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Guerra e società nel mondo antico

Struttura generale del trattato


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Parte 1: La guerra nei suoi aspetti estrinseci, leggi, diritti e relazioni.

  1. Genesi della guerra
  2. Guerra pregiuridica
  3. Guerre rituali
  4. Riti di iniziazione
  5. Forme di solidarietà – Gruppo fondamentali di solidarietà
  6. Pirateria e brigantaggio
  7. Diritto di rappresaglia
  8. Diritto di naufragio
  9. Diritto di iniziativa
  10. Agenti della diplomazia
  11. Leggi di guerra
  12. Le immunità
  13. La vittoria
  14. I trofei
  15. Offerte votive
  16. Imperator
  17. Diritto di conquista
  18. La questione dei prigionieri
  19. Liberazione dei prigionieri – ostaggi
  20. Vincitori e diritti di questi.

Parte 2: La guerra, svolgimenti e riti.

  1. Riti propiziatori
  2. Casus belli
  3. Verifica delle posizioni degli stati avversari
  4. Riti di dichiarazione guerra
  5. La tregua
  6. Il trattato
  7. Le garanzie
  8. La capitolazione
  9. Pisis e fides
  10. Dalla guerra alla pace.

I concetti fondamentali:

  1. La legge: leggi non scritte, taciti accordi, leggi scritte intrastatali, leggi scritte internazionali.
  2. Stato: nascita comunità, istituzioni, leggi.
  3. Guerra nel mondo antico: differenze tra i vari periodi storici.
  4. Guerra come religione: rituali, mitologia e riti di iniziazione.
  5. Il problema della gestione della violenza: gestione, vincoli e arbitrio.

 brevissima introduzione all’opera di Garlan

Se noi oggi concepiamo lo stato e la guerra come due fenomeni direttamente dipendenti l’uno dall’altro è perché i due concetti si sono evoluti in questo modo. Ma non è sempre stato così: agli inizi della nostra civiltà la guerra non era un fatto puramente pubblico, non era un compartimento a se della politica e non era ben distinto dal concetto di pace. Lo stato ha, come primo modo di identificarsi, un corpo di leggi le quali necessariamente prevedono le regole che devono gestire la guerra, in ogni suo aspetto. Come in ogni insieme di azioni pratiche, anche la guerra prevede una serie di taciti accordi e di leggi non scritte che ne gestiscono alcuni aspetti che non possono essere oggetto della legislazione statale, queste o sono norme generalissime alle quali bisogna cercare di adeguarsi il più possibile oppure sono regole stabilite per singoli eventi. La guerra prevede una società di riferimento e da questa si possono trarre molte, importanti considerazioni. Il lavoro di Garlan cerca di mettere in relazione guerra e società e la prima relazione che stabilisce è proprio quella della legge come corpus scritto e non scritto di regole che sanciscono un comportamento. La storia è analisi storica e questa non può essere svincolata da un preciso contesto, contesto che è spazio e tempo, relazioni di società e personalità specifiche.

Per quanto non sia sempre possibile fare una distinzione tra mondo greco e mondo romano ci proponiamo di mostrare i tratti distintivi delle singole civiltà qualora ci fosse la necessità di farlo, esattamente come fa lo stesso Garlan.


Parte 1: la Guerra e lo stato

Il primo problema che porta Garlan è di carattere generale: quale è la genesi della guerra e come questa deve essere studiata? Egli porta le varie metodologie possibili, queste sono tre: bellicista, secondo la quale le relazioni tra stati del mondo antico furono di carattere sostanzialmente bellicose e ostili. La seconda teoria è in opposizione polemica in confronto alla prima: le relazioni sarebbero state tendenzialmente tanto ostili quanto positive e quindi le posizioni tra i vari stati andavano studiate volta per volta. In fine propone il terzo metodo che è la teoria genetica: lo studio della guerra a partire dalla sua genesi e quindi della sua evoluzione, senza per questo trascurare l’evoluzione delle istituzioni pubbliche ( non dimentichiamo che guerra e stato sono viste un po’ come cose coincidenti ). Questa ultima posizione è stata poco praticata ma è la via che secondo Garlan è più importante da analizzare.

Come studiare la guerra: metodologia:

  1. Teoria bellicista (gli stati erano tra loro tendenzialmente ostili).
  2. Teoria pacifista (gli stati non erano né tendenzialmente ostili né tendenzialmente pacifici).
  3. Teoria genetica: per capire il fenomeno della guerra bisogna studiare l’evoluzione della guerra-stato.

La guerra pregiuridica

1) La guerra si distingue in guerra ( fenomeno generale ) e la guerra civile. Quest’ultima non è assimilabile secondo gli antichi alla prima e per questo Garlan non se ne occupa.

La prima esperienza di cui si possa parlare con discreta conoscenza del fenomeno-guerra è il mondo omerico. Nel mondo omerico non c’era ancora la presenza di uno stato forte che vincolasse e regolasse le questioni private. Non c’erano gli organi adatti alla gestione delle contese. Per questa ragione ci si trovava spesso a risolvere con la forza questioni private e senza importanza da un punto di vista pubblico. Così la regolazioni di conti era un motivo di guerra al pari di qualsiasi altra contesa. Il modo di combattere era fortemente individualistico e ancora una volta, possiamo trarre l’idea che non ci sia stata alcuna istituzione forte in modo da regolare con precisione l’esercito. Il concetto che traiamo dal mito è quello dell’eroe. Uomo dotato di poteri particolari che agisce in nome di idee di scarsa importanza e di scarso rilievo pubblico. Tutto questo ci suggerisce che tra mondo pubblico e mondo privato ci fosse una distinzione profonda.

 Guerra nel mondo omerico:

  1. Eroe ed eroismo.
  2. Scarsa importanza delle operazioni militari.
  3. Idea della guerra come regolazione privata di conti.
  4. Separazione tra mondo pubblico e mondo privato.

Il problema poi della definizione della guerra nel mondo antico suscita un certo stupore. Non esistono riflessioni vere e proprie come le intendiamo oggi su tale argomento. La guerra nel mondo romano è un fatto che accompagna la vita di tutti i giorni. E come nel mondo greco è difficile stabilire fino a che punto, all’inizio, fosse distinta l’attività bellica dall’attività privata della gestione di contese private, all’interno di clan o famiglie: a Roma abbiamo l’esempio della guerra contro i vei della quale si occupa esclusivamente la gens Fabia.

2) Oggi siamo a considerare la guerra come un evento privo di valore morale, in esso noi non vediamo uno scontro di dei, di valori ma solo di eserciti e potenze. Gli effetti della guerra sono di carattere economico e sociale ma non religioso. Nell’antichità le cose andavano diversamente. Dobbiamo cercare di avvicinarci ad un mondo distante del quale non abbiamo conservato alcune categorie mentali, si sono evolute nel tempo. La guerra nel mondo antico aveva un triplice significato: valore religioso e morale, un valore rituale e solo per ultimo un valore politico. A conferma di questa tesi è il fatto che ogni guerra doveva, prima di essere condotta, essere vagliata dall’interpretazione di oracoli e di indovini i quali avevano il compito di dire se una guerra era lecita o no agli occhi degli dei.

La storia è una continuità e non consente di considerare gli eventi storici come a se stanti. La società greca e romana sono ancora fortemente debitrici da alcune concezioni e riti della condizione pre-statale. È in questo ambito che si inseriscono le così dette “guerre rituali”.

Le guerre rituali hanno la caratteristica di essere ripetute costantemente nel tempo e di svolgersi sostanzialmente negli stessi luoghi, come le operazioni rituali, di qualunque tipo esse siano, richiedono. Il rito richiede per esser fatto una regolarità sia temporale che spaziale. I  casi più famosi sono gli scontri tra Argo e Sparta e Calcide contro Eretria. Le guerre rituali erano un momento in cui si segnava l’arrivo di nuovi cittadini alla città i quali attraverso il rito di iniziazione giungevano alla matura età. Gli efebi (adolescenti) si scontravano e da questo scontro, sempre ammessa la loro sopravvivenza, sarebbe arrivato il passaggio alla matura età. Data la scarsità delle fonti ci si può chiedere da cosa sia suggerita questa interpretazione: sembra che non ci fosse motivo di considerare tali guerre come propedeutiche verso lo scontro più maturo, non vi era l’intento di addestrare i giovani al combattimento e alcune forme simboliche, come il taglio di capelli degli argivi e degli Spartani, indicano la necessità di marcare alcuni tratti specifici e identificativi delle società, il ripetersi di queste guerre nel tempo, il bisogno di costituire una forza sociale compatta. I giochi panellenici come le olimpiadi sembra che fossero delle forme di combattimento simili a quelle dei combattimenti rituali.

 Guerre rituali:

  1. Ripetitività costante delle attività sia nello spazio che nel tempo.
  2. Pretestuosità degli intenti.
  3. Mancanza di scontri decisivi.
  4. Simbologia marcata dei combattimenti (taglio di capelli degli Spartani e degli argivi).
  5. Regole agonali.
  6. Necessità di formare un gruppo sociale identificato in se stesso e coeso.

Contese private, il brigantaggio e la pirateria: dal prestatalismo alla fine

Per noi che veniamo da una evoluzione di stati ormai plurimillenaria non possiamo avere l’idea di cosa consista uno stato e delle istituzioni molto giovani  e fragili che consentivano l’esistenza di alcune di giustizia e di violenza che per noi sono del tutto impensabili.

Il fenomeno delle guerre private nel mondo omerico è solo uno dei fenomeni di questo tipo: il brigantaggio e la pirateria sono dei fenomeni simili. Nel mondo omerico sia il brigantaggio che la pirateria sono fenomeni diffusi. Sono sia fenomeni diffusi che non deprecati. Infatti sia aveva una idea non negativa, almeno all’inizio, dei pirati. C’è anche da dire che nel tempo antico è molto difficile distinguere i pirati dai mercanti. I fenici, marinai per eccellenza, sono considerati dai greci in modo ambiguo, senza chiarire con precisione se questi fossero o non fossero dei pirati. Il fenomeno della pirateria si diffuse in tutto il bacino del mediterraneo. Quando in Grecia si incominciarono a formare le polis, come stati “sovrani” indipendenti il fenomeno della pirateria necessitava di una regolamentazione. Infatti è naturale che all’interno dello stato l’unico arbitro della giustizia e l’unico amministratore della violenza è lo stato stesso e questo non può tollerare la violenza che non sia la sua. Per questa ragione, e anche per tutelare i viaggi dei mercanti, che ormai potevano fregiarsi di questo titolo, la pirateria subì un serio danneggiamento. Data l’ampiezza del fenomeno e la grande quantità di uomini che vivevano nel mondo della pirateria, si crearono veri e propri centri di raccolta di pirati e interi stati appoggiavano la pirateria. Da uomini che svolgevano delle attività proprie e individuali la pirateria viene messa al bando così che da quel momento in poi si assocerà la pirateria con quel fenomeno di criminalità organizzata a cui siamo abituati oggi. La pirateria subisce duri colpi già con le polis greche ma è solo con la forza di Roma che con Pompeo pone fine anche nel mediterraneo d’oriente alla criminalità organizzata. Infatti per Roma si trattava di rendere libere le acque per consentire una sempre più capillare gestione mercantile dell’esercito.

Si distinguono per tanto tre momenti fondamentali del fenomeno del brigantaggio: 1 nascita ( indistinzione tra briganti e mercanti ), 2 evoluzione dello stato e messa al bando della pirateria ( problema della violenza ), 3 fine della pirateria per mano dei romani.

Pirateria e brigantaggio:

  1. Difficoltà di discernimento tra pirati e mercanti.
  2. Apprezzamento del mondo greco ( inizialmente ) della pirateria.
  3. Evoluzione dello stato, da stato con istituzioni deboli a stato con istituzioni forti, sorge il problema della regolamentazione della violenza e quindi anche della pirateria.
  4. Messa al bando della pirateria.
  5. Fine della pirateria per mano dei romani ( con Pompeo ).

Diritto di rappresaglia, diritto di naufragio

Il problema della nascita del diritto ci riporta al problema della nascita dello stato come garante dell’ordine e della gestione pubblica delle contese. Se le contese private, il brigantaggio e la pirateria sono messe al bando è proprio perché lo stato si è rafforzato. Ma come queste forme “alternative” alla giustizia pubblica sono l’eredità di un mondo non ancora strutturato in stati, lo stesso vale per la nascita di alcuni diritti importanti. Il diritto è possibile se c’è l’idea precisa dell’identità cittadina, il diritto è proprio una di quelle caratteristiche che rendono un cittadino tale. Inizialmente le dispute si risolvevano senza l’intervento dello stato, come si è già detto. Una delle regole non scritte che queste contese seguivano era il principio secondo il quale se io subisco un torto allora sono anche autorizzato a risarcirmi. Questo diritto era esercitato secondo l’arbitrio della persona e per questo non era sempre soggetto all’approvazione di chi doveva risarcire. Per questo si innescavano continui combattimenti. Quando lo stato divenne completo garante delle dispute si cercava di limitare questi problemi. Inizialmente questo non causò pochi problemi gicchè si investiva nel privato il pubblico.

Un’altra forma di diritto non scritto e sui cui, successivamente, si inserirà l’istituzione statale, è il diritto di naufragio. Le navi e la tecnologia del mondo greco non erano certo tali da garantire alle navi una buona autonomia e una buona affidabilità. L’abilità dei marinai era fondamentale e non sempre questi, quando posti in condizioni difficili, riuscivano ad evitare di attraccare. Le navi infatti necessitavano di soste per tutta la notte e di eventuali riparazioni. In questi momenti di sosta più o meno forzata, perché poteva anche capitare che la nave colasse direttamente a picco, poteva succedere che gli abitanti locali decidessero di usufruire a loro piacimento del carico della nave e dei naviganti. La nave veniva saccheggiata e i mercanti offerti alle divinità oppure ridotti in schiavitù. Ma da un certo momento in poi si incominciò ad avere rispetto per i naufraghi. Questo diritto, appunto il diritto di naufragio, era un accordo non scritto al quale tendenzialmente ci si doveva attenere. Questo però non poneva vincoli o garanzie particolarmente forti così che anche per tutto il periodo che Roma dominò sul mediterraneo non si può pensare che questo diritto sia stato mantenuto più di tanto. Ancora una volta, la presenza dello stato forte fa sì che questo problema fosse più limitato di quello che invece era nei periodi di scarso controllo.

Diritto di rappresaglia, diritto di naufragio:

  1. Gestione personale delle contese.
  2. Carattere specifico delle contese.
  3. Presenza di uno stato debole.
  4. Accordi non scritti.

Diritto di iniziativa, diritto internazionale e diplomazia

Se questi erano diritti non scritti e che ponevano prescrizioni solo a privati, diverso è il caso della nascita del diritto internazionale. Il diritto di iniziativa nasce spontaneo ed è in qualche modo direttamente correlato con la nascita delle istituzioni statali. Questo diritto veniva esercitato da una assemblea la quale stabiliva l’inizio e la fine della guerra. L’assemblea era convocata periodicamente in modo da decidere come e quando continuare o finire il conflitto. Contrariamente a quello che si può ritenere, il popolo aveva una grande importanza all’interno della politica estera dello stato. In particolare nell’Atene democratica l’assemblea aveva una importanza determinante. A Roma erano i comizi centuriati che avevano il potere di sancire l’inizio o la fine della guerra.

Una volta che il diritto internazionale prende corpo, una volta che lo stato si fortifica, ecco che nasce un nuovo problema: la politica estera necessita di emissari e diplomatici che facciano da intermediari tra le varie forze in campo. Nel periodo omerico sappiamo che esisteva un governo di tipo oligarchico legato fortemente all’aristocrazia e al re. Questo fa sì che il corpo diplomatico fosse composto da familiari o fiduciari delle famiglie al potere. Questi uomini erano chiamati Therapontes. In questo sistema, ancora molto legato al concetto di famiglia, non erano previsti dei controlli sui diplomatici. I compiti di questi erano limitati alla ripetizione di un messaggio in modo che fosse chiaro e preciso, fedele alle consegne. Nel periodo classico invece troviamo un miglioramento del corpo diplomatico: si pone la necessità di conoscere la volontà degli altri stati, con la presenza dell’assemblea i diplomatici non sono più sottoposti ad un potere singolo, privato ma sono vincolati dalla stessa assemblea, con questa nuova sistemazione si pone necessario un controllo su diplomatici stessi. I diplomatici da adesso in poi necessiteranno di alcune importanti caratteristiche: chiarezza nel parlare, intelligenza, saggezza. Nel periodo ellenistico si ha un degrado della funzione diplomatica e i diplomatici stessi ritornano ad essere fiduciari del re. Capitava a volte che i re stessi, qualora non si fidassero, si investissero della carica di ambasciatori.

Diritto di iniziativa, diritto internazionale e diplomazia:

  1. Diritto di avanzare pretese su di un altro stato-persona.
  2. Assemblea/comizi centuriati stabilivano l’inizio e la fine delle ostilità.

Corpo diplomatico:

  1. Età omerica: fiduciari del re, delegati dell’aristocrazia.
  2. Età classica: corpo diplomatico “specializzato”, secondo intelligenza, buona capacità nel parlare, saggezza.
  3. Età ellenistica: fiduciari del re, re stesso.

Le leggi di guerra, la vittoria e i trofei

Non esistevano codici scritto o non scritti che sancissero il comportamento ideale delle truppe e degli scontri. Nel mondo antico esistevano solo alcune massime molto generali alle quali ci si doveva cercare di attenere. Queste miravano al tentativo di regolare la violenza in modo che non fosse distribuita ciecamente. Per tanto erano fissate alcune sanzioni se queste regole non venivano seguite.

Le immunità erano appannaggio di alcune categorie di persone: tutti i luoghi sacri erano inviolabili, sacerdoti, indovini e esecutori di sacrifici rientravano nella categoria religiosa; gli spettatori dei giochi panellenici, i soldati che si arrendevano ( i quali dovevano posizionarsi secondo pose ben precise ), gli araldi e gli ambasciatori. Gli araldi erano considerati inviolabili e se questi rimanevano uccisi era motivo di grande sdegno.

Uno dei problemi della guerra agli inizi era stabilire chi fosse il vincitore, così da porre fine allo scontro. Per vittoria si intendeva il controllo del territorio se si trattava di una battaglia terrestre o navale. Se si trattava di un assedio la vittoria simbolica era rappresentata dalla devastazione delle terre circostanti alle mura cittadine le quali erano difficilmente violabili. Questo problema non aveva avuto però una risoluzione che ponesse in modo chiaro il vincitore e il vinto. Questo fece si che in epoca ellenistica ci fossero nuove dispute. L’esempio migliore in questo senso è la battaglia di Pirro.

Il vincitore di una battaglia aveva la possibilità di legittimare la sua vittoria attraverso la costruzione di un trofeo. Il trofeo era una piccola statuetta antropomorfa fatta da oggetti reperiti nel campo di battaglia. Come tutto nella guerra antica anche il trofeo aveva il suo importante valore religioso: esso era simulacro di una forza positiva la quale era favorevole solo nella guerra ma doveva dissolversi una volta che questa fosse conclusa. Questo spiega perché i trofei non fossero fatti con materiali più duraturi. Per ogni scontro armato era previsto un trofeo, per questo motivo durante la guerra del Peloponneso ci fu un moltiplicarsi di trofei. Diverso era l’uso del trofeo a Roma. Questo veniva costruito e portato nella città una volta che l’esercito vittorioso faceva ritorno, veniva portato fin sul campidano. Per merito dei romani questo simbolo, collegato al mondo divino-religioso, perde i suoi connotati sacri. Prima viene associato al generale vincitore, successivamente all’imperatore. Solo con il cristianesimo il trofeo torna ad avere quel connotato sacro che aveva avuto nel mondo greco.

Il trionfo della vittoria era manifestato in maniera particolare a Roma: ogni qual volta che un generale aveva una vittoria poteva reclamare il trionfo. Se gli veniva negato poteva comunque fare le supplices, le preghiere di ringraziamento agli dei, ed anche poteva venire acclamato dall’esercito come imperator. A questo modo ancora legato ad un ideale religioso, presto si legherà un valore più laico ed istituzionalizzato. Il trionfo verrà poi istituzionalizzato dagli imperatori i quali potevano invocarlo ogni qual volta gli aggradava e farne l’uso che più ritenevano idoneo per la loro autocelebrazione.

Leggi di guerra, vittoria e i trofei:

  1. Non esistevano codici precisi secondo i quali si sancivano comportamenti da seguire negli scontri.
  2. Immunità erano appannaggio dei: luoghi sacri, sacerdoti, esecutori dei sacrifici, indovini, spettatori dei giochi panellenici, i soldati che si arrendevano, gli araldi e gli ambasciatori.
  3. La vittoria era sancita da chi controllava il territorio, questo valeva sia per le battaglie navali che per quelle terrestri.
  4. I vincitori avevano la possibilità di legittimare il loro potere erigendo un trofeo.
  5. Il trofeo era un simulacro di forma antropomorfa che, secondo l’uso sacro dei greci, conteneva una forza positiva che doveva disperdersi alla fine della guerra.
  6. Il trofeo a Roma veniva portato sul campidoglio e veniva associato al generale vincitore. Successivamente il trofeo verrà associato all’imperatore.
  7. Il trofeo con i cristiani riacquisterà connotati simbolici nei confronti della divinità.
  8. Il trionfo a Roma è più legato alla personalità del generale. Questi veniva acclamato dalla popolazione, poteva svolgere le supplices, e poteva essere acclamato imperator dai cittadini. In seguito si legherà all’imperatore il diritto di poter celebrare il trionfo.

Diritto di conquista, spartizione dei beni, comportamento dei vincitori

Una volta che sia aveva riportato una vittoria sul proprio nemico, il vincitore aveva la possibilità di usufruire in modo assoluto del territorio e dei cittadini dello stato conquistato. Questa pratica era subito successiva agli obblighi religiosi i quali erano comunque la prima e fondamentale operazione dopo il successo. La giustificazione di questo diritto è data per scontata nel mondo antico, anche dalle grandi personalità: Senofonte, Platone, Aristotele, Tito Livio dicono in diversi passi come il vincitore abbia il diritto ad amministrare il territorio dello sconfitto come meglio crede. In questo diritto ricadevano anche i luoghi di culto e gli dei. I vincitori potevano a loro piacimento far cessare un rito, potevano catturare gli dei come potevano spostarli e assoggettarli ponendoli nel loro pantheon.

Il problema immediatamente successivo alla vittoria era la spartizione del bottino. Questa procedura variava al variare delle epoche in cui si era parte. Nell’età omerica si tendeva a fare una distribuzione generale dei beni conquistati, secondo la volontà del capo che decideva. Nell’età classica, con il principio dell’egualitarismo cittadino, si tendeva a dare più importanza all’equa distribuzione dei beni, in ogni caso gran parte del bottino doveva andare a foraggiare i forzieri dello stato.

Tendenzialmente i vincitori cercavano di non distruggere i beni produttivi della civiltà assoggettata, sia per rispetto che per trarre vantaggio da questo. Per quel che riguarda ogni altra parte dell’attività di dominio del vincitore, questa non aveva limiti né sui beni né sui cittadini assoggettati i quali non erano visti che come una merce di scambio. I cittadini conquistati potevano: essere giustiziati, ridotti in schiavitù, essere liberati gratuitamente.

Diritto di conquista, spartizione dei beni, comportamento dei vincitori:

  1. I vincitori avevano poteri assoluti sui propri avversari sconfitti.
  2. Non esistevano limiti al potere dei vincitori, questo era giustificato da molti pensatori dell’epoca.
  3. Il bottino veniva distribuito dal re in epoca omerica, il bottino era distribuito secondo principi democratici in epoca classica.
  4. I vinti erano alla mercè del vincitore. I cittadini sconfitti potevano: essere giustiziati, essere deportati come schiavi, essere liberati.

Parte 2: gli aspetti specifici della guerra

Leggi e guerra

1) La guerra era un evento religioso e politico allo stesso tempo. Questo faceva sì che le due componenti si unissero in una combinazione specifica. Alcune pratiche religiose erano indispensabili per la guerra senza le quali non si sarebbe avuto il combattimento. Ad ogni fase che fosse identificata come tale gli antichi facevano corrispondere una serie di riti precisi. Innanzi tutto occorreva che si svolgessero dei riti propiziatori volti a verificare l’adeguatezza della guerra o meno.

2) Per dichiarare guerra occorrevano dei motivi validi perché se la guerra era ingiusta questa sarebbe stata pesantemente punita non necessariamente dall’avversario ma dagli dei. Ancora una volta il tema religioso si mischia a quello politico. Innanzi tutto occorreva un casus belli che fosse ragion sufficiente del conflitto. I casi di una guerra “giusta” erano diversi: invocazione della difesa di dei ( empietà e ingiustizia nei confronti di un dio ), invocazione di un danno ricevuto dalla collettività ( attacco al proprio territorio, ai propri cittadini etc. ), invocazione della difesa degli alleati ( attacco a questi, invasione del territorio, interessi degli alleati violati ). Come si vede questi motivi plausibili coprono un immenso campo di possibilità le quali possono tranquillamente essere volti alla conquista più che alla difesa. Come si vede questi casus belli sono tutti incentrati sul concetto di lesione e del vecchio diritto di rappresaglia del quale abbiamo già parlato. Il ruolo della religione era più che altro di tipo rituale e superstizioso del quale però non si fa mai a meno, anche per rassicurare l’opinione dei cittadini.

3) Se un popolo voleva entrare in guerra secondo uno di quei casus belli soprascritti allora si inviavano gli ambasciatori. Questi dovevano portare le richieste dello stato e dovevano ascoltare le dichiarazioni degli stati prossimi nemici. Richiedevano soddisfazione dei conti. Poteva comunque capitare che si combattesse senza che ci si dichiarasse diplomaticamente guerra. Questo caso era chiamato: guerra senza proclamazione araldica.

4) Una volta ritornati gli ambasciatori ( qualora non fossero state soddisfatte le richieste ) si procedeva con i riti successivi alla dichiarazione di guerra: questi erano di diverso genere e per lo più specifici per città, un esempio era far varcare i confini nazionali da un agnello il quale rappresentava la fine che avrebbe fatto il nemico alla fine dello scontro. Tal volta, in questo occasioni, si procedeva al sacrificio umano. A Roma il culto precedente allo scontro era affidato a dei sacerdoti specializzati, i feciali. Questi dovevano compiere un complesso rito e alla fine di questo si poteva procedere. Successivamente il valore del rito andò sempre più a perdere di valore, anche perché i feciali dovevano compiere i riti quando erano in gioco i confini della città. Quando la grandezza di Roma era diventata estremamente estesa il rito perdeva sempre più il suo scopo e per tanto furono delegati dei senatori per svolgere dei riti diversi e più semplici, con valore ideologico meno forte. Questo quando le specializzazioni del diritto internazionale si erano andate sempre più a rafforzare e specializzare.

5) La guerra non necessariamente era un unico avvenimento, poteva venire interrotto per un periodo molto variabile. Si poteva interrompere anche per diversi motivi e per tanto si hanno diverse forme di stipulazione di sospensione-fine della guerra: tregua, trattato e capitolazione.

La tregua era una sospensione delle ostilità di validità nel tempo variabile, dalle poche ore alle giornate intere. Ci si poteva mettere d’accordo anche direttamente sul campo di battaglia. Era possibile anche la presenza di un terzo che mettesse d’accordo i due contendenti.

Il trattato era una sospensione definitiva della guerra. Era un accordo tra le parti in causa, non necessariamente era bilaterale, potevano aversi più potenze coinvolte. Alla fine di ogni trattato veniva eseguito un rito religioso che suggellava il trattato rendendolo vincolato agli dei.

La capitolazione era la fine forzata di una guerra che vedeva uno dei due contendenti costretto ad una resa incondizionata. Lo sconfitto si rimetteva pienamente nelle mani del vincitore. La capitolazione si poteva avere con il completo sterminio dell’avversario. Alla fine il vincitore faceva dei riti religiosi, come sempre, con la presenza di giuramenti. Per i romani si parla di deditio in fidem se implicita e di dectio in dictionem se esplicita. Tutte queste forme di capitolazione reno suggellate dal giuramento di totale asservimento del vinto al vincitore.

6) Il problema di fondo di tutta la questione che riguardava i trattati, le tregue e tutto ciò che nella diplomazia si basava su patti e accordi, è che, a volerlo, si potevano rompere i patti con estrema semplicità. Senza che ci potessero essere delle ripercussioni particolari su colui che aveva infranto il patto. Ma sappiamo che pochi furono i patti violati. È vero che da una parte la presenza di ostaggi poneva comunque dei limiti ma, in Grecia soprattutto, gli ostaggi venivano scelti negli strati sociali più bassi così che non potesse creare difficoltà la perdita eventuali di quegli uomini. Ma è ancora una volta sull’idea religiosa che sta a sottofondo di tutto il mondo antico, in particolare della sfera della guerra. I giuramenti sottoscritti da riti precisi non erano da immaginare come non importanti ed avevano un profondo impatto sulla mentalità dell’uomo antico. Per tanto il concetto di fiducia nel patto era molto forte. A Roma venne persino istituito il culto della Fides da Numa Pompilio nel 274 a.C.

7) Il vincitore tendeva in generale a non distruggere i beni produttivi e cercava di instaurare una certa attività produttiva nel suolo conquistato. Poneva inoltre le basi giuridiche del proprio dominio.

La guerra:

  1. Riti propiziatori.
  2. Casus belli: problema della guerra giusta: invocazione della difesa degli dei, invocazione della necessità della difesa della collettività, invocazione della difesa degli alleati.
  3. Invio dei diplomatici, verifica della volontà dello stato avversario.
  4. Riti di dichiarazione di guerra.
  5. La tregua, il trattato, la capitolazione.
  6. Le garanzie, il concetto di fiducia.
  7. La conclusione della guerra.

Parte 3: conclusioni

È impossibile alla fine di un lavoro non trarre delle proprie considerazioni. Molto interessante è l’analisi della problematica storica come problematica linguistica. Da quando esiste l’uomo esiste secondo le leggi e non esiste comunità che non ne preveda. Tanto più sarà semplice la comunità e tanto più semplice sarà il corpus di leggi della comunità. Il mondo antico è il momento di passaggio tra il nostro mondo e quello del mondo primitivo, ancora senza una vita consapevole e stabile. Alla luce del risultato sembra che il mondo antico concepisse la legge e la pratica come l’una l’integrazione dell’altra. La guerra è una pratica politica e religiosa la quale acquista una autonomia sua rispetto alla religione solo con il passare dei millenni. Anche se i romani perdono molti principi religiosi o li attenuano, non saranno mai in grado di farne del tutto a meno. La sfera religiosa era sempre presente nelle relazioni tra stati e ne vincolava sempre questi quando si accordavano. La guerra era ancora ad uno stato prescientifico che la vedeva legata al problema morale e religioso. Oggi assistiamo al problema inverso. Se prima alcuni comportamenti erano sanciti dalla necessità di ricondurre la guerra alla religione oggi invece cerchiamo di regolamentarla il più possibile. Ma ancor più interessante è il concetto di uomo che ne viene fuori. Viene posta una differenza fondamentale tra uomo e cittadino i quali vengono identificati solo se si deve specificare cosa sia un uomo non cittadino. Tutti coloro che non facevano parte di una comunità che si riconosceva nella possibilità dei suoi cittadini di avere la possibilità di gestire i propri diritti, erano visti come oggetti inermi. Il concetto di diritti dell’uomo come qualcosa di inalienabile da qualsiasi uomo è qualcosa che nel mondo antico è del tutto assente. Il cittadino si identifica direttamente con i diritti che egli ha nella sua polis, nel suo stato di appartenenza così che colui che non è cittadino non ha neanche diritto ad alcuna legge che lo tuteli. Questa netta distinzione tra uomo e cittadino resterà qualcosa di molto forte. Sarà solo con il cristianesimo che si renderà necessaria l’estensione del concetto di cittadino ad ogni uomo. Questo perché gli ideali, i costumi cambieranno e si avvierà quella fase che porterà poi la formazione dello stato moderno.


Giangiuseppe Pili

Giangiuseppe Pili è Ph.D. in filosofia e scienze della mente (2017). E' il fondatore di Scuola Filosofica in cui è editore, redatore e autore. Dalla data di fondazione del portale nel 2009, per SF ha scritto oltre 800 post. Egli è autore di numerosi saggi e articoli in riviste internazionali su tematiche legate all'intelligence, sicurezza e guerra. In lingua italiana ha pubblicato numerosi libri. Scacchista per passione. ---- ENGLISH PRESENTATION ------------------------------------------------- Giangiuseppe Pili - PhD philosophy and sciences of the mind (2017). He is an expert in intelligence and international security, war and philosophy. He is the founder of Scuola Filosofica (Philosophical School). He is a prolific author nationally and internationally. He is a passionate chess player and (back in the days!) amateurish movie maker.

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