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3. La colonizzazione interna della Sardegna per mezzo delle colonie penali agricole

DZankell, CC BY-SA 4.0 <https://creativecommons.org/licenses/by-sa/4.0>, via Wikimedia Commons

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Anche in Italia, a partire dalla seconda metà dell’Ottocento, si scelsero soluzioni alternative per quanto riguarda i tipi di pena da scontare: “Triste spettacolo quello dei forzati che fanno risuonar la catena sulle pietre dei moli, nei porti di mare, sotto la minaccia continua della sferza degli aguzzini e di quello dei condannati, immerse le gambe sanguinolenti nelle corrosive acque marine, esausti per arsura e per stanchezza sotto il rovente morso del sole.”[1]

Dai dibattiti sui nuovi sistemi di pena da adottare, quello della colonia penale agricola sembrava essere il più fattibile: non dobbiamo però confondere questo progetto con la “modesta attività svolta nelle aree agricole interne ai penitenziari o nelle loro succursali”.[2] Se inizialmente a questo progetto di riforma il governo italiano non riservò particolari attenzioni, come conferma il parere negativo dato dalla commissione per la riforma del sistema penale istituita nel 1862 da Bettino Ricasoli[3], tuttavia all’iniziale diffidenza sul progetto, si sostituì un progressivo interesse, alimentato dal bisogno di un’opera di bonifica nazionale delle paludi e delle terre malariche, comunque di difficile attuazione poiché la malaria e la resistenza dei grandi proprietari terrieri ostacolava l’operazione.

Martino Beltrani Scalia, ispettore delle carceri del Regno d’Italia, fu uno dei principali sostenitori della creazione dei nuovi istituti di pena[4]: nei suoi resoconti compilati per i vari consigli dei ministri che si succedettero, egli elencò gli svantaggi e i vantaggi delle colonie penali, valutando attentamente sia l’aspetto della disciplina, che quello economico. Beltrani Scalia sostenne che le colonie penali avrebbero assicurato:

  1. a) certezza dei lavori eseguiti dai reclusi prima della condanna;
  2. b) il recupero alla collettività dei territori bonificati;
  3. c) un forte risparmio per le casse dello Stato, che convogliando nelle colonie buona parte dei detenuti, avrebbe potuto chiudere delle carceri, che procuravano oneri alle casse statali;
  4. d) “una modesta, e perciò auspicabile, rivalità con il mercato libero”[5] di prodotti agricoli.

Le colonie avrebbero portato anche degli svantaggi:

  1. a) una produttività prevedibilmente bassa, considerando le difficili condizioni di lavoro e ambientali (punto in forte contrapposizione con il d) dei vantaggi);
  2. b) ingenti spese sanitarie e di custodia.

Seguendo questo orientamento, dopo l’unità d’Italia nel 1861, in Sardegna sorsero le carceri di Buon Cammino e di San Bartolomeo e le colonie penali agricole di Castiadas, di Isili, di Bitti-Mamone, dell’Isola dell’Asinara, di Cuguttu ad Alghero e di San Bartolomeo a Cagliari. Le nuove colonie agricole sorsero sul modello della colonia di Pianosa: quest’ultima fu infatti proprio la prima colonia ad essere fondata nel 1858 con l’invio di sedici corrigendi. Visti i risultati economici soddisfacenti, appena quindici mesi i coloni detenuti passarono a 120.

L’esperimento iniziale consistette non nell’introduzione di una nuova pena (i lavori forzati in questo caso), ma piuttosto di una commutazione della stessa, applicata inizialmente ai condannati della carceri penitenziali e delle case di correzione, poi estesa anche a tutti gli adulti in buona salute e stato fisico che facessero richiesta di trasferimento, esclusivamente per buona condotta. Inoltre i condannati che avessero richiesto di terminare la pena all’interno di una colonia, dovevano aver già scontato metà della condanna, non dovevano essere incorsi in punizioni negli ultimi sei mesi, né dovevano aver commesso delitti di sangue[6] e infine dovevano avere una corporatura adatta ai lavori agricoli. L’invio in una colonia penale era considerato dai detenuti una chance, un privilegio a loro riservato e un atto di stima da parte dell’amministrazione penitenziaria, sebbene il più delle volte venissero spediti in luoghi malsani e infestati dalla malaria, specie in Sardegna: le colonie agricole ebbero come scopo principale, infatti, quello di bonificare le campagne, prosciugare le paludi e rivitalizzare i terreni incolti, in Sardegna più estesi che altrove.

Nell’isola i primi passi per l’apertura di nuove colonie agricole furono compiuti nel 1860 e nel 1864, con la fondazione di due poderi: il primo in località San Bartolomeo, annesso al sopra citato carcere di Cagliari[7], e il secondo in località Cuguttu[8], annesso al bagno penale di Alghero. Si trattava di colonie agricole sperimentali, poiché erano fondamentalmente delle diramazioni delle unità carcerarie principali, quindi non del tutto indipendenti. Questi due poderi furono i “prodromi”[9] delle colonie penali in Sardegna, anche se per semplicità e somiglianza, vengono considerati come vere e proprie colonie penali, e per questo oggetto di studio di questa tesi. La colonia di Cuguttu aveva un’estensione di 177 ettari ed era per questo motivo la più piccola fra tutte le colonie in Sardegna in termini di estensione: la zona era malarica per via della presenza dello stagno di Calich e del vicino lago Baratz, e malgrado il clima fosse aridissimo vi si coltivavano la vite, i cereali e i leguminacei. Poco redditizio si dimostrò l’allevamento di bestiame, anche per la penuria di spazio dedito al pascolo. Cuguttu nacque con l’intento da parte del comune di Alghero di bonificare le terre e renderlo utile con il lavoro dei detenuti, ma non ebbe mai un decollo definitivo. Ottenuta la bonifica e la canalizzazione dell’acqua stagnante verso il mare, si cominciò la piantagione di pioppi per rendere le terre ancor più salubri. La colonia penale di Cuguttu fu chiusa nel 1933 con la fondazione della colonia di Tramariglio, che deve la sua fama[10] all’Ente di colonizzazione ferrarese, prima, e all’Ente per la Trasformazione Fondiaria ed Agraria in Agricoltura in Sardegna, poi.

Ma la prima colonia penale agricola, vera e propria, venne fondata nel 1875 a Castiadas nella parte sud-orientale della Sardegna su una parte di quei terreni demaniali, ex-ademprivili, ceduti alla direzione generale delle carceri da parte dello Stato italiano.

Soltanto tre anni più tardi, sull’onda dell’entusiasmo dei buoni risultati di Castiadas, nel 1878 iniziarono i lavori per la costruzione di una nuova colonia nel territorio di Isili, al centro della Sardegna, dove maggiori erano i problemi legati all’abbandono delle terre demaniali. La colonia di Isili, ancora oggi operativa, venne ribattezzata dal Berardi “la più disgraziata”[11], e venne fondata su 722 ettari di terreno ceduti all’Amministrazione carceraria dall’Intendenza di finanza[12].

A seguito della legge n° 3183 del 28 giugno 1885 venne fondata una nuova colonia penale nell’Isola dell’Asinara e, unitamente alla colonia, venne creato anche un lazzaretto “provvisorio nella stessa isola”[13]: l’isola all’epoca era abitata da pastori e agricoltori che vivevano nel paesino di Cala d’Oliva[14], che come vedremo successivamente, dovette essere abbandonato, non senza opposizioni e rivalità fra la comunità e l’amministrazione penitenziaria.

L’ultima colonia istituita nel 1894 fu la colonia di Mamone, posta nel territorio di Bitti, non distante da Nuoro. Per Berardi[15], questa colonia con le sue tre appendici territoriali, composte da i terreni di Ertilla, Annunziata e Littos, aveva tutti i requisiti “per formare una fattoria di grandissima importanza e utilità”[16].

Prima di procedere all’analisi delle singole colonie approfonditamente, spiegando le ragione  della forte concentrazione di colonie penali agricole in Sardegna, è necessario spiegare che la forte presenza di queste istituzioni, nasceva dal fatto che essa più di ogni altra regione italiana aveva proprietà demaniali da bonificare: dunque il fine era quello di migliorare l’economia agraria, particolarmente sottosviluppata per via della scarsità di terreni pianeggianti, assegnando poi i terreni bonificati ai singoli coltivatori. Ma nel 1929 il Comitato permanente delle migrazioni interne presso il Ministero dei lavori pubblici osservava giustamente che le campagne occupate dalle colonie penali, avrebbero dovuto essere ormai bonificate, oltreché pronte per essere popolate da famiglie coloniche. Il Comitato indicava “le cause dell’insuccesso” nell’insediamento delle colonie in luoghi destinati “a priori all’insuccesso”, tanto malsani Colonie Penalida rendere gli sforzi totalmente inutili. Ad onore del vero, è doveroso sottolineare, come in altri momenti queste colonie portarono dei benefici al territorio all’interno del quale operavano: si veda per esempio la costruzione da parte dei coloni della strada che collegava la colonia di Isili all’omonimo abitato, che portò numerosi vantaggi agli isilesi.[17]


[1] Fondi Mattani T., Sostituzione e limitazione di lavoro industriale negli istituti di beneficenza e di pensa, 1908, Pistoia

[2] Giulianelli R., L’industria carceraria in Italia, Lavoro e produzione nelle prigioni da Giolitti a Mussolini, Franco Angeli, Milano, 2006, pagg 156-157

[3] Bettino Ricasoli fu il secondo presidente del Consiglio del Regno d’Italia dopo Cavour dal 1861 fino al 1867.

[4] Beltrani Scalia M., La riforma penitenziaria in Italia. Studi e proposte, Roma, 1879

[5] Giulianelli R., L’industria carceraria in Italia, Lavoro e produzione nelle prigioni da Giolitti a Mussolini, Franco Angeli, Milano, 2006, pag. 158

[6] Norme per il trasferimento dei condannati dalle case penali alla Colonia penale agricola dell’Isola di Pianosa, in Effemerida carceraria, 1870, pag.625

[7] La fondazione della colonia di San Bartolomeo avvenne in seguito alla cessione da parte dell’Amministrazione delle Saline di Cagliari a quello della Marina, di 276 ettari di terreno. Si veda Berardi, Impiego dei condannati, p.283 e Grassi, Colonia penitenziaria, cit. pag. 1147.

[8] Fondazione avvenuta in seguito alla cessione da parte del Comune di Alghero verso la Marina militare, di 177 ettari di terreno malsani, con l’impegno e l’unica condizione che i terrene fossero bonificati.

[9] Tedde A.S e autori vari, La colonia penale di Tramariglio: memorie di vita carceraria, Carlo Delfino Editore, Sassari, 2014.

[10] La colonia penale di Tramariglio effettivamente ebbe un notevole successo e riuscì in quel compito di colonizzare la zona bonificata: è grazie ai lavori dei detenuti che venne fondato la frazione di Fertilia, dove oggi oltre all’aeroporto di Alghero, sorgono numerosi vigneti della cantina Sella&Mosca.

[11] Berardi, Impiego dei condannati, cit. pag.281. Appellativo dato appunto dal Berardi, si veda paragrafo specifico sulla colonia di Isili per le ragioni che la portarono ad avere questo “nome”.

[12] Archivo di Stato di Cagliari, Prefettura, Il versamento b.376. Fu una transazione, quella della cessione di questi ettari appartenenti all’Intendenza della Finanza, che durò circa un anno e mezzo.

[13] Mele F., La fondazione della colonia penale, in Gutierrez M., L’Isola dell’Asinara. L’ambiente, la storia, il parco, Poliedro Editrice, 1998, Nuoro, pagg. 94-95.

[14] La dismissione del villaggio di Cala d’Oliva pose le basi per la fondazione del paese di Stintino.

[15] Vedi 53.

[16] Ibidem.

[17] Berlinguer L., Mattone A., Storia d’Italia. Le regione dall’Unità ad oggi. La Sardegna, Einaudi, 1998, Torino


Wolfgang Francesco Pili

Sono nato a Cagliari nell’aprile del 1991. Ho da sempre avuto nelle mie passioni, la vita all'aria aperta, al mare o in montagna. Non disdegno fare bei trekking e belle pagaiate in kayak. Nel 2010 mi diplomo in un liceo classico di Cagliari, per poi laurearmi in Lettere Moderne con indirizzo storico sardo all'Università degli studi di Cagliari con un'avvincente tesi sulle colonie penali in Sardegna. Nel bimestre Ottobre-Dicembre 2014 ho svolto un Master in TourismQuality Management presso la Uninform di Milano, che mi ha aperto le porte del lavoro nel mondo del turismo e dell'accoglienza. Ho lavorato in hotel di città, come Genova e Cagliari, e in villaggi turistici di montagna e di mare. Oggi la mia vita è decisamente cambiata: sono un piccolo imprenditore che cerca di portare lavoro in questo paese. Sono proprietario, fondatore e titolare della pizzeria l'Ancora di Carloforte. Spero di poter sviluppare un brand, con filiali in tutto il mondo, in stile Subway. Sono stato scout, giocatore di rugby, teatrante e sono sopratutto collaboratore e social media manager di questo blog dal 2009... non poca roba! Buona lettura

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