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Storia del fascismo italiano – 1919 al 1932

seier+seier / CC BY (https://creativecommons.org/licenses/by/2.0)

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Il fascismo occupa un posto di rilievo nella storia italiana. Il fascismo riguarda un movimento politico che ha determinato rivolgimenti sociali e politici di grande rilevanza, con cui la coscienza italiana deve continuamente confrontarsi per non ripeterne le follie.

Il fascismo ha alla base dei presupposti storici fondamentali: era idea corrente e comune alla maggioranza degli italiani che il risorgimento fosse rimasto incompiuto e che l’unità nazionale non fosse stata raggiunta. Ciò era alla base dello scontento generale. Appena terminata la prima guerra mondiale si avvertì l’insoddisfazione globale per “una vittoria mutilata“: troppe vittime erano cadute, troppi soldi erano stati spesi e troppi sacrifici erano stati sobbarcati dai nuclei familiari. Per non parlare delle querelle diplomatiche neppure oggi ancora del tutto sopite. Quindi la debolezza statale, la questione di una vittoria mutilata e la situazione rivoluzionaria dovuta al cosiddetto biennio rosso (1919-1920) portarono all’emergere di una figura e di un movimento, che ben avevano compreso i bisogni degli italiani. Senz’altro sia il movimento fascista prima, che quello nazista dopo, furono le espressioni dell’espansione della borghesia e del suo desiderio di giungere a una società organizzata che, appunto, fondasse le basi su questa classe sociale nonostante che entrambi i movimenti avessero una veste profondamente antiborghese e un’ideologia di avanguardia che tendeva a riconsiderare molto criticamente i valori della borghesia.

In Italia era forte nel biennio postbellico lo sviluppo del partito socialista (fondato da Filippo Turati nel 1892) e la presenza del sindacato, visto come istituzione sempre più determinante. Tanto il partito socialista che i sindacati premevano affinché si instaurasse una forte coesione sociale e affinché venisse ridistribuito il potere politico, in quegli anni preso nelle mani di troppo pochi (vedi Giovanni Giolitti).

Tuttavia, malgrado queste due istituzioni fossero ben radicate nel territorio, non riuscirono ad apportare sostanziali modifiche al sistema. Infatti, ampi settori della classe media respinsero i loro progetti. Quando parliamo della storia italiana, qualunque periodo che vogliamo prendere in considerazione, dobbiamo tenere conto dei forti squilibri che vigevano fra il nord e il sud/isole, il primo con una economia agricola e industriale, il secondo invece con una economia agricola molto povera e di sussistenza per lo più. Nel biennio rosso gli investitori erano preoccupati e le aziende sotto pressione: visti gli esiti della rivoluzione russa, anche in Italia, si formarono spontaneamente dei moti rivoluzionari, e addirittura a La Spezia si proclamò il soviet. Il Partito socialista (quello comunista non era ancora stato fondato) sembrava essere sul ciglio di una montagna, oltre la quale stava il potere. Ma dopo delle estenuanti trattative di Giovanni Giolitti, il movimento operaio rivoluzionario risolve le proprie tensioni in modo pacifico.

Tuttavia il Psi rimane comunque forte e nel 1919 è il partito più votato in Italia. Non solo movimenti operai agitavano la società italiana: nelle campagne del centro nord si formarono i movimenti delle Leghe contadine che per la prima volta riescono ad ottenere grazie ai sindacati degli importanti diritti, e questo successo, anche inaspettato a un certo punto, delle Leghe Contadine portò all’avanzare delle scorribande squadriste contro i baroni, che trovarono l’appoggio finanziario e politico del nascente movimento fascista. Nel biennio dal 1919-1920 all’inizio sembrava che i socialisti potessero concentrarsi in parlamento con un buon appoggio da parte della popolazione, allo stesso tempo persero molto velocemente il sostegno generale dopo i governi disastrosi di Nitti e Giolitti (da giugno 1919 al luglio 1920) che si rivelarono incapaci di trovare un punto di intesa fra il capitale industriale e la proprietà terriera, o visto da un altro punto di vista, fra i sindacati e le leghe contadine.

Nel 1921 il partito fascista (passato da movimento a partito proprio nell’anno corrente) contava in una grande città come Milano 6000 tessere, a Ferrara 7000, ecc., e la convinzione di base dei fascisti era quella di poter raggiungere un compromesso fra la classe industriale e quella contadina, giungendo a conclusione diverse da quelle dei democratici e dei socialisti. Si cercarono dunque nuovi ideali che potessero essere trasportatori delle masse, a partire dal risoluzione della crisi economica post bellica. Ha inizio l’esaltazione della patria e l’esaltazione dell’istinto e della violenza nella vita politica in nome di presunti ideali patriottici superiori alle logiche della prassi comune della politica. Se inizialmente appartenevano al movimento veterani di guerra e studenti attratti dal nazionalismo e dall’attivismo politico, quando si fondò il partito i contadini (ai quali vennero promessi lotti di terra) si aggiunsero alla lotta fascista e al cosiddetto metodo delle squadriglie. La ferocia e la violenza degli squadristi prese alla sprovvista la classe operaia, costituita da socialisti, i quali non potevano che rimanere sostanzialmente impotenti di fronte alla determinazione violenta fascista: i pestaggi divenivano sempre più ordinari, le case del popolo (tipica icona del socialismo e del comunismo in Russia) venivano bruciate, intimidazioni e umiliazioni placavano la reazione dei socialisti. Il fatto che il fascismo non ricevette opposizione dal governo centrale, a sua volta composto da elementi che non simpatizzavano per le nuove compagni politiche di sinistra e, specialmente, dalle derive comuniste, costituì un empasse per il partito socialista. Il re stesso, Vittorio Emanuele III, non utilizzerà alcun mezzo per limitare l’ascesa di Mussolini, il preludio per la nascita di uno stato dittatoriale.

La violenza descritta poco sopra tuttavia non poteva essere sufficiente per il raggiungimento dell’obiettivo di Mussolini: era necessario porre altri interessi, oltre quello dell’annientamento della sinistra. Antisocialismo e nazionalismo erano delle posizioni programmatiche che potevano bastare alla totalità della massa italiana ma la guida economica e politica di Mussolini furono un passo decisivo nel raccogliere adesioni all’interno delle varie forze politiche.

L’ossatura del partito fascista si era basata a livello provinciale: le leghe contadine erano nelle provincie e nei paesi più concentrati, e fu lì che il fascismo raccolse maggiori consensi, laddove l’ideologia fascista riusciva a riunire in ideali semplici ma comprensibili anche gli uomini più semplici. La facile propaganda di ideali nazionalisti, la cui essenza è sempre sfuggente, risulta sempre accattivante per chi crede che la patria e il benessere individuale siano intimamente connessi, anche solo in termini di riscatto. L’ossatura dirigenziale fascista era composta da uomini che avevano vissuto e aderito un po’ a tutti i movimenti e partiti politici italiani: c’erano i monarchici, ex socialisti, convinti nazionalisti e una minoranza di radicali socialisti, i tutti però con la convinzione comune che l’individualismo liberale aveva permesso la frammentazione della classe aprendo la lotta di classe[i]. In altre parole, il movimento fascista era trasversale, estremista nei mezzi ma centrista nella sostanza politica: caratteristiche di gran parte dei movimenti vincenti nella storia dell’Italia unita.

La violenza aumentò di frequenza e intensità fra il 1920 e il 1922. Mussolini, captato il momento culminante, capì che era il momento di organizzare una grande manifestazione fascista e fu così  che il 28 ottobre 1922, preceduta da una “prova generale” a Napoli, si ebbe la marcia su Roma. In questa data decine di migliaia di militanti fascisti e non solo, si riversarono per le strade di Roma, rivendicando il potere del Regno italiano. Il re Vittorio Emanuele III, reo di non aver avuto il coraggio di opporsi, accondiscese le masse di fascisti e il giorno seguente, il 29 ottobre 1922 Benito Mussolini divenne, a soli 39 anni, il primo ministro più giovane dalla nascita dell’Italia unita. Quando i fascisti giunsero al potere, la sinistra italiana era composta da socialisti senza forze e sostengo: la sinistra rimaneva una forza politica decentrata, in particolare nell’Italia rurale. Ugualmente, le classi operaie rifiutavano di appoggiare il partito che li aveva trraditi qualche anno prima e lasciati soli di fronte alle violenze squadriste. La monarchia rimase simbolo dell’autorità statale per l’intera durata del regime, fatto che la rese egualmente colpevole di fronte ai misfatti del regime fascista.

Il primo compito del governo di Mussolini era senz’altro quello di ricostituire una maggioranza parlamentare importante per poter consolidare un controllo politico decisivo: sembrava cosa semplice e alla portata di mano, ma non fu così. Per due anni Mussolini cercò mediazioni coi sindacati riformisti, non riscuotendo un grande successo né con questi, né all’interno del partito, diviso sulle forme che il governo doveva assumere: c’era chi auspicava l’abolizione del parlamento, chi invece rivendicava un esecutivo più forte all’interno di un parlamento forte. Tuttavia la continua e brutale azione dello squadrismo contro l’opposizione di sinistra oltre proseguirà per tutto i l923, era un grave atto di accusa nei confronti dei fascisti, che in ogni caso erano difesi dal re. Appena preso il potere Mussolini fondò il Gran consiglio del fascismo e la Milizia volontaria per la sicurezza mondiale. Il primo agiva come un governo parallelo: c’era una gerarchia all’interno di esso nel quale ognuno aveva dei compiti precisi da rispettare e ognuno aveva un suo spicchio di potere da esercitare; era il parlamento dei fascisti, dove discutevano le idee da prendere in parlamento, idee di fatto già approvate però in prima sede al Consiglio. La Milizia volontaria, approvata dal Gran consiglio, legalizzava de facto la violenza delle squadriglie o squadracce, per citare De Grand, fasciste. Nel luglio del 1923, Mussolini fece approvare una nuova legge elettorale (legge Acerbo), che assegnava i due terzi della camera alla lista elettorale che avrebbe ottenuto alle elezioni più del 25% delle preferenze. Alle elezioni del 1924 grazie a brogli e intimidazioni, la Lista nazionale fascista vinse le elezioni, senza assicurarsi tuttavia una maggioranza netta soprattutto nelle grandi città di Milano e Torino.

Il 30 maggio 1924 ci fu un avvenimento che segnò l’inizio di una breve crisi del partito fascista: il deputato socialista riformista Giacomo Matteotti denunciò la reale prassi del governo fascista in un discorso molto duro di fronte al neoparlamento. Il 10 giugno 1924 Matteotti venne rapito e assassinato. Il governo entrò in crisi e ci furono diverse dimissioni fra cui quelle di Cesare Rossi e Giovanni Marinelli, due collaboratori di Mussolini, e quest’ultimo fu costretto ad ammettere, in un celebre discorso nel gennaio 1925 tenuto al parlamento, l’uccisione da parte di membri fascisti di Giacomo Matteotti, tuttavia assumendosene “le responsabilità politiche, storiche e morali del gesto”.  In quello stesso discorso annunciò, più o meno consapevolmente, l’instaurazione della dittatura fascista e l’abrogazione di molte delle libertà di cui il popolo italiano aveva potuto godere fino a quel giorno, fino alla promulgazione all’inizio del 1926, in seguito anche a un fallito attentato contro la vita di Mussolini per mano di Anteo Zamboni, delle leggi fasciste.

Tutti i giornali dell’opposizione furono costretti a chiudere o ad agire nell’illegalità; circoli, organizzazione e associazioni non riconosciute dal partito fascista vennero dichiarate fuori legge. Vennero fondate due istituzioni molto importanti, ovvero il Tribunale Speciale e l’Ovra. Il primo consisteva in un organo speciale del regime fascista competente nel giudicare i crimini commessi contro i fascisti e contro il partito. Questo condannò molti rappresentanti di sinistra o semplici simpatizzanti al confino ad Ustica, nelle Isole Tremiti e su luoghi difficilmente raggiungibili. L’Ovra, la cui sigla non è mai stata chiarita, era la polizia speciale o meglio, la polizia segreta che dal 1926 sino al 1943 controllò e represse tutte le organizzazioni esistenti nel territorio italiano: di fatto era l’organo che si occupava di controllare lo stato di polizia italiano e che mandava al tribunale speciale gli imputati. Questi due organi andavano infatti di pari passo. Nel 1928 venne varata una legge sul Gran Consiglio che ridusse i membri a vita ai soli quadrumviri: rimaneva comunque questo l’organo deputato a prendere le decisioni più importanti del regime, era sempre molto più importante rispetto al consiglio dei Ministri. Questa legge venne considerata dai più la costituente del consiglio, al quale venivano legittimati massimi poteri.

La monarchia come istituzione rimaneva il centro politico ma solo formalmente, anche perché Vittorio Emanuele III non si oppose mai ai voleri di Mussolini e alla pratica fascista e, rimanendo nell’ombra, legittimava e sosteneva il regime.

Avvenne in un momento della storia mussoliniana e del fascismo, che la Chiesa e il regime dittatoriale si dovettero confrontare. Nei primi anni del suo governo Mussolini non aveva lesinato le iniziative dirette a guadagnare le simpatie della Santa sede e della gerarchia ecclesiastica, escludendo però in altri modi il Partito popolare fondato nel 1919 da Don Luigi Sturzo. Il papa con cui Mussolini dovette confrontarsi era Pio XI, figura controversa per le sue mediazioni con le dittature fasciste (italiana e spagnola, nazista e comunista). Benito Mussolini aveva ben capito che per controllare le masse italiane era necessario che trovasse una forma di alleanza con il principale potere esercitato sulle coscienze: sin dall’instaurazione della sacra istituzione, il peso della religione cattolica romana rimase determinante all’interno della storia italiana e delle coscienze del popolo, in particolare delle masse contadine analfabete. Era necessario dunque nazionalizzare la Chiesa, una istituzione quest’ultima in grado di poter fermare l’avanzata fascista. Così il 9 febbraio 1929 vengono firmati i Patti Lateranensi, che prendono il nome dalla chiesa in cui vennero firmati ovvero quella di San Giovanni in Laterano. Il papa difese delle posizioni sulle quali Mussolini non riuscì a controbattere: i Patti dichiaravano che l’Istruzione Pubblica doveva essere basata su un sistema ideologico cattolico e che l’Azione Cattolica doveva essere una organizzazione riconosciuta su tutto il territorio nazionale. Di fatto l’Azione Cattolica era limitata nell’influenza sulle fasce giovani dall’Onb, dell’Organizzazione nazionale dei Balilla, i giovani fascisti. Il controllo della Chiesa era nelle mani dei fascisti: Pio XI non si oppose mai con particolare veemenza, tanto che qualche giorno dopo la firma dei Patti Mussolini dichiarò: “Lo stato italiano è fascista e cattolico, ma essenzialmente fascista.”

La soluzione della questione romana da parte del duce si era dimostrata un’abile stratagemma politico, infatti era caduto anche l’ultimo baluardo ideologico potenzialmente antifascista sul territorio nazionale. Dopo che Pio XI definì Mussolini “l’uomo che la provvidenza ci ha fatto incontrare” non ci potevano più essere dubbi. Scontri fra cattolici e fascisti si ebbero negli anni successivi, sempre per via del fatto che Pio XI rivendicava maggiore libertà di pensiero, e Mussolini la negava ripetutamente. A più riprese Mussolini abolì a vari gradi l’associazionismo cattolico perquisendone le sedi. Pio XI nell’enciclica Non abbiamo bisogno, condannò aspramente i sistemi fascisti di educazione giovanile e sottolineò che i giovani cristiani dovevano rifuggire la politica attiva. Numerosi  “scioperi” furono attuati specialmente nel Veneto, nelle Marche e nel Piemonte e, come segno di protesta, Pio XI dichiarò di non fare le processioni, in modo tale da ferire il sentimento popolare, e far perdere consensi al regime. La situazione tornò alla normalità quando Mussolini ritirò la denuncia di illegalità nei confronti dell’Azione Cattolica, limitandone comunque le attività sindacali e quelle sportive, tutte mansioni quest’ultime di competenza fascista.

Per quanto riguarda il sistema culturale il regime fascista, come poi quello nazista, attuò una politica nazionalista: tutto doveva essere prodotto e pensato all’interno dello stato italiano e doveva essere un’esaltazione dei valori del fascismo. Modelli classici e figure statuarie venivano di nuovo adottate per ricalcare ed eguagliare il prossimo impero fascista all’impero romano, al quale Mussolini si ispirava per la sua grandezza militare e territoriale. Basti pensare che il simbolo dei fascisti fu il fascio littorio, un’antica arma inventata dai romani e a cui il movimento stesso deve il nome. Il regime si assicurava ampie aree di sostegno da parte degli artisti, degli architetti, musicisti e registi grazie a particolari benefici che gli venivano riservati: nasce così la cultura propagandistica, un altro degli elementi fondamentali dell’espansione del regime. Ribadendo che in Italia non vigeva la libertà di stampa e di pensiero, e che tutto era fortemente analizzato dagli strumenti fascisti come l’Ovra, nel 1926 venne fondato l’Istituto Luce un organo predisposto alla produzione di documentari e di lungometraggi educativi e propagandistici che illustravano le istituzione del regime. Nel 1929 invece venne introdotta la radio, attraverso la quale andavano in onda le radiocronache delle manifestazioni fasciste. Dal punto di vista architettonico il fascismo attuò una forte politica dell’immagine: uno dei massimi esempi fu l’erezione del cosiddetto Foro Mussolini, un monumento faraonico costruito a Roma affianco all’odierno Stadio Olimpico, che sintetizzava il culto dell’educazione fisica e del corpo sano e vigoroso: vennero utilizzata 18.000 tonnellate di marmo di Carrara per un costo complessivo spropositato.


BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE

Pili W., La politica italiana fra la fine dell’ottocento e il primo ventennio del novecento: Giolitti e la guerra in Libia, www.scuolafilosofica.com, 2013

De Grand A., L’Italia fascista e la Germania nazista, CAP 1, Il Mulino, Bologna, 1999

 Sabbatucci – Vidotto, Il mondo contemporaneo, Edizioni Laterza, Bari, 2012


[i] De Grand A., L’Italia fascista e la Germania nazista, CAP 1, Il Mulino, Bologna, 1999


Wolfgang Francesco Pili

Sono nato a Cagliari nell’aprile del 1991. Ho da sempre avuto nelle mie passioni, la vita all'aria aperta, al mare o in montagna. Non disdegno fare bei trekking e belle pagaiate in kayak. Nel 2010 mi diplomo in un liceo classico di Cagliari, per poi laurearmi in Lettere Moderne con indirizzo storico sardo all'Università degli studi di Cagliari con un'avvincente tesi sulle colonie penali in Sardegna. Nel bimestre Ottobre-Dicembre 2014 ho svolto un Master in TourismQuality Management presso la Uninform di Milano, che mi ha aperto le porte del lavoro nel mondo del turismo e dell'accoglienza. Ho lavorato in hotel di città, come Genova e Cagliari, e in villaggi turistici di montagna e di mare. Oggi la mia vita è decisamente cambiata: sono un piccolo imprenditore che cerca di portare lavoro in questo paese. Sono proprietario, fondatore e titolare della pizzeria l'Ancora di Carloforte. Spero di poter sviluppare un brand, con filiali in tutto il mondo, in stile Subway. Sono stato scout, giocatore di rugby, teatrante e sono sopratutto collaboratore e social media manager di questo blog dal 2009... non poca roba! Buona lettura

2 Comments

  1. Federico Federico 15 Marzo, 2014

    Segnalo un simpatico errore di ortografia: coniglio o consiglio?
    Al capoverso: Il primo compito del governo di Mussolini . . . Gran coniglio del fascismo

    • Giangiuseppe Pili Giangiuseppe Pili 15 Marzo, 2014

      Correggiamo subito. Ma simili errori meriterebbero di essere conservati!! 😉 Ti ringrazio per la segnalazione. Se ce ne fossero di più, il sito migliorerebbe sensibilmente, per tanto, colgo l’occasione per invitarti e invitare tutti i lettori ad aiutarci a migliorare continuamente, proponendo problemi, segnalando refusi e inviandoci commenti costruttivi di critica e discussione.

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