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Categoria: Letteratura Italiana

Il giorno del giudizio – Salvatore Satta

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Satta, Salvatore; (1979), Il giorno del giudizio, Ilisso: Nuoro


Il giorno del giudizio è una possibile prova della resistenza e della grandezza dell’italiano come lingua. Essa può ancora avere un senso e potrà ancora averlo. Questa resilienza della lingua italiana non è un caso. Essa viene da autori che italiani lo sono stati per adozione linguistica o per scelta volontaria. Salvatore Satta è incidentalmente un sardo e, come tale, egli ha imparato l’italiano dopo o, al massimo contemporaneamente, la lingua del luogo. Come Joseph Conrad, Satta ha una lingua italiana di seconda pelle, indipendentemente dal momento in cui la deve aver imparata come egli stesso dice, tra letture, scuola e ricopiatura di atti notarili ovvero: in modo del tutto artificiale. Egli infatti è un vero italiano, ovvero un acquisito, un traslitterato dalla regione alla penisola.

La pelle – Curzio Malaparte

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Consigliamo Il giorno del giudizio di Salvatore Satta


E unitici al corto dei becchini, ci avviammo dietro la bandiera. Era una bandiera di pelle umana, la bandiera della nostra patria, era la nostra stessa patria. E così andammo a vedere buttare la bandiera della nostra patria, la bandiera della patria di tutti i popoli, di tutti gli uomini, nell’immondezzaio della fossa comune.

  La pelle – Curzio Malaparte

La pelle è un romanzo con caratteri autobiografici di Curzio Malaparte, un romanzo da uno stile denso, preciso, univoco e perfetto. Si tratta di un romanzo privo di una trama sistematica, se con questo si intende una sequenza di fatti riportati in un ordine che scandisce la sequenza temporale degli eventi. Uno dei motivi è dovuto non solo alla rapsodicità degli eventi presentati, ma pure alla principale caratteristica degli avvenimenti stessi: il significato del susseguirsi degli stati di cose non è limitato agli anni della guerra in Italia, della campagna americana e della liberazione del paese. Il significato di quegli eventi parla a tutti coloro che sono immersi in questo mondo, tutti coloro i quali si chiedono, giorno dopo giorno, se vivano in Terra o all’inferno.

Gli Scacchi in Paradiso

[Nota dell’autore. Originariamente l’articolo costituiva il terzo dei miei commenti all’articolo Gli scacchi come fenomeno culturale: perché gli scacchi hanno avuto da dire nella storia dell’Occidente (11 Maggio 2014) di Giangiuseppe Pili; è stata sua l’idea di trasformarlo nel mio primo articolo in ScuolaFilosofica. Esso è stato rielaborato il 1° Maggio 2020 (Festa di San Giuseppe artigiano, Patrono dei lavoratori), con una leggera modifica del titolo.]

E poi che le parole sue restaro,
non altrimenti ferro disfavilla
che bolle, come i cerchi sfavillaro.
L’incendio suo seguiva ogne scintilla;
ed eran tante, che ’l numero loro
più che ’l doppiar de li scacchi s’inmilla.
Io sentiva osannar di coro in coro
al punto fisso che li tiene a li ubi,
e terrà sempre, ne’ quai sempre fuoro.

(Divina Commedia, Paradiso XXVIII 88-96)

 

 

Dante e Beatrice si trovano nel cielo Cristallino (o Primo Mobile), sede dei nove cori angelici. Beatrice ha appena fugato i dubbi di Dante sulla struttura e la dinamica dei cerchi concentrici fiammeggianti (che ospitano i cori) e ruotanti intorno a quello che sembra essere il loro centro comune – il quale, in realtà, li contiene [Paradiso XXX 10-12] –, un punto luminosissimo corrispondente a Dio.

Quer pasticciaccio brutto de via Merulana – Carlo Emilio Gadda

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Scopri Filosofia e letteratura di Chiara Cozzi


Quer pasticciaccio brutto de via Merulana è un romanzo di Carlo Emilio Gadda uscito a puntate su una rivista letteraria ma edito in unico volume solo nel 1957 dalla Garzanti. Si tratta indubbiamente di uno dei massimi capolavori in lingua italiana della storia della letteratura da Dante al XXI secolo, difficile trovare paragoni in opere letterarie precedenti e successive, se non altro per densità, precisione, profondità e grandezza.

La trama del romanzo è apparentemente ispirata alla cronaca nera, pervasa da una vena quasi giallistica in cui il latrocinio di una ricca vedova (tal contessa Menegazzi) è il prodromo per il delitto quintessenziale della “donna” per eccellenza, Liliana in Balducci, amica e lontana cugina del protagonista Don Ciccio Ingravallo, ispettore di polizia molisano trapiantato a Roma, esule integrato quanto estraneo nella capitale italiana. Perché tutti siamo integrati ed estranei con la realtà che ci circonda, una delle possibili interpretazioni ultime del romanzo.

Le origini della lingua italiana: i primi documenti

Italia
Mappa lingue neolatine, tratta da www.lextra.info

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Introduzione

La storia della lingua italiana nasce a partire dalla sua evoluzione dalla lingua latina. Quest’ultima era andata via, via estinguendosi dopo le varie invasioni barbariche e lo sviluppo della chiesa ortodossa, e c’è da sottolineare che in ogni caso la lingua latina non era mai stata del tutto unitiva come lingua imperiale: in ogni regione conquistata dai romani il latino spesso prendeva il posto delle lingue native, ma quest’ultime non venivano mai del tutto soppiantate, dando di fatti vita in Italia, per esempio, ai dialetti gallici, posti nel nord Italia (segnatamente in Lombardia e Piemonte) con delle determinate caratteristiche.

Ma per arrivare all’italiano che tutti noi oggi utilizziamo nel nostro scrivere e parlare, ci sono state delle tappe evolutive e dei processi che ne hanno caratterizzato la crescita. Si è partiti dai primi testi letterari come il Placito Capuano e l’Indovinello Veronese, fino ad arrivare alla Commedia di Dante Alighieri e ai I Promessi Sposi di Alessandro Manzoni. Un evoluzione degna di essere osservata secolo per secolo.

La questione della lingua italiana – da Bembo a Pasolini

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La questione della lingua italiana è stato oggetto di studi approfonditi da diversi teorizzatori, per via del fatto che la lingua italiana a partire dalla sua nascita ha sempre presentato aspetti che la mettessero su un piano di controversia spesso combattuto fra i classicisti e gli innovatori.

Tutto ebbe inizio a partire dal 1294 quando Dante Alighieri aprì, con il suo sapere e volere, il dibattito della questione sulla lingua italiana, con la stesura del trattato sulla lingua intitolato De vulgari eloquentiain questo scritto, il pensatore fiorentino teorizzò per la prima volta gli aspetti del volgare italiano, cercandone di comprendere le origini e di stabilire quali fossero i canoni per un buon uso stilistico della lingua. Infatti, per Dante, la lingua italiana prima di tutto doveva essere una lingua di uso colto e letterario, che non ricadesse nei canoni della bassezza popolare.

La lingua italiana – Problemi linguistici e definizioni

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La lingua italiana fa parte della grande famiglia delle lingue indoeuropee. Nella fattispecie l’italiano deriva direttamente dal latino ed è per questo detta una lingua neolatina o romanza. Oltre ad essere parlata in Italia da circa 59 milioni di madrelingua, essa è anche usata nella Repubblica di San Marino, nella Città del Vaticano, in alcuni cantoni della Svizzera, in Slovenia e in Croazia, in Albania dove molte televisioni usano anche l’italiano, nei ceti colti presso Malta e infine, sempre più raramente nella regione di Nizza e Monaco, e nell’isola greca di Rodi, questa in quanto ex territorio posto sotto il protettorato fascista nei periodi del regime. Nel Corno d’Africa, laddove erano presenti delle colonie italiane durante la seconda guerra mondiale, si va ormai estinguendo la conoscenza della nostra lingua.

In Italia, oltre i dialetti, che vedremo a breve, sono presenti diverse minoranze linguistiche. Queste sono dette alloglotti, per l’appunto altralingua. Dal 1999 con la legge n.482 queste vengono tutelate, spesso in maniera poco chiara, e sono riconosciute come minoranza da porre sotto un ala protettiva. Ma spesso non è così e non è chiaro in che senso va intesa la presenza di una minoranza linguistica in un determinato territorio. Vediamo adesso quali sono i principali alloglotti.

Il gattopardo – Giuseppe Tommasi di Lampedusa

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“Giuseppe Tomasi, duca di Palma e principe di Lampedusa, nacque a Palermo il 23 dicembre 1896 e morì a Roma nel luglio del 1957. Il suo capolavoro, Il Gattopardo, fu pubblicato un anno e mezzo dopo la sua morte; era rimasto a lungo inedito, anzi era stato rifiutato da molti editori, ma al suo apparire fu subito riconosciuto come una delle massime opere letterarie del nostro secolo [XX n.d.R.]. (…) lettore accanito, interprete raffinato della letteratura francese dell’ottocento, Lampedusa non ebbe in realtà militante vita di letterato. Ufficiale effettivo fino al ’25 (tra l’altro, nella prima guerra mondiale era stato protagonista di una romanzesca fuga dal campo di prigionia di Polsen), visse sdegnosamente appartato durante il ventennio e soggiornò a lungo all’estero. Oltre al Gattopardo ha lasciato alcuni racconti e abbozzi di opere narrative incompiute, saggi e appunti di critica letteraria”.[1]

Il Gattopardo è considerato un classico della narrativa italiana del XX secolo, edito nel 1958, quando ormai l’autore doveva aver perso le speranze di poter pubblicare il volume (ma questa è una nostra congettura…). Come si conviene, dunque, alla prassi dell’accademia di fronte ai libri postumi vincenti, si applica una retrospettiva immediata per rivalutare la vita e l’opera di un autore che, incomprensibilmente, è stato ignorato in vita. Come se, naturalmente, quegli stessi critici che hanno prontamente ʽriabilitatoʼ il testo fossero o sarebbero molto diversi rispetto a quelli che lo avevano ignorato.

Federigo Tozzi: le novelle della sezione “Giovani”, tematiche e aspetti salienti della sua opera

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Struttura dell’articolo

1. La figura di Federigo Tozzi: vita e contesto storico e sociale dell’autore

2. Federigo Tozzi come esponente del letterato nel periodo Giolittiano. Il pessimismo materialistico: il nichilismo e il cosiddetto “Secolo dell’angoscia”

3. Federigo Tozzi: le novelle e analisi della Sezione “Giovani” novella per novella sotto forma di riassunto. I temi principali e la psicologia delle novelle tozziane

3.1 Le novelle

4. l complesso di Prometeo e l’importanza della figura del padre nella narrativa di Federigo Tozzi.

5. Il complesso di Edipo e l’importanza della figura della madre nella narrativa di Federigo Tozzi


1. La figura di Federigo Tozzi: vita e contesto storico e sociale dell’autore

Considerato uno dei maggiori esponenti della narrativa italiana del Novecento, Federigo Tozzi è stato un importante scrittore. Nato a Siena il 1883, il padre era un importante commerciante della cittadina toscana, nonché gestore di una trattoria in pieno centro. La figura del padre, come vedremo in seguito, fu molto importante nella narrativa tozziana: il padre di Federigo era un uomo dalla corporatura molto grossa e massiccia, dotato di una forza impressionante, molto autoritario, capace di grande fascino sulle donne. La madre, figura anch’essa importante nella narrativa di Tozzi, era gracile, debole e cedevole nel fisico. Federigo Tozzi ereditò la corporatura più da quest’ultima che dal padre.

Federigo Tozzi crebbe dunque fra due personalità opposte e ne uscì introverso e taciturno, in perenne fuga dalla figura paterna (tema che ritorna continuamente nelle sue opere). Compì studi irregolari senza conseguire alcun diploma. Entrato in un circolo socialista per trovare sfogo alle sue ire represse nella militanza politica, tentò anche di riacquisire la stima da parte del padre cercando di sfondare nel campo del giornalismo senza però avere alcun successo. Riuscì a vincere un concorso come addetto ferroviario nel 1907, per poi mollare lo stesso lavoro nel 1908 in seguito alla morte del padre: vendette la trattoria e visse di rendita per il resto della vita.

Il deserto dei Tartari – Dino Buzzati

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Consigliamo l’immortale Nostromo


Fino ad allora egli era avanzato per la spensierata età della prima giovinezza, una strada che da bambini sembra infinita, dove gli anni scorrono lenti e con passo lieve, così che nessuno nota la loro partenza. Si cammina placidamente guardandosi con curiosità attorno, non c’è bisogno di affrettarsi, nessuno preme di dietro e nessuno ci aspetta, anche i compagni procedono senza pensieri, fermandosi spesso a scherzare. Dalle case, sulle porte, la gente grande saluta benigna, e fa cenno indicando l’orizzonte con sorrisi d’intesa; così il cuore  comincia a battere per eroici e teneri desideri, si assapora la vigilia delle cose meravigliose che si attendono più avanti; ancora non si vedono, no, ma è certo, assolutamente certo che un giorno ci arriveremo.

 Dino Buzzati

Il deserto dei Tartari è un libro di Dino Buzzati edito per la Rizzoli nel 1940. La trama del libro è assai lineare:[1] Giovanni Drogo, giovane ufficiale, viene spedito alla fortezza Bastiani, ai confini estremi di un regno dai contorni e geografia non precisati. Al principio Giovanni non è particolarmente felice di insediarsi nella fortezza. Già l’abbandono della casa natia, con i parenti e gli amici e una potenziale futura moglie, gli lasciano un senso di smarrimento privo di compenso che egli stesso intuisce ma non comprende. Chiede immediatamente il trasferimento, ma gli viene sconsigliato per ragioni di carriera: è possibile, certamente, ma perché doverlo fare subito? Meglio aspettare qualche mese, quattro possibilmente, così da dare l’aria di aver svolto il minimo di tempo del servizio per poi potersi congedare dalla fortezza senza macchie.