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3.3 Colonia penale agricola dell’Isola dell’Asinara

DZankell, CC BY-SA 4.0 <https://creativecommons.org/licenses/by-sa/4.0>, via Wikimedia Commons

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La storia dell’isola dell’Asinara nell’età moderna e contemporanea “si distingue per poche ma significanti linee caratterizzanti che costituiscono gli elementi essenziali della sua plurisecolare vicenda”.[1] Inoltre la posizione geografica dell’Isola dell’Asinara, nonché la conformazione ‘sinuosa’ da cui ne deriva anche il nome, fanno dell’Asinara “il caratteristico antemurale di una terra sarda solo in parte popolata”[2].

Per secoli fu il rifugio di pirati e marinai, grazie ai suoi preziosi approdi naturali riparati da una parte dal maestrale, e dall’altra dai venti orientali. Qui ancora, vanno a proteggersi i pescatori di corallo e i tonnarotti. L’isola dell’Asinara al suo interno restò comunque per secoli praticamente deserta e inabitata, salvo la sporadica presenza di qualche pastore proveniente da Sassari, città che esercitava già dall’età moderna il diritto di ademprivio sull’isola: la loro presenza fu comunque sempre limitata. Solo nel Settecento l’isola presenta caratteri di forte novità rispetto al passato, per gli impulsi della nuova politica di colonizzazione che investe la Sardegna sabauda.[3]

L’isola dell’Asinara riuscì ad avere a metà Ottocento un proprio centro abitato: nel 1833 risultano residenti nel villaggio di Cala d’Oliva, circa 210 individui metà di origine ligure, dediti alle attività legate alla pesca, l’altra metà di origine sarda, dediti alle innate conoscenze agropastorali. La popolazione andò lentamente aumentando, e vi si sarebbe, probabilmente, formato un centro paragonabile a quelli dell’Isola di S. Antioco, dell’Isola di S. Pietro e della Maddalena fondati soltanto qualche decennio prima.

Tuttavia il 1885, precisamente il 28 giugno, fu un anno importantissimo. La Legge n.3183 sancì il definitivo sfratto per tutta la popolazione, per stabilirvi la stazione sanitaria marittima per le navi, il cosiddetto ‘Primo lazzaretto del Regno d’Italia’ e nel 1886 una colonia penale agricola: la maggior parte degli abitanti espulsi, con i quali lo stato e le forze dell’ordine ebbero non pochi contrasti, si stabilirono nella località vicina alla strutture delle tonnare, dando vita al villaggio di Stintino, fino agli anni novanta paese dedito alla pesca e alla pastorizia.

La legge 3183, presentata alla Camera dal presidente del Consiglio e ministro dell’Interno Agostino Depretis con queste parole: “si era riconosciuto conveniente l’impianto di una colonia di coatti, dei quali molti si hanno relegati in località in cui manca assolutamente il modo di occuparli al lavoro, e che pure ad essi si ravviserebbe conveniente trovare produttivo impiego.”[4]Tale legge era composta da tre articoli: 1) il primo autorizzava l’iscrizione nel bilancio passivo del Ministero dell’Intero di quell’anno di 600.000 lire per gli espropri da eseguire nell’Isola, per la costruzione dei locali necessari all’attivazione di una colonia penale agricola, il loro arredamento, la sistemazione delle strade, la condotta dell’acqua e delle altre opere di muratura fondamentali; 2) il secondo articolo iscriveva nel bilancio passivo del Ministero della Marina la somma di 400.000 lire per le spese di primo impianto di un lazzaretto;[5]il terzo si limitava ad indicare quali norme dovevano essere applicate per l’esproprio dei terreni posseduti dai privati. Nella relazione che accompagnava il progetto di legge, Depretis sottolineò il fatto che l’attivazione della colonia penale era direttamente complementare all’impianto del lazzaretto, perché sarebbe stato comunque necessario mandare nell’isola personale per la costruzione del lazzaretto e in seguito mantenervelo per la manutenzione. Ecco perché Franca Mele afferma che la costruzione di una colonia penale sull’isola dell’Asinara fu quasi un evento “incidentale”.[6]

Dopo appena quattro anni dall’approvazione della legge, nel 1889, la colonia risulta già ben avviata. Quell’anno si trovavano sull’isola 269 condannati, 20 soldati, 39 agenti di custodia, 42 impiegati più i membri delle loro famiglie. La giurisdizione dell’isola faceva capo a Cala d’Oliva, (dove già c’erano le basi dell’originario villaggio dal quale erano stati sfrattati i precedenti coloni), nella quale venne ubicata la direzione centrale. L’isola contava circa 5192 ettari di superficie e poco più di 45 chilometri di perimetro: all’iniziale edificio centrale fu necessario aggiungere delle diramazioni periferiche, ovvero Trabuccato, Tombarino, Fornelli, Elighe Mannu, Campu Perdu, Santa Maria, Saucco e altri minori. Ancora oggi i ruderi, o in altri casi ancora gli edifici intatti, sono totalmente visibili nella spettacolare visita che viene concessa al Parco nazionale dell’Asinara.

Il clima dell’isola dell’Asinara era “saluberrimo”[7], tranne che nella località di Fornelli, questo perché per secoli l’isola era stata disabitata, impedendo la diffusione della malaria. Aggiunse Claudio Fermi docente dell’università di Cagliari nel 1924 che “essendo l’Asinara spopolata di bestiame di uomini”, fino al 1700, “gli anofeli non avevano avuto campo né di prosperare, né di infettarsi.”[8] È da segnalare come dopo il 1885, ovvero nell’anno in cui l’isola venne popolata da coloni perlopiù portatori di malaria, quest’ultima si diffuse fortemente nell’isola portando condizioni di squilibrio al biosistema isolano, e ancora, all’interno della stessa isola, nella parte settentrionale la malaria era un fenomeno quasi del tutto sconosciuto, al contrario nella parte meridionale, specie nella diramazione di Fornelli (a causa anche di diversi stagni e pozze permanenti) erano frequenti i casi di malaria e anofelismo. Ancora Fermi asserisce con convinzione nel suo studio-inchiesta sulla malaria nell’isola che la possibilità futura di un ritorno della malaria nell’Asinara è remota “per lo scarso anofelismo dominante; […] sarebbe doloroso inoltre, se la Sardegna perdesse anche quest’unica località ove si possa abitare senza contrarre le febbri. Ciò sarebbe ancora più doloroso perché all’Asinara risiede una Stazione sanitaria ed una colonia penale agricola.”[9]

L’isola rivestì subito dopo l’approvazione della legge Depretis un ruolo importantissimo: e gli sforzi economici che riservò lo stato ne furono una dimostrazione palese. Come nelle altre colonie, anche in questa si badò primariamente alla costruzione di una ‘centrale operativa’ eccellente: prima della fine del secolo a Cala d’Olivo erano presenti gli uffici della direzione, il telegrafo per le comunicazioni con Stintino e Porto Torres, le abitazioni per gli impiegati, le caserme per gli agenti di custodia e i soldati, la foresteria, i dormitori per 120 condannati, le officine, il caseificio, il mulino e svariate stalle.

Lo sviluppo coloniale dell’Asinara non differì dallo sviluppo storico delle colonie ‘storiche’:

1) arrivo di coloni esterni all’isola;

2) costruzione di un corpo centrale;

3) espansione nel resto dell’isola e bonifiche delle terre malariche o devastate;

4) consolidamento dell’economia interno;

5) apertura dell’economia verso l’esterno.

Dal punto di vista agronomico[10]l’Asinara poteva vantare un clima molto asciutto, anche per la scarsità delle piogge. Il terreno siliceo e argilloso, si prestava alla coltura di cereali, legumi e prati per il pascolo, nonché all’insediamento di vite, olivo[11], mandorlo, ma anche degli alberi da frutto generico. La flora nell’isola abbondava di macchia mediterranea: cisto, ferula, euforbia, ginepro, olivastro, pero selvatico e lentischio, arricchivano le diete del bestiame, specie degli ovini, dei caprini e degli equini. Proprio di questi ultimi l’isola ne aveva grande abbondanza e veniva utilizzato come animale da lavoro all’interno della colonia, specie per la molitura del frumento nell’apposito mulino a pietra: l’asino bianco dell’Asinara era un’ottima merce di scambio per l’amministrazione penitenziaria.[12] L’isola, come più volte detto, presenta varietà di paesaggi e conformazioni geologiche: se la parte meridionale è pianeggiante, la parte settentrionale è più montuosa e nella località di Elighe Mannu è presente, tuttora, un vasto bosco di lecci, alberi ghiandiferi e da sughero, tipici delle zone montuose dell’entroterra sardo. L’industria del bestiame sarebbe stata più fiorente se non ci fossero state continue “epidemie di setticemia emorragica. […] malattia infettiva che si ripeteva ogni anno nei mesi di maggio, giugno e luglio.”[13] Solo prima della seconda guerra mondiale fu trovato un efficace rimedio contro questa malattia.

Valore in lire del bestiame presente nell’isola al 1910[14]:

Quantità Valore/Lire
Montoni 163 L.1.940
Pecore 1.043 11.994
Castrati 169 1.284
Becchi 4 60
Capre 100 1.200
Caprette 7 70
Bovi da lavoro 58 21.200
Tori 7 4.500
Vacche 151 36.525
Giovenchi 30 4.050
Giovenche 39 4.300
Vitelli 109 7.350
Cavalli 21 4.875
Asino comune 1 600
Asino autoctono 9 270
Suini 71 3.000
Pollame 290 404
Totale L. 103.622

La colonia dell’Asinara, nella storia delle colonie penali agricole in Italia, fu senz’altro quella che assieme alla colonia di Pianosa, diede maggiori frutti economici e entrate per le casse dell’amministrazione penitenziaria. I detenuti lavoravano a pieno regime all’interno dei laboratori artigiani, come per esempio i caseifici (basti pensare all’abbondante quantità di mucche e pecore da latte, vd. Tabella sopra), o ancora, vennero costruite strade per collegare le diramazioni, scavati pozzi artesiani e costruiti abbeveratoi ingegnosi, vista la penuria di acqua di sorgente specie nella parte meridionale, mentre per quanto riguarda le opere di rimboschimento, si veda la tabella di seguito:

Tipi di rimboschimento e zona di attuazione Ettari e ragioni del rimboschimento
1)      Rimboschimento con alberi di leccio della parte settentrionale dell’isola 600 ettari dove prese dimora un importante bosco per la produzione di ghiande e sughero
2)      Rimboschimento con alberi di pino marittimo, domestico e pino della Corsica, nella zona adiacente Cala d’Olivo e Cala Reale 200 ettari per il riassestamento geologico e morfologico della terra, contro gli smottamenti e le frane invernali
3)      Rimboschimento con olivastro e cedro licio[15]nelle valli e nelle pendici dei monti 1400 ettari per il riassestamento geologico, per nutrire i caprini e gli ovini, e per la produzione di saponi
4)      Rimboschimento con pioppi del Canadà nella zona paludosa di Fornelli 3 ettari per il prosciugamento degli acquitrini e delle pozze malariche

Si può affermare che l’isola dell’Asinara dal 1885 fino al 1999, anno della definitiva chiusura del carcere di massima sicurezza, fu una vera fabbrica penitenziaria, alimentando le postume discussioni sull’economia carceraria che si svilupparono a partire dagli anni 20 del Novecento.[16] Vale ancora la pena ricordare, come nell’isola dell’Asinara, lo scopo della colonia fu inizialmente quello di far gestire ai detenuti la manutenzione del primo lazzaretto del Regno d’Italia, ma con gli anni le amministrazioni penitenziarie che si succedettero, unirono ‘gli sforzi’ del mantenimento del lazzaretto, al ‘dilettevole’ lavoro di una colonia penale agricola.


[1] Mele F., La fondazione della colonia penale, in Gutierrez M., L’Isola dell’Asinara. L’ambiente, la storia, il parco, Poliedro Editrice, 1998, Nuoro, pagg. 41 e seguenti.

[2] Ibidem.

[3] Il tentativo concreto di colonizzazione venne fatta sul finire del Settecento: l’intento era quello di portare sull’isola circa quaranta famiglie di commercianti marittimi provenienti da Marsiglia, col compito di fondare una base commerciale di riferimento nel Mediterraneo. Tale impresa, come un po’ tutti furono i tentativi di colonizzazione in Sardegna, spesso per colpe stesse dei nativi, fallì in breve tempo in questo caso per motivi finanziari. Sull’isola tornarono i pastori e il loro bestiame nelle loro cussorge da cui erano stati allontanati. Si veda anche in questo caso Gutierrez M., L’Isola dell’Asinara. L’ambiente, la storia, il parco, Poliedro Editrice, 1998, Nuoro, pagg. 97-98.

[4] Del Piano L., I problemi della Sardegna da Cavour a Depretis, Editrice Fossataro, Cagliari, 1977.

[5] All’epoca i lazzaretti erano gestiti dal Ministero della Marina.

[6] Mele F., L’Asinara e le colonie penali in Sardegna in Le colonie penali nell’Europa dell’Ottocento, Carocci, 2004, Roma.

[7] Doria A., La colonizzazione interna nelle sue applicazioni col mezzo delle colonie penali agricole, Tipografia delle Mantellate, Roma, 1912.

[8] Fermi C., Idrografia, anofelismo e Malaricità dell’Isola dell’Asinara (Sardegna), Tipografia Giovanni Gallizzi, Sassari, 1924.

[9] Ibidem.

[10] Termine col quale indichiamo lo sfruttamento della terra per l’agricoltura, l’allevamento e l’impiantamento di boschi.

[11] Ancora oggi sono visibili arrivando al borgo di Cala d’Oliva degli olivati e delle vigne curati da qualche volontario del Parco nazionale dell’Asinara.

[12] Fra il 1908 e il 1910 l’amministrazione vendette 30 asini bianchi per 1075 Lire.

[13] La causa della setticemia emorragica venne data alla ferula, pianta di cui andava ghiotta il bestiame, ma assai nociva e considerata velenosa. Si veda il resoconto di Doria A., La colonizzazione interna nelle sue applicazioni col mezzo delle colonie penali agricole, Tipografia delle Mantellate, Roma, 1912.

[14] Ibidem.

[15] Il cedro licio o ginepro fenicio è una Pianta arbustiva o albero alto fino a 12 metri, dalle cui galbule (ovvero i frutti o coni oppure anche – impropriamente – bacche) i coloni erano soliti fabbricare dei saponi e detergenti per il corpo e per il vestiario.

[16] Si veda paragrafo 2.7.


Wolfgang Francesco Pili

Sono nato a Cagliari nell’aprile del 1991. Ho da sempre avuto nelle mie passioni, la vita all'aria aperta, al mare o in montagna. Non disdegno fare bei trekking e belle pagaiate in kayak. Nel 2010 mi diplomo in un liceo classico di Cagliari, per poi laurearmi in Lettere Moderne con indirizzo storico sardo all'Università degli studi di Cagliari con un'avvincente tesi sulle colonie penali in Sardegna. Nel bimestre Ottobre-Dicembre 2014 ho svolto un Master in TourismQuality Management presso la Uninform di Milano, che mi ha aperto le porte del lavoro nel mondo del turismo e dell'accoglienza. Ho lavorato in hotel di città, come Genova e Cagliari, e in villaggi turistici di montagna e di mare. Oggi la mia vita è decisamente cambiata: sono un piccolo imprenditore che cerca di portare lavoro in questo paese. Sono proprietario, fondatore e titolare della pizzeria l'Ancora di Carloforte. Spero di poter sviluppare un brand, con filiali in tutto il mondo, in stile Subway. Sono stato scout, giocatore di rugby, teatrante e sono sopratutto collaboratore e social media manager di questo blog dal 2009... non poca roba! Buona lettura

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