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Recensione a cura di Rocco Giuseppe Tassone – L’ottimo medico è anche filosofo? – Sonia Cosio (ed)

Cosio, Sonia; (2018), L’ottimo medico è anche filosofo?, Le Due Torri, Bologna.


In principio fu la filosofia!

“L’insegnamento giunge solo a indicare la via e il viaggio; ma la visione sarà di colui che avrà voluto vedere” (Plotino).

Fino a qualche secolo fa non esistevano le branche scientifiche ma vi era un’unica pangea culturale: la filosofia, la madre di ogni conoscenza. Non esisteva il medico o il biologo, il fisico o il matematico o il chimico ma una grande egemonia sopra le parti: il filosofo. Onnisciente figura chiave sul sapere contemporaneo. Poi, con la crescita delle informazioni, sono emerse le varianti culturali e mentali che hanno portato alla ramificazione delle conoscenze nelle varie branche a noi oggi note. Ma il cordone ombelicale con la grande Madre, la filosofia, non si è mai spezzato e non esisterebbe nessuna materia scientifica e /o umanitaria senza di essa.

Con questa mia convinzione mi accingo a leggere e a modulare il mio pensiero sulle pagine proposte nel volume: L’ottimo medico è anche filosofo? curato da Sonia Cosio e scritto a più mani e che l’assistant professor Giangiuseppe Pili, responsabile di collana della casa editrice Le Due Torri, mi ha inviato in saggio.

I vari autori cercano di far chiarezza tra il connubio filosofia e medicina, concetti che osmoticamente si incontrano e si amalgamano in un unico pensiero. Un buon medico non può essere solo fredda cognitività scientifica in quanto non produce o traduce solo provette, ma ha difronte a se l’essere umano che va si curato ma prima di ogni cosa compreso e guidato in un percorso di guarigione o di morte, quindi la rigidità scientifica deve per forza di cose scontrarsi ed incontrarsi con l’umanità sociale e bioetica. Un medico deve saper riconoscere le cause e gli effetti della malattia ma anche saper condurre il paziente nella tortuosa strada segnata dal fato in senso reversibile o meno, con un linguaggio ed un approccio umano governati da un’etica chiara e sensibile. Tutto ciò potrà farlo solo se riesce ad amalgamare scienza e conoscenza, nozioni scientifiche e formazione letteraria-filosofica: ragione e poesia.

Il medico cura il corpo, il filosofo la sua essenza che come recita Lo Statuto Epistemologico della medicina: “la medicina non è né tecnica della guarigione, né scienza naturale, ma arte della cura attraverso una relazione”. Definita da Lain Entralgo “un centauro gnosologico” ovvero in parte scienza della natura in parte scienza dello spirito. Tutto ciò comporta necessariamente il ritorno al vecchio concetto di medicina espresso da Ippocrate di Cos: il medico deve avere una sensibilità rivolta all’interesse del paziente e non al proprio tornaconto, agirà come filantropo e non velleità di arricchimento, con una propria etica e uno sguardo rivolto ai veri problemi che affliggono i pazienti, un vero esperto che conosce e racchiude nel proprio operato la filosofia: logica, fisica ed etica.

E qui l’importanza del “vecchio medico di famiglia” che fino a pochi decenni fa trascorreva, almeno nei piccoli centri, buona parte del suo tempo ai rapporti umani. Conosceva tutti e tutto, si fermava a chiacchierare e a studiare la quotidianità del proprio paziente per cui al momento necessario era in grado di intervenire con la scienza ma anche con la conoscenza. Oggi questa figura è scomparsa, il rapporto medico-paziente non esiste e si limita alla fredda ed “ anonima ” ricetta. Ritornare alla figura essenziale medico-filosofo con un approccio più umano ed etico sarebbe auspicabile.

E qui gli autori entrano anche nella piaga dei comitati etici il cui compito è quello di attivare la riflessione etica difronte alle nuove biotecnologie e ricerca scientifica. Se da un lato il progresso medico-scientifico-biotecnologico è sinonimo di stupenda vittoria dall’altro la sua applicazione pratica potrebbe creare perplessità o indifferenza umanamente comprensibile negli operatori e nella società. Nel testo viene appositamente richiamato il mito di Tiresia, l’indovino cieco, che rappresenta la necessità di distinguere tra il “ saper vedere ” e il  “ saper non vedere ”.

Dalla magia alle scienze applicate, dal Rasa – il degli Ihwan al-Safa alla medicina scienza moderna rigorosamente (forse troppo) fredda e tecnica, spesso asettica di umanesimo e di “umana follia” propria del filosofo.

Il libro in oggetto è un ottimo spunto per una riflessione più bio-etica della professione medica. Di facile lettura nonostante l’argomento prettamente e rigorosamente tecnico, come ottima è l’impaginazione, l’impostazione e la veste grafica.

Rocco Giuseppe Tassone

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