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L’atomo sociale – Mark Buchanan

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L’atomo sociale è un libro edito da Mondadori nel 2008 ed è un saggio di “fisica sociale”, un termine che piacerebbe molto all’autore stesso. E’ un testo di divulgazione scientifica e non ha la pretesa di esaustività rispetto ai diversi ambiti considerati. Infatti, per tratteggiare le caratteristiche salienti dell’atomo sociale (cioè, dell’essere umano) Buchanan si avvale di studi di natura estremamente eterogenea: analisi delle strutture sociali, sociologia, fisica, psicologia, economia comportamentale. Il fine ultimo del lavoro è quello di riuscire a far emergere comportamenti complessi di reti sociali eterogenee a partire da una riduzione fondamentale dei comportamenti “semplici” dei singoli atomi. Stabilire i limiti e le potenzialità di un tale approccio è quanto cercheremo di trarre in questa sede.

L’atomo sociale parte dall’assunto che la società non è né deve essere considerata come un individuo intenzionalmente compatto. La società è un insieme di individui relazionati tra loro. Nel precedente e, per certi aspetti, più profondo Nexus Buchanan aveva mostrato come molteplici realtà fisiche totalmente disomogenee nella consistenza basilare (cioè delle parti elementari che le componevano) tendono a organizzarsi nello stesso modo: le reti a piccolo mondo sembrano dominare l’organizzazione spontanea di molti tipi di strutture casualmente ordinate, umane e non umane. Ne L’atomo sociale Buchanan cerca di trovare il fondamento elementare della scienza delle reti, più specificamente, delle reti sociali.

Tuttavia, Buchanan rifugge da almeno due modelli potenziali disponibili nella letteratura classica della sociologia (Buchanan non considera le molteplici possibilità teoriche offerte da antica e recente tradizione filosofica che molto ha da dire su simili argomenti): (1) il modello narrativo storiografico e (2) il modello a priori. Il modello narrativo storiografico considera le società come individui e ricostruisce l’evoluzione delle società in modo globale, non di dettaglio e riconsidera il peso dell’individuo rispetto al complesso dell’attività sociale, considerata come un complesso organismo non integrato con le sue cellule fondamentali. Il modello a priori della sociologia consiste nel prendere alcuni macrofenomeni e spiegarli in virtù di condizioni e descrizioni di dettaglio, le quali fanno apparire gli atomi sociali sostanzialmente irriducibili. I due modelli divergono nel tipo di analisi fornita ma convergono nel fallimento predittivo e nell’impossibilità di rintracciare l’essere umano nella sua semplicità. In altre parole, sia il modello storiografico che il modello sociologico si pongono agli antipodi: o considerano l’essere umano come intrattabile singolarmente o lo considerano più importante del dovuto (modello storiografico) oppure considerano l’essere umano in una molteplicità di dettagli che non riescono, poi, a fondarne una possibile generalizzazione. Entrambi i modelli non consentono di fondare una “fisica sociale”.

Buchanan, invece, rivendica la possibilità di rintracciare alcuni elementi fondamentali dell’atomo sociale, che rimane sostanzialmente intrattabile in gran parte dei casi, ma sembra che nell’organizzazione complessiva esso sia più omogeneo di quanto appaia ad un’analisi con la metodologia storiografica o sociologica classica. Buchanan insiste molto su questo punto: l’organizzazione complessiva del comportamento delle reti sociali è molto più omogenea, almeno in particolari casi, rispetto a quanto potrebbe apparire, ed appare, alla luce delle analisi classiche. Per questa ragione, egli mostra vari contesti in cui modelli che considerano l’atomo sociale in modo estremamente semplificato riescono, effettivamente, a riprodurre e predire (nel migliore dei casi) il comportamento effettivo degli esseri umani.

La costruzione dei modelli di “fisica sociale” deve ricalcare in qualche modo la scienza fisica: postulazione di ipotesi semplici sull’atomo sociale, regole di formazione del modello, verifica del funzionamento del modello e formulazione della tesi. La verifica delle ipotesi viene effettuata, quasi sempre, attraverso simulazioni al computer. E questo è uno dei principali punti problematici della questione. Ad ogni modo, Buchanan caratterizza l’atomo sociale secondo le seguenti caratteristiche: l’atomo sociale ha razionalità limitata e opera secondo modelli di apprendimento adattivo; egli procede attraverso sistemi di autoregolazione e impara per errori e tentativi; egli tende ad imitare il suo vicino nella misura in cui non ha ragioni per non farlo perché ha una soglia critica di “resistenza all’imitazione in mancanza di informazione”; egli risulta cooperativo se non riconosce in ciò un limite intrinseco al suo egoismo.

Il risultato è che l’atomo sociale risulta essere fortemente aggregativo (imitazione e adattamento) ma in modo relativamente disorganico. Inoltre, la razionalità limitata e l’informazione incompleta spingono l’atomo a sistemi di analisi che si sostanziano sulla possibilità di gestione dei suoi limiti intrinseci: ciò risulta essere estremamente più efficiente rispetto a tentativi di colmare tramite un ragionamento seriale ed esaustivo le proprie lacune inferenziali piuttosto che informative.

Buchanan è un fisico americano e questo si ritrova in molti punti del lavoro. Prima di tutto, nella sua ingenuità filosofica. Infatti egli non sembra rendersi conto di quanto le sue assunzioni possano dare adito a problemi di tipo argomentativo. Un punto cardine: perché le simulazioni al computer dovrebbero valere come prova del comportamento di esseri umani? Proprio per la sua stessa concessione della semplificazione drastica dei modelli adottati e testati al computer, perché tale simulazione vale come prova? Inoltre, le sue spiegazioni dei comportamenti complessi degli attori sociali nel passato continuano ad essere di natura narrativa, con la sola differenza che al posto di avere “società” come soggetti sociali ha singoli esseri umani (ma non sempre, come dimostra il caso delle società economiche che invasero una strada di una città americana apparentemente senza motivo). Infatti, il problema è evidente: o i modelli sono troppo semplici, ma consentono di non avere descrizioni narrative oppure i modelli sono su descrizioni narrative ma i modelli risultano molto meno semplici. Il risultato è che, in entrambi i casi, ci sentiamo insoddisfatti, se ragioniamo nei termini di Buchanan.

C’è un’altra considerazione che bisogna tener conto. Buchanan attacca in più di una circostanza il metodo storiografico classico, bollandolo di “narrativa”. In altre parole, quello che gli storici fanno non è altro che costruire un bel romanzo verosimile. Vien da chiedersi quanta dimestichezza Buchanan abbia della storiografia. Infatti, la storiografia pure procede per metodo adattivo, inteso a la Buchanan! Primo, la narrazione classica si fonda sul principio di rivedibilità teorica, che consente di falsificare una posizione qualora si scoprano verità storiche rilevanti. In secondo luogo, essa si fonda sull’ampliabilità ab libitum dei sistemi di proposizioni assunte, sicché procede per ipotesi, verifica delle ipotesi nelle fonti, ampliamento e controllo. La storia si avvale sempre più spesso di analisi molto eterogenee, sicché è in grado di tener conto di una molteplicità di fattori impensabile ad ogni altro tipo di riduzione modellistica. Il che potrà essere un difetto, in termini di predittività: ma la storia si fonda sullo studio del passato, che si suppone irripetibile, almeno nella misura in cui ci chiediamo se Giulio Cesare varcò davvero il Rubicone: la domanda non è se ci sarà un altro Cesare che varcherà nuovamente il Rubicone, sicché c’è ben poco da predire.

Lasciando, poi, perdere il fatto che la “storiografia” è un mare di letteratura abbastanza eterogenea. Ma anche se fosse tutta uguale, rimane un’evidenza: che essa è in grado di conservare molte verità rilevanti sul passato, che è esattamente lo scopo della storia. Non soltanto. Il punto è che la tipologia di fatti considerati è amplissima e consente di ripensare agli eventi passati con un alto grado di dettaglio. Il che sarebbe semplicemente impensabile, se ragionassimo nei termini dei poveri modelli a la Buchanan. In sostanza, o Buchanan non conosce la storiografia abbastanza bene oppure la conosce ma non è interessato alle sue analisi. In entrambi i casi, risulta una posizione insufficiente. E c’è un ultimo fatto curioso. Molto storici forniscono ricostruzioni abbastanza simili a quelle di Buchanan, anche se in modo narrativo e senza simulazioni al computer. Ma il caso di Victor Davis Hanson, che fece vestire i suoi studenti come opliti per verificare il tempo potenziale di durata di una battaglia, sembra andare in una direzione, se non identica, comunque vicina a quelle di Buchanan. Sicché, anche in questo Buchanan sembra non voler prendere abbastanza sul serio una delle discipline più elastiche che si conoscono: più elastiche proprio perché le prove storiche sono molto più ampie di quelle che Buchanan considera, secondo lui (ma ne considera?), valide per gli storici. Ma questo è un limite di Buchanan, non della storiografia.

Il libro, dunque, vuole riuscire a mostrare come modelli sociali estremamente sofisticati possano essere costruiti postulando atomi sociali abbastanza semplici. Ma sono poi così semplici? Egli assume una molteplicità di caratteristiche che, tutto considerato, non sono poi così “elementari”, soprattutto se riunite tutte insieme.

Comunque, il lavoro risulta essere un buon coagulo di idee utili per chi voglia approfondire. E questo è un grande merito, perché consente alla critica di esercitare il suo pensiero su materiale interessante, concentrandosi su informazioni salienti e ben selezionate. Tuttavia, se si vuole prendere sul serio il peso dell’opera di Buchanan, allora si compirebbe un errore assai grave. Ma lo stesso Buchanan non lo approverebbe perché sa di fare una apologetica della scienza applicata alla sociologia. Tutto bene, dunque, se si rimane con i piedi per terra e non si scambiano i modelli per la verità. La luce del faro non è né la nave che ne beneficia né il faro in sé stesso. E questo bisogna saperlo.


Mark Buchanan

L’atomo sociale

Mondadori

Pag.: 229.

Euro: 18,00.


Giangiuseppe Pili

Giangiuseppe Pili è Ph.D. in filosofia e scienze della mente (2017). E' il fondatore di Scuola Filosofica in cui è editore, redatore e autore. Dalla data di fondazione del portale nel 2009, per SF ha scritto oltre 800 post. Egli è autore di numerosi saggi e articoli in riviste internazionali su tematiche legate all'intelligence, sicurezza e guerra. In lingua italiana ha pubblicato numerosi libri. Scacchista per passione. ---- ENGLISH PRESENTATION ------------------------------------------------- Giangiuseppe Pili - PhD philosophy and sciences of the mind (2017). He is an expert in intelligence and international security, war and philosophy. He is the founder of Scuola Filosofica (Philosophical School). He is a prolific author nationally and internationally. He is a passionate chess player and (back in the days!) amateurish movie maker.

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