutte le altre scienze a cui, spesso, i giuristi fanno appello. Il diritto deve essere analizzato di fronte a se stesso e null’altro. La questione si presenta secondo diverse angolature, a seconda del rapporto di dipendenza del diritto con altre concezioni a sé estrinseche: la scienza della natura, la morale e la religione.

Vegetius and the principles of war – 2

Vegetius’ analysis is grounded on three main assumptions. They are the conditions to define a good army:

(EB) An army is good if and only if

(a) is organized rationally,

(b) each unit is efficient in relation to its role,

(c) is able to have sufficient means to act.

Points (a) and (b) are poorly formulated because they already imply and require a quality assessment, which makes the Vegetius’ definition slightly circular – it implies already an account of what a good army is even though he is explaining exactly that point. However, at least in the first glance, these principles immediately able to be grasped by anyone who is not a philosopher who naturally needs more rigor. In any case, let’s eliminate the problematic terms (“rational” and “efficient”) to obtain greater clarity regarding our topic:

The Art of War – Publio Flavio Vegezio Renato – 1

yeowatzup / CC BY (https://creativecommons.org/licenses/by/2.0)

The Art of War (De rei militaris or Epitoma de rei militaris) is a classic of war studies. It has a particular descriptive value and not strictly strategic, that is, not so much focused on a normative dimension (principles of war and what I’ve called pure theory of war). Publio Flavio Vegezio Renato (from now only Vegetius, as it is universally known in English) is not substantially interested in general and strategic elements of war and “military art”. Therefore, he is not so much interested in what we would say today the part of war most connected with the state politics (or an empire) or concerning the nature of the strategic planning of the military campaign. Rather, he is a historian and tactician of the classical Roman era. Let it be said straight away that the Vegetius’ Art of the war is not a text written in the Rome’s Republican period but during the epigonic phase of the empire (4th century AD). The influence of the classical Roman period (understood in the period between the monarchic and the republican period up to Augustus included in this broad concept of Latin classicism) extends for all the pages of the work of Vegetius. He was far by considering the Roman imperial mandate as ended with the center of gravitation of civilization. He tries to find the reasons why the ancient Roman armies had made the city the center of the known world (by the Romans).

Il cittadino libero ed eguale di fronte alle nuove app


Le opinioni riportate in questo articolo sono di sola responsabilità dell’autore e non riguardano in alcun modo Azione Filosofica


Inizialmente, ero molto preoccupato dall’idea che i governi europei si attivassero tutti per fare un’app per il cellulare. Ma poi mi sono rasserenato ragionandoci. Infatti, ricordandomi i fondamenti della civiltà e dello stato liberale, ho avuto la perplessità che l’aumento di controllo potesse essere direttamente a detrimento della mia già limitata libertà di iniziativa e attività individuale. Secondo la teoria dello stato liberale, che sta a fondamento della premessa stessa dei governi dei paesi europei, lo stato ha il dovere di garantire la sicurezza fisica dei cittadini in modo da garantire la loro stessa possibilità di iniziativa e azione all’interno del tessuto sociale ed economico di cui lo stato si erge a tutela dall’esterno – cioè non giudicando le opinioni e le conoscenze dei cittadini ma lasciando che il libero mercato delle idee sviluppi attivamente la propria autonoma versione di ciò che i cittadini ritengono meglio per loro stessi.

Un puro amore per le macchine che mi fanno vivere

Quando ero più giovane, ero convinto che le macchine nello specifico – e la tecnologia, in generale – fossero alcune delle cause dei mali del nostro tempo. Ho bisogno di loro, ma questo bisogno è un peso per le mie spalle – questa la tesi. A quel tempo, ero solo uno studente di filosofia senza una comprensione di come una materia prima si trasformasse in un vero bene, in prodotto finito consumabile da altre persone. Sì, è vero, ho sempre ammirato l’ingegneria e ho iniziato ad essere un artigiano attivo che lavora con il legno per trasformarlo nei miei mobili.

È un dato di fatto, ho lavorato prima ai progetti, poi ho considerato i loro costi, dove acquistare i banchi di legno, le viti ecc. Poi, con molti strumenti, ho trasformato i materiali già realizzati in un lavoro finito. Ho amato così tanto l’ingegneria e gli strumenti che ho anche pensato di studiare per essere un ingegnere navale, dato il mio amore per le navi e il mare. Ma da quando ho iniziato a studiare filosofia nella scuola secondaria, ho capito che la mia vita sarebbe stata priva di significato senza una profonda analisi filosofica della realtà e quindi ho scaricato l’ingegneria come un modo di vivere ma non di studiare. Il problem solving è semplicemente parte della mia natura e un approccio ingegneristico alla vita è ciò che ho sempre trovato sano e produttivo. Tuttavia, sono diventato critico nei confronti della dipendenza umana dalle macchine e, più in generale, dalla tecnologia. In alcuni punti voglio mostrarti come ho capito che mi sbagliavo completamente.

A sheer love for the machines that make me living

When I was younger, I was convinced that machines specifically – and technology in general – where some of the causes of the evils of our time. I need them but this need was a burden on my shoulders. At that time, I was just a philosophy student without a grasp on how a raw material is actually transformed to a real good. Yes, it is true, I always admired engineering and I started to be an active craftsman working with the wood to transform it in my pieces of furniture. As a matter of fact, I worked on projects first, then I considered their costs, where to buy the wood banks, screws etc. Then, with many tools I transformed the already crafted materials in a finished work. I loved so much engineering and tools that I also thought to study for being a naval engineer, given my love for the ships and sea. But since I started to study philosophy in secondary school, I understood my life would have been meaningless without a deep philosophical analysis of reality and then I discharged engineering as a way of living but not of studying. Problem solving is simply part to my nature and an engineering approach to life is what I always found healthy and productive. However, I became critical of the human dependence on machines and – more broadly – technology. In few points I want to show you how I understood I was completely wrong.

Utopia andata e ritorno – Philip K.Dick (1964)

Introduzione

The subinfo computers owned by Lies, Incorporated had been caught in an unnatural act by a service mechanic. Subinfo computer Five had transmitted information which was not a lie. […] but the computer, being programmed to lie, would of course lie – even to Lies, Incorporated itself.

Philip Dick

“Lies, Inc.” (Utopia andata e ritorno in italiano) è una delle opere più complesse di Philip K. Dick (PKD), sicuramente non una delle più leggibili (per i motivi che vedremo), e non è mai stata pubblicata durante la vita dell’autore, probabilmente per buoni motivi.