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Norme costitutive

geralt (pixabay.com)

Ci proponiamo di approfondire il pensiero di Carcaterra sulle norme costitutive, in rapporto ai performativi.

La discussione specifica sul tema delle norme costitutive è stata avviata dalle due monografie di Carcaterra Le norme costitutive, del 1974, e La forza costitutiva delle norme, del 1979. In questi due lavori, Carcaterra svolge una critica del modello prescrittivista.

L’affermazione secondo cui  l’uso prescrittivo è certamente il più adatto a rendere conto degli aspetti linguistici delle norme giuridiche) deve essere emendata alla luce delle considerazioni svolte da J. L.Austin[1] e J. R. Searle sul fenomeno della performatività degli atti linguistici. Per Carcaterra, questa discussione trova nel fenomeno giuridico un terreno di applicazione fertile. L’acquisizione del linguaggio performativo e che con le parole “si possano fare cose” può applicarsi al fenomeno giuridico e sia stata oggetto già in precedenza di un’intuizione diffusa. La performatività è una proprietà di talune norme giuridiche costruite secondo il modello prescrittivo, ma di tutte le norme, concepibili come atti linguistici produttivi di effetti giuridici. In ciò si identifica la “costitutività delle norme”, da cui può muovere una analisi giuridica alternativa al prescrittivismo. Tutte le norme giuridiche possono essere considerate costitutive e fornite di effetti giuridici. Nessuna norma giuridica può essere priva di un’efficacia pratica. Il rapporto euristico va modificato: le norme costitutive hanno una presenza costante dalla base al vertice dell’ordinamento. La costitutività si estende nel diritto quanto la stessa normazione.

L’effetto costitutivo si costituisce da sé, nel momento del loro entrare in vigore. Non occorre l’obbedienza o la collaborazione esecutiva di alcuno.

Orbene, la norma è costitutiva quando essa, nel momento del suo entrare in vigore, produce l’effetto, per la quale la medesima è emanata (può pensarsi alle norme abrogative, antitetiche al modello prescrittivista, le quali creano l’effetto giuridico senza interventi esterni. Nel successivo La forza costitutiva delle norme, Carcaterra distingue (ed è questa una distinzione palesemente in embrione anche nel precedente Le norme costitutive) tra una “teoria mista”, nella quale la tipologia delle norme costitutive viene utilizzata come integrazione del modello prescrittivista, laddove esso si rivela insufficiente, ed una “teoria unitaria”, volta a ricondurre tutto il fenomeno giuridico alla costitutività di norme. Vi è una estensione della costitutività a tutti i precetti, e la precettività è sinonimo di costitutività. L’abrogazione di questa o quella  norma determina immediatamente l’effetto della espunzione di quella norma dall’ordinamento giuridico senza che esso sia posticipato sine die, senza la necessità dell’iniziativa di altro soggetto, con la scomparsa di quel precetto giuridico e la conseguente variazione della fisionomia dell’ordinamento.

La costitutività, come effetto giuridico che si ottiene, è immediata. Lo stato di cose su cui la norma incide assume in via immediata una determinata fisionomia, incidendo nella realtà giuridica. Soggetto della norma costitutiva è un atto, anche in collegamento con la norma. Essa non richiede alcun intermediario per la sua esecuzione perché è già stessa atto di esecuzione. La creazione, la modificazione o l’estinzione del rapporto giuridico è prodotto dalla norma stessa. La costitutività inerisce, inoltre, alle forme dell’azione: il diritto non riduce solo ciò che l’uomo può fare, ma determina anche dei potenziamenti, aumentando la nostra gamma di operatività. In tal senso, il diritto descrive la forma dell’azione, è produttivo della relazione fra enti.

Un sistema di norme può aumentare di consistenza le regole del gioco e determinati comportamenti diventano forieri di effetti, in quanto previsti da nuove norme costitutive, con un arricchimento delle forme giuridiche disponibili. La vita sociale acquista un significato più pregnante. Le norme costitutive attribuiscono nuovo spazio alle azioni, nel senso che, conferendo significato a un certo comportamento, l’azione acquisisce valore significante (è operabile un’analogia col gioco e il problema delle norme costitutive è spesso analizzato, attraverso il prisma del gioco). Il processo messo in moto dalla norma costitutiva è mediato, come nel gioco degli scacchi, in quanto, per poter effettuare una partita, è necessaria la presenza e l’attività di esecuzione di due giocatori. Lo stato di cose è reso possibile dalla presenza di una normativa composta da norme costitutive.

Fra le norme costitutive, vanno annoverate le cc.dd. “norme di struttura”, le quali rendono possibile e pensabile l’ordinamento giuridico. Carcaterra muove il paragone col gioco, riferendosi alle norme che rendono possibile e pensabile un gioco. Il ragionamento viene allargato ai diritti potestativi, in particolare con riguardo al rapporto fra norma costitutiva ed effetto giuridico. La produzione normativa mette i consociati nella possibilità di utilizzare il potere, ma l’effetto non consegue immediatamente dalla norma. E’ l’esercizio del potere che determina una modificazione della realtà giuridico-materiale. La norma costitutiva non è in questa ipotesi atto in senso stretto, ma[2] rende possibile un atto, attraverso la mediazione dell’esercizio del potere.

Pertanto, la costitutività può aversi come scaturigine di un processo concreto e si pone il parallelo con la performatività degli atti linguistici di Wittgenstein, Austin e Searle. In un secondo senso, la norma costitutiva crea tipi o concetti di atti, rilevanti per una specifica pratica.

La costitutività può intendersi ancora come processo di creazione di fattispecie astratte (“mangiare un pezzo” nel gioco degli scacchi); qui vi è una divaricazione, rispetto alla performatività degli atti linguistici. Può richiamarsi la “capacità creativa” delle regole costitutive, ossia le condizioni di efficacia di quegli atti, cui la medesima inerisce.  Scrive Carcaterra: “Descrivere è riconoscere un oggetto o un evento come esistente indipendentemente dall’atto descrittivo stesso […]. Ora, quando il legislatore ha detto ‘l’art. 100 del codice penale è abrogato’, non stava constatando una già avvenuta abrogazione; quando ha stabilito che l’ordinamento italiano ‘si conforma alle norme dell’ordinamento internazionale generalmente riconosciute’, non prendeva atto di una conformità realizzatasi di per sé; quando ha dichiarato che la moglie ‘ha’ il domicilio del marito, non stava raccontando un fenomeno esistente per suo conto. Tutte queste situazioni sono venute in essere non già indipendentemente dall’atto, bensì proprio in seguito al suo porsi e alla sua forza” (Carcaterra 1974, 58; cfr. anche ibid., 122).

Si è asserito che nelle opere di Carcaterra, il concetto di costitutività delle norme è duplice, in quanto, in primo luogo, esprime il verificarsi immediato dell’effetto giuridico e del conseguente cambiamento di fisionomia dell’ordinamento, come nell’ipotesi della norma abrogante. Un atto dichiarativo, se compiuto nel rispetto di determinate condizioni, determina a esistenza certi effetti giuridici (“questo aereo si chiama “Uragano”, un soggetto avente la qualifica di pubblico ufficiale attribuisce questa denominazione all’aereo). In altri casi, la rilevanza della norma costitutiva è mediata, nel senso che l’esercizio del potere è un medium, che determina un certo effetto giuridico. In un secondo senso, infatti, sono dette “costitutive” quelle regole che determinano la nascita di un significato sociale (l’arroccamento negli scacchi). Si determinano le condizioni di esecuzione e gli effetti tipici di fatti, che sono collegati alla stessa regola

 Nonostante queste differenze di base, la costitutività, secondo Carcaterra, può essere sempre considerata come qualcosa di unitario. Per le norme costitutive del primo tipo si può adoperare l’espressione “thetico-costitutive”, ossia intenderle come atto costitutivo dichiarativo, da cui promanano effetti; per le norme del secondo tipo si può impiegare l’espressione “eidetico-costitutive”, per indicare che queste norme attribuiscono un ruolo a coloro che poi in concreto operano modificazioni nel mondo materiale-giuridico. Peraltro, le due caratterizzazioni possono coesistere (partendo dall’idea che le divaricazioni sono tre: soggetto costituente, oggetto costituito, processo di costituzione).

Atti come le norme abrogative, di natura dichiarativa, presuppongono delle norme che rendano possibile il processo di abrogazione, in quanto il termine “abrogazione” presuppone un’altra norma (del tenore: le leggi si abrogano nelle seguenti forme: A, B, C, etc). Solo quando uno degli specifici modi di abrogazione sia in concreto operativo e venga in esistenza una regola, da cui può promanare l’effetto giuridico abrogativo, l’abrogazione medesima ha luogo. Si è detto che la norma costitutiva dell’atto abrogante  (di per sé eidetico-costitutiva) può essere concepita come atto linguistico immediatamente produttivo di effetti (thetico-costitutivo).

Supponiamo che si intendano concepire sia le norme thetico-costitutive, sia le norme eidetico-costitutive come atti immediatamente produttivi di effetti, superando così la duplicità del concetto di norma costitutiva sotto il profilo del soggetto costituente, duplicità che Carcaterra intende superare. Permarrebbe la divaricazione sul piano dell’oggetto, in quanto le norme thetico-costitutive introducono in ogni caso un nuovo stato concreto, le norme eidetico-costitutive creano la fattispecie astratta e occorre il comportamento dell’operatore giuridico, per trasformare questa fattispecie da astratta in concreta (si pensi a una norma di abrogazione, che crea all’istante l’effetto abrogativo come fattispecie concreta e, per contro, a una norma costitutiva dell’atto di abrogazione, la quale non determina l’atto abrogativo, ma la fattispecie astratta e la possibilità che essa si concretizzi, per l’intermediazione di un agente concreto. Pertanto, la norma abrogativa crea il contenuto come uno stato di cose, che immediatamente è presente, mentre una regola costitutiva dell’atto di abrogazione determina la mera possibilità dell’abrogazione, posticipata eventualmente a un momento cronologico successivo.

Si potrebbe obiettare, per una concezione unitaria, cercando di omogeneizzare fenomeni apparentemente differenti: infatti una norma abrogativa (thetico-costitutiva) e una norma da cui nasce la possibilità di abrogazione (eidetico-costitutiva) si riferiscono a fenomeni solo in apparenza differenti, ma assimilabili a una radice comune, nel senso della modifica in un certo modo dell’ordinamento giuridico.

Orbene, la tesi di Carcaterra parte dal postulato che l’utilizzo di questa categoria è dirimente per la comprensione dell’ordinamento giuridico, anche a partire con le affinità riscontrabili in ambito processualistico con la sentenza costitutiva. Non possiamo sapere con certezza se questa convinzione sia esatta e se non si trascini l’inconveniente di una omologazione di tutte le norme giuridiche. Si aggiunga che “modificazioni del fenomeno giuridico” e “fenomeno giuridico” sono concetti assimilabili, ma effettività e possibilità di sussistenza sono elementi diversificati.

Resta, in ogni caso, una differenza nel processo di costruzione di norme: infatti, in alcuni casi, l’effetto giuridico è immediato, in altri mediato attraverso l’operatore giuridico.

Azzoni[3] ha elaborato una tassonomia delle regole costitutive, nei termini seguenti[4]:

  • Sono eidetico – costitutive (riprendiamo una espressione già utilizzata) quelle norme che fungono da condizione necessaria di ciò che esse regolano (scacco matto nel gioco degli scacchi);
  • Sono thetico – costitutive quelle regole che sono condizione sufficiente, perché l’effetto giuridico si verifichi, come la norma che abroga;
  • Sono regole noetico – costitutive le condizioni necessarie e sufficienti di ciò che esse regolano (si può riflettere sulla norma fondante);
  • Sono regole anankastico – costitutive le regole che pongono una concezione necessaria a ciò che esse regolano; (“la donazione non di modico valore va conclusa per atto pubblico”);
  • Sono regole metatetico-costitutive quelle che pongono una condizione sufficiente alla materia che regolano (“Il dolo, se determinante del consenso, è causa di annullabilità del contratto”);
  • Sono regole nomico-costitutive quelle che pongono una concezione necessaria e sufficiente alla materia regolata (“La paternita’ e la maternita’ (…) possono essere giudizialmente dichiarate nei casi in cui il riconoscimentoe’ ammesso”).

L’essenza del tentativo è superare la duplicità del concetto di norma costitutiva, in base all’elaborazione di Carcaterra, ricorrendo al paradigma della condizione necessaria e/o sufficiente. Secondo l’impostazione dottrinale qui riportata, il tentativo non appare riuscito, in quanto si ribadisce che le norme costitutive nel primo senso sono thetico-costitutive, sono condizioni sufficienti di attualità e pongono in via immediata il proprio oggetto concreto (norme abroganti, per es.), mentre le norme costitutive nel secondo senso sono eidetico-costitutive creano una fattispecie astratta, nel senso di una fattispecie che apre la possibilità che accada la modifica dell’ordinamento giuridico (norme che prevedono l’effetto abrogativo).

Ci si è soffermati sul rapporto tra regole eidetico-costitutive e regole anankastico-costitutive, utilizzando come esempio la regola, secondo cui “il testamento olografo deve essere sottoscritto di mano dal testatore”, il quale è, per questa dottrina, anche esempio di regola tecnica. In particolare, la differenza fra regole eidetico-costitutive ed anankastico-costitutive va identificata (Azzoni) nella circostanza che le prime sono condizione necessaria del proprio oggetto, le seconde pongono (ma non sono; come si rileva la differenza è assai sottile) una concezione necessaria al medesimo. Secondo altra prospettiva, le due ipotesi sono assimilabili. Se si ritorna sulla regola, secondo cui “Il testamento olografo deve essere sottoscritto dal testatore”, si pone una condizione necessaria e, quindi, si costruisce la categoria del testamento olografo, potendosi innestare il parallelismo con una regola eidetico-costitutiva, oppure si può concepire il ruolo di quella norma come estrinseco, rispetto a qualcosa che pre-esiste (il testamento olografo), rendendo nullo il carattere costitutivo di quella regola, ma anzi considerando la medesima una mera norma tecnica.

Per esigenze di completezza, occorre introdurre il concetto di “regole eidetico costitutive deontiche”, dotate del carattere dell’anankasticità. La “tesi dell’allonomia” di Conte sostiene che una regola eidetico costitutiva deontica e la corrispondente regola tecnica anankastica sono la medesima regola, ma lo Studioso contesta questa tesiperché trascura la distinzione fra “gioco e l’” attività del giocare”[5].

Una regola eidetico-costitutiva deontica del “ludus” non fonda una regola tecnica del lusus. Azzoni[6] denomina questa opinione “tesi della fondazione”, per distinguerla dalla “tesi dell’allonomia” e a sua volta elabora la tesi, secondo cui le regole giuridiche tecniche “se vuoi che sia prodotta la conseguenza giuridica B, devi fare A” presuppongono un principio generatore, avente struttura formale Il fatto A (positivo o negativo) produce la conseguenza giuridica B”. Fino a questo punto si è esaminato il rapporto fra regole costitutive e regole tecniche (“la torre deve muovere in orizzontale e verticale), ma la problematica resta invariata anche per le ipotesi di norme costitutive formulate in forma non – prescrittiva (“lo scacco matto è la situazione di gioco nella quale il re non può sottrarsi allo scacco con alcuna mossa”), in quanto anche questa è una regola che prevede come agire se si vuol vincere la partita. L’opposizione fra tesi dell’allonomia e tesi della fondazione si estende alla natura tout court della regola fondativa. Il termine “allonomo” ha un etimo trasparente, in quanto risulta dall’incrocio fra allotropo (termine della chimica) e nòmos. Più chiaramente, i sostenitori di questa teoria ritengono che una regola deontica del “ludus”, ossia di un sistema ludico, e l’omonima regola anankastica del “lusus”, strumentali per realizzare il gioco, sono due stati allotropici di una stessa regola. Si può esaminare la questione da altra angolazione, ossia ritenere che ogni regola eidetico costitutiva di una praxis (come il gioco degli scacchi) ha come fatto accessorio (epifenomeno) una regola fondata su un rapporto di condizione necessaria (anankastica), prescrivente come realizzare quella praxis.[7]  Questa dottrina (Conte) insiste sulla circostanza che si tratta di norme diverse, in quanto è diverso costituire il sistema concettuale e prescrivere, vi è la stessa differenza che vi è fra il ludus e il lusus.(sistema del gioco e attività del giocare). E’ questa la tesi della fondazione, contrapposta alla tesi dell’allonomia. La tesi della allonomia sembra logicamente più coerente, in quanto, a un esame approfondito, una differenza  fra le due norme è riscontrabile.

L’opposizione tra queste due tesi (dell’allonomia e della fondazione) non è dunque una opposizione relativa ad un particolare tipo di regole costitutive, in particolare di matrice prescrittiva: essa è piuttosto una opposizione sulla natura stessa delle regole costitutive e sul loro ruolo regolativo.

Può considerarsi la relazione logica fra la regola costitutiva che connette un fatto “A” e un fatto “B” (“lo scacco matto è la situazione di gioco, nella quale il re non può sottrarsi allo scacco con alcuna mossa”), la regola tecnica che prescrive di porre in essere A per ottenere B (se vuoi fare scacco matto, devi fare in modo che il re dell’avversario non possa sottrarsi allo scacco con nessuna mossa), l’enunciato descrittivo che connette A e B.

Orbene, secondo la teoria della fondazione, vi sono due regole: la prima stabilisce una connessione fra lo scacco matto e una situazione di gioco e attribuisce verità all’enunciato analitico descrittivo della connessione; d’altro lato, si riscontra la regola tecnica che prescrive una certa azione per fare scacco matto. Questa seconda regola dà per scontata la verità della descrizione e dell’esistenza della norma costitutiva, che attribuisce verità all’enunciato.

La tesi dell’allonomia presuppone una sola regola, simultaneamente costitutiva e tecnica, che stabilisce la connessione fra lo scacco matto e una determinata situazione di gioco.

Per la tesi della fondazione, si può considerare immanente nel sistema un “principio generatore”, rappresentato da una norma costitutiva. La tesi dell’allonomia dà spazio a regole tecniche, la cui esecuzione porta allo svolgimento di una determinata attività sociale e non sono possibili realtà prodotte in modo automatico dall’operatività di certe regole.

Vi è stato un tentativo di spostamento della prospettiva da quello ontologico a quello epistemologico.[8] . Il tentativo è di affrancarsi da una sorta di potere magico attribuito alle norme costitutive, talora paventato, ma del tutto ingiustificato, alla luce del parallelismo operante con le sentenze costitutive in  sede processualistica. I fatti dipendono dalle norme costitutive ed esse definiscono il concetto di tali fatti. Peraltro, la regola costitutiva deve avere un significato sociale.

Bisogna andare più in profondità: la regola secondo cui lo scacco matto determina la vittoria negli scacchi non avrebbe valenza costitutiva, ove non fosse complementare alle norme che, nel loro insieme, disciplinano gli scacchi, in particolare quella, secondo cui “lo scacco matto ha valore di vittoria” Si deve riscontrare una catena di fatti istituzionali, per dar linfa vitale alle norme costitutive, ma ciò è sufficiente? Orbene in un gioco (gli scacchi), è necessario vincere, secondo le regole. Se si antepone la pura e semplice vittoria al fine cooperativo, si viene emarginati, specialmente fin quando si rimanga nella dimensione essenzialmente ludica del “gioco”.

Negli scacchi, si sostiene che la regola “lo scacco matto ha valore di vittoria” è costitutiva dello scacco matto, ma non della vittoria, anche se il profilo appare non conducente, né appare condivisibile la conclusione di chi ritiene la vittoria un concetto “meta-istituzionale”, che qualifica il gioco come forma di competizione. Anche ove ciò fosse, per quale ragione la regola che porta dallo scacco matto alla vittoria non dovrebbe essere costitutiva della vittoria stessa, oltre che dello scacco matto?

In base a questa prospettiva, la semplice complementarità di condizioni delle situazioni di fatto, anche quando ci si concentri su un’attività ludica, e conseguenze non genera fatti istituzionali, ma occorre una relazione con un soggetto già dotato di valenza sociale. Si può leggere una norma costitutiva come connessione fra un insieme di condizioni e il rilievo di un fatto istituzionale. La regola costitutiva, altresì, si colloca nell’elemento tecnico di una pratica e si salda alle regole tecniche. L’obiettivo di conseguire determinati effetti da un aggregato di regole costitutive è subalterno al fine di ottenere il fine interno della pratica in cui si inquadra il sistema delle norme costitutive medesime e abbiamo rilevato come un paradigma spesso utilizzato sia il gioco degli scacchi.

Può ritenersi che il regolare e il costituire non siano antitetici, nonostante l’avvento degli enunciati performativi in quanto le norme costitutive, costituendo concetti, regolamentano anche un’attività.


[1]Cfr, Austin Come fare cose con le parole, Marietti, 2019, passim

[2]E’ costitutiva una norma abrogativa, perché essa stessa abroga e questo è un equivalente della performatività degli atti linguistici, in particolare di quelli che Searle ha chiamato declarative speech acts.; Cfr. SEARLE. 1969. Speech Acts. An Essay in the Philosophy of Language. Cambridge: Cambridge University Press.; SEARLE 1979. A Taxonomy of Illocutionary Acts. in J. R. Searle, Expression and Meaning. Studies in the Theory of Speech Acts, 1–29. Cambridge: Cambridge University Press. (1° ed.1975.)

[3]Cfr, AZZONI, 1986. Condizioni costitutive. Rivista internazionale di filosofia del diritto 63: 160–91, AZZONI, 1988. Il concetto di condizione nella tipologia delle regole. Padova: Cedam.

[4]Cfr.ROVERSI, Regolare e costituire. Sul carattere tecnico delle regole costitutive, pagg 5 e sgg e passim

[5]Cfr. CONTE, . 1995. Fenomeni di fenomeni. In Amedeo G. Conte, Filosofia del linguaggio, in cui l’Autore scrive(pag. 332)Dalle regole eidetico-costitutive deontiche le quali costituiscono un sistema ludico (un game, o,come io ho proposto di dire, giocando sull’assonanza di ‘ludus’ e ‘lusus’, un ludus) si distinguono le omonime regole (non costitutive, ma) anankastiche, prescriventi come agire per realizzare ilgioco: le regole anankastiche dell’attività ludica, del play, del lusus. Questa ovvia distinzione traì regole costitutive del ludus e regole anankastiche del lusus sembra disconosciuta da altri: in particolare, da coloro per i quali una regola eidetico-costitutiva deontica del ludus e l’omonima regola anankastica sul lusus sono due stati allotropici di una regola (di un’unica e stessa regola),ossia due allonomi: tesi dell’allonomia”. (Conte 1995, 332)

[6]Cfr. AZZONI Cognitivo e normativo: Il paradosso delle regole tecniche, Milano, Franco Angeli 1991

[7]Cfr.CONTE,, Materiali per una tipologia delle regole, in Materiali per una storia della cultura giuridica, XV, 1985, p. 358,

[8]GOMETZ, G. 2008. “Le regole tecniche: una guida refutabile. Pisa: ETS., pag. 53 L’impressione […] è che le categorizzazioni delle norme sull’autonomia privata operate in termini di regole anankastico-costitutive o di regole tecniche non dipendano da caratteristiche immanenti all’ontologia delle norme (qualunque cosa ciò significhi), o dalla loro peculiare “essenza” o “natura” costitutiva o tecnica; si tratta piuttosto di qualificazioni che rispondono, e  sono strumentali, a concezioni delle norme e/o del diritto differenti, sebbene non necessariamente, e non in tutto, incompatibili. L’errore, allora, non consiste nel ritenere che norme come quella espressa dall’art. 602 siano categorizzabili come regole tecniche piuttosto che categoriche, bensì nel ritenere, essenzialisticamente, che tali norme siano (qualificabili esclusivamente come) regole tecniche o costitutive, in via del tutto indipendente dagli obbiettivi e dalla prospettiva che informa la categorizzazione”. (Gometz 2008, 53)

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