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Le guerre coloniali del fascismo – Angelo Del Boca

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Il libro nasce dall’esigenza di parlare del periodo più buio della nostra nazione, quello del fascismo, nella sua veste peggiore, dopo l’adozione delle leggi razziali e dei sistemi di segregazione: il colonialismo. L’esperienza coloniale italiana è conosciuta molto superficialmente nel nostro Paese e, come è più volte segnalato nel libro stesso, è stata attuata una sorta di “rimozione del passato”. Le ragioni di tale “rimozione” sono diverse e non tutte pienamente giustificabili. La prima consiste nel fatto che il fascismo non è stato un atteggiamento politico e ideologico propriamente superato. Semplicemente, oggi non ci si può permettere di assumerne l’appartenenza esplicitamente. Ma sono in molti che si ritengono almeno vagamente simpatizzanti, sia a livello politico che di società civile. Così, le guerre coloniali del fascismo sono un evento di cui si ha difficoltà parlare perché implica la necessità di svelare il proprio punto di vista sulla vicenda fascista in generale. In secondo luogo il colonialismo non è stato solo un’esperienza storica coincisa in tutto con il ventennio, anzi, soprattutto è stata l’Italia “liberale” di Crispi e Giolitti a concepire il progetto politico che, poi, sarà Mussolini a radicalizzare. Crispi, Giolitti e Mussolini erano tutti variamente motivati da spinte storiche diverse, ma l’esperienza coloniale italiana, nonostante tutto, è stata molto omogenea nei modi e nell’ideologia. Ad esempio, la guerra con la Libia è iniziata esattamente cento anni fa e nessuno si è preso la briga di ricordarlo perché, dopo un secolo tondo tondo, siamo tornati in quella terra sfortunata.

Nel 1911 l’Italia non era governata ancora da Mussolini ma i sistemi di conquista e repressione, compresi campi di concentramento, deportazioni e segregazioni, erano ben conosciuti e attuati. Nonostante la veste di “liberatori ed esportatori di civiltà”, gli italiani sembrano, tutto sommato, meno ipocriti degli inglesi vittoriani perché nascondono assai poco e male la loro ideologia colonialista, fatta di mediocrità, amore per il sangue, per l’avventura e per la depredazione del bene altrui per il proprio. Il fascismo, in realtà, non ha fatto altro che radicalizzare questo “sentimento coloniale”, costruendolo e rafforzandolo con uno dei sistemi di propaganda più efficienti che si siano mai conosciuti. Infatti, già allora la coscienza civile era ben permeabile e poco critica. L’Italia, come popolo omogeneo nella sua superficialità, è un fatto vecchio, o lo è abbastanza.

Le guerre coloniali del fascismo è un libro costituito da una raccolta di saggi di specialisti del settore, che si interrogano e illuminano su temi specifici, raccolti in tre grandi temi, che costituiscono la partizione del libro: Parte prima: Il colonialismo fascista; Parte seconda: Le guerre coloniali del regime; Parte terza: Memoria e conseguenze del colonialismo fascista. Come detto, questo libro illumina, in generale, su tutta l’esperienza coloniale italiana, di cui quella fascista è solo l’ultima in ordine di tempo e, comunque, la più massiccia in ordine di grandezza. I numeri delle risorse impiegate dal Duce per conquistare l’Etiopia sono seconde solo alle cifre dei francesi in Algeria e Vietnam e a quella degli americani, sempre in Vietnam e in Corea. Il dato brutale ci fa capire quanto il Duce stesso abbia voluto calcare la mano sulla volontà di conquista. Era la “sua” guerra. Egli fece spendere all’Italia un miliardo di vecchie lire di allora al mese, dopo aver preventivato un costo ben inferiore (avevano stimato, piuttosto ottimisticamente, che la guerra sarebbe costata in tutto un paio di miliardi). Furono reclutati circa 500.000 uomini, di cui una parte inconsistente doveva essere impiegata per l’investimento produttivo, con il quale, in teoria, si era giustificata la guerra per accaparrarsi il favore della borghesia imprenditoriale di allora, alla quale il Duce doveva dare ascolto.

Parallelamente allo sviluppo della politica internazionale fascista, sostenuta da molti francesi e osteggiata timidamente dagli inglesi, si mantengono gli approcci ideologici, politici e militari sulla popolazione libica, la quale, dopo la prima guerra mondiale, si era quasi interamente liberata dal giogo politico italiano. Tuttavia, prim’ancora di riprendere la campagna militare etiopica, già precedentemente iniziata da Crispi e arrestata dalla battaglia di Adua del 1896, mai abbastanza ricordata dai nostri libri di storia scolastica, viene ribadita e rafforzata la guarnigione militare in Libia e vengono adottate misure estreme per “pacificare” la regione: deportazioni, campi di sterminio e giustizia di massa. Possiamo dire, in effetti, di essere stato il popolo precursore dei sistemi nazisti. Non perché non ci siano anche altri illustri precedenti nell’arte della prigionia di massa, come nella Russia zarista, ma perché noi ne abbiamo intessuto di ideologia e sistematicità contro un popolo diverso, altro. Noi abbiamo reso l’uomo una merce a tutti gli effetti, senza motivo di “correzione”. Gli inglesi e i francesi, che pure di sistemi di sterminio e sopraffazione non hanno da imparare da nessuno, avevano utilizzato metodologie leggermente diverse ma meno sofisticate, come il sistema schiavile che, comunque, risulta più umano di quello dei campi di concentramento perché, bene o male, lo schiavo costa e farlo morire è antieconomico. Gli spagnoli, nel trattamento degli schiavi, erano simili a noi, nelle loro “aziende” sudamericane. Ma, infatti, gli spagnoli non sono certo stato un grande popolo e una grande civiltà, sotto questo aspetto. Inoltre, il campo di concentramento non è un “superamento” della schiavitù, ma la sua applicazione sistematica su scala industriale. Dunque, siamo un grande popolo, proprio brava gente. Ci piacerebbe poter dire che l’esperienza coloniale italiana sia stata utile a qualcosa, ma non è così. Innanzi tutto, non abbiamo portato la “legge” che a popoli già ben civilizzati, dotati delle loro tradizioni e culture sviluppate. In secondo luogo, non c’erano le risorse fisiche, economiche ed umane per costruire strade, ferrovie, acquedotti perché la cassa statale era già indebitata oltremodo, abbastanza perché vengano anche falsificati i conti, pur di riuscire a estrapolare lire preziose per sostenere lo sforzo bellico ben al di sopra delle nostre possibilità (su quest’argomento il libro contiene un saggio illuminante).

Tra l’Italia liberale, l’Italia fascista e l’Italia democratica c’è un filo di continuità netta che, però, si vuole ignorare. Innanzi tutto, il sistema di orientamento dell’opinione pubblica è rimasto lo stesso. In secondo luogo, l’organizzazione istituzionale ha voluto tacere sin dalla campagna di Libia l’uso dei gas vietati dalla convenzione di Ginevra del 1925, sottoscritta dall’Italia. Il parlamento italiano ha ufficialmente riconosciuto che l’esercito italiano ha usato ampiamente i gas letali e vietati solo nel 1996, cioè ben sessant’anni dopo la campagna etiopica del 1935-1936. Ma abbiamo avuto già illustri precedenti nella Libia. Non solo. Mussolini ordinò a Badoglio di usare anche le armi batteriologiche, pur di abbattere la resistenza partigiana in Etiopia. Non furono usate perché Badoglio fece osservare all’esuberante Duce, che sarebbero state controproducenti. Così, ci saremmo potuti macchiare di uno dei più terribili eventi della storia dell’umanità, se solo non fosse stato militarmente sconveniente. In ogni caso, ciò che permane è l’ignoranza degli eventi che nessuno vuole rievocare e che gente come Indro Montanelli reclamava come “mai esistiti”. Nelle scuole continuiamo ad insegnare una storia malata, viziata e gli stessi insegnanti ignorano i fatti e le loro conseguenze. Solo persone come Angelo Del Boca e gli altri scrittori di storia sono a conoscenza dei fatti, ma lottano, soli, contro l’istituzione politica, troppo più forte di loro.

Questo libro, dunque, è una raccolta di saggi e non è di quella perfezione che potrebbe farcelo accostare ad altri grandi lavori del genere. Innanzi tutto, si scorge una certa disorganicità. In secondo luogo, se è vero che si parla in lungo e in largo dell’esperienza coloniale italiana, specie di quella fascista, è pur vero che essa non viene presentata direttamente, in una narrazione unitaria e coerente. Vien detto, più volte, che tale forma di narrazione storica risulta lacunosa perché di molti eventi e di molte zone geografiche ancora oggi non disponiamo di informazioni sufficienti. Tuttavia, essa risulta necessaria, almeno in un libro il cui scopo è rivolto anche a coloro che hanno una conoscenza della storia simile a quella dei ragazzi di liceo (nel loro livello più alto). C’è un altro difetto, indirettamente correlato al precedente: alcuni saggi sembrano essere abbastanza settoriali da essere rivolti esclusivamente agli specialisti, come il penultimo che tratta della analisi delle fonti orali. In fine, a livello di contenuto, manca totalmente un saggio breve che racconti quelle che sono state le esperienze della Libia, della Somalia, dell’Eritrea e dell’Etiopia a seguito del colonialismo italiano. Il libro, invece, si chiude nella triste narrazione dei trattati di pace seguiti alla fine della seconda guerra mondiale, durante i quali l’Italia rivendica ancora le sue proprietà coloniali, giustificandosi in vario modo: primo, l’Italia era passata dalla parte alleata; in secondo luogo, l’Italia poteva comunque mantenere le colonie per darle una stabilità politica e poi lasciarle divenire indipendenti gradatamente.

Se queste possono suonare come critiche incisive, il libro è e rimane un’opera fondamentale di analisi storica del periodo più buio della nostra nazione al quale non si è voluto in alcun modo porre rimedio. Mussolini a parte, i fascisti, militari e politici, non sono stati condannati dalla corte internazionale per i crimini di guerra e per i crimini contro l’umanità, come i campi di concentramento, come l’applicazione della segregazione razziale, come l’uso dei gas vietati dalle convenzioni sottoscritte. Abbiamo mandato “scienziati”, antropologi ed etnologi che non hanno fatto altro che confermare l’inferiorità dei popoli sottomessi, come se ciò, anche ammesso che fosse vero, ci desse l’autorizzazione morale di poterli soggiogare e trattare meno che le bestie. Noi siamo un popolo mediocre, la cui storia recente ci mostra quanto l’Italia sia un paese nato storpio, la cui cultura è relegata al mondo degli specialisti e quegli stessi specialisti, spesso, troppo spesso, preferiscono allearsi con il potere politico per ottenere visibilità e prestigio, istituendo il regime anche a livello culturale. Questa è l’anima del fascismo.

Le guerre coloniali del fascismo è una triste testimonianza di tutto questo, sia perché è stato ostacolato dalle autorità (che hanno negato l’autorizzazione alla visione di fonti archivistiche e che hanno intralciato e, in fine, rifiutato l’appoggio economico per un importante convegno pubblico dal quale il libro ha tratto l’avvio), sia perché i suoi contenuti sono ancora oggi un patrimonio di poche persone che, comunque, non arriverà mai a quel grande popolo che ama definirsi composto di “brava gente”.


DEL BOCA ANGEOLO E ALTRI AUTORI

LE GUERRE COLONIALI DEL FASCISMO

MONDADORI

PAGINE: 552.

EURO 12,90.


Giangiuseppe Pili

Giangiuseppe Pili è Ph.D. in filosofia e scienze della mente (2017). E' il fondatore di Scuola Filosofica in cui è editore, redatore e autore. Dalla data di fondazione del portale nel 2009, per SF ha scritto oltre 800 post. Egli è autore di numerosi saggi e articoli in riviste internazionali su tematiche legate all'intelligence, sicurezza e guerra. In lingua italiana ha pubblicato numerosi libri. Scacchista per passione. ---- ENGLISH PRESENTATION ------------------------------------------------- Giangiuseppe Pili - PhD philosophy and sciences of the mind (2017). He is an expert in intelligence and international security, war and philosophy. He is the founder of Scuola Filosofica (Philosophical School). He is a prolific author nationally and internationally. He is a passionate chess player and (back in the days!) amateurish movie maker.

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