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Capitolo 28. L’inizio dell’uomo: la sua nascita

Prarthana1830590, CC BY-SA 4.0 <https://creativecommons.org/licenses/by-sa/4.0>, via Wikimedia Commons

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Veniamo al tema della nascita umana in quanto espressione, non più a livello cosmico e piuttosto individuale e collettivo, della vittoria dell’essere sul non-essere, della luce sulle tenebre. Il legame tra la singola esistenza e il Tutto, o l’insieme di tutte le esistenze, sembra essere molto stretto secondo il pensiero vedico. Per capirlo basta analizzare la motivazione con cui si attribuisce la proprietà della sacralità all’atto di generazione e nascita dell’uomo.

Il quadro generale è il seguente. Se la nascita dell’uomo (ma leggi: del singolo uomo) è al contempo la nascita dell’universo, ne consegue l’equivalenza pratica tra singolo uomo generato e singolo uomo generato più tutto ciò che esiste. Dunque, il peso che grava sulla coppia decisa e vogliosa di generare un figlio è un peso pari a quello dell’universo intero. Da un punto di vista psicologico, per chi non accettasse l’universo, il peso si rivelerebbe schiacciante. Per chi invece si ponesse nei confronti dell’esistente in stato di accettazione, attiva (?) o passiva, il peso sarebbe lieve, pari al peso di una ulteriore conferma dei propri sentimenti di adeguatezza nell’universo o dei propri sentimenti legati alla necessità del Tutto. Desiderare un figlio è allora desiderare il mondo e, con il mondo, ancora una volta è desiderare sé stessi. Generare un figlio è accettare l’esistente, poiché con la nascita del figlio si è di fatto e nuovamente generato l’universo. L’atto è così fondamentale che non può non rientrare nella sfera del sacro. Come sacra fu, è, e sarà la generazione dell’universo, sacra è la generazione del figlio. La generazione di un figlio è sacra poiché in sé contiene qualcosa di estremamente alieno e infinitamente grande, nei confronti del quale la donna generatrice, pur ricoprendo il ruolo di madre Terra nei confronti delle sue creature, è portata immediatamente a sentire la propria posizione come inferiore, quasi fosse essa stessa un meccanismo di accettazione, una piccola scintilla che genera un incendio all’interno di un incendio molto più spaventoso che è lo stesso incendio creato. Questo tipo di relazioni da una parte appaiono paradossali, ma dall’altra hanno un certo senso intuitivo. Questi misteri ci sono al contempo familiari ed estranei, come è proprio apparirci il regno del sacro.

Di seguito, l’analisi di alcuni passi (Rg-veda X,183; Atharva-veda VI,17; Brhadaranyaka-upanisad VI,4,22-24; Aitareya-upanisad II,1-6), ci permetterà di comprendere meglio la concezione vedica dei diversi movimenti necessari alla procreazione e la già accennata egualianza tra la generazione del Cosmo e la generazione del singolo uomo.

Come sembra ovvio, o, meglio, dovrebbe sembrare ovvio se fosse anche vero, la generazione di un figlio segue da una specifica volontà dei genitori. La volontà è mossa da un desiderio, che in parte sembra essere interno all’individuo che diverrà genitore, in parte esterno. E’ come se a muovere la volontà del futuro genitore concorresse un desiderio e una forza esterna, una forza cosmica, un momento del lungo processo attraverso il quale il Tutto riprodure costantemente sé stesso, necessario e motivante come motiva un vincolo insuperabile. Non è un caso che le figure coinvolte nella generazione di un essere umano non siano due, bensì tre: il padre, la madre, e Prajapati. L’uomo e la donna portano il loro proprio carico di desiderio. Prajapati è lo Spirito divino che permette il movimento ordinato e benriuscito della generazione.

L’uomo e la donna sono entrambi “desiderosi di un figlio” (putrakama). Entrambi meditano con il cuore, in modo emotivo, di generare nuova vita, e così di generare sé stessi. I futuri genitori sono guidati da tapas, che è l’ardore fiammeggiante. In una scorsa pubblicazione abbiamo già avuto modo di notare la ricca complessità di questo concetto. Tapas si riferisce a qualcosa che, veramente, sta al fondamento del Tutto. Tapas è sostanzialmente un principio di realtà: è fuoco, e come tale è un elemento di trasformazione, ovvero di generazione. E’ esso a trarre, per mezzo di una trasformazione, qualcosa dal nulla. In quanto principio, l’ardore provoca certamente una trasformazione ma questa trasformazione è dramma, ovvero sacrificio, vita e morte. Così accade anche per la generazione del singolo uomo, poiché il figlio nascente è al contempo la continuazione e la morte del padre.

La grande forza generatrice, umana e cosmica, interna ed esterna al contempo, costituisce e muove il desiderio di generazione nell’uomo. Ma non basta. Serve un’ultima spinta da parte del dio Prajapati, che di sé stesso dice:

Io sono colui che ha messo un seme in ogni pianta; / io sono colui che ha messo un seme in tutte le creature; / io sono colui che genera bambini sulla terra. / Io d’ora in avanti produrrò sempre figli nelle donne!

La creazione di una pianta è la creazione di un bambino. La creazione di un bambino è la creazione del Tutto. Il passo dell’Atharva-veda è particolarmente esplicito. La dinamica secondo la quale la donna viene fecondata e partorisce un figlio è la medesima dinamica che governa la generazione da parte della Terra degli alberi, delle montagne, di tutta la vita e di tutte le cose. Come la Terra genera così lo fa la donna. Non vi è distinzione. Vi è eguaglianza e non solamente somiglianza. La generazione dell’uomo, di questo uomo particolare, è la generazione del Cosmo. Questo concetto è ripetuto nel passo rituale tratto dalla Brhadaranyaka-upanisad, con parole incantate di preghiera:

Come la terra porta fuoco nel suo grembo / e l’atmosfera è gravida di fulmini [indra] / e le regioni hanno il vento come loro seme, / così io metto in te, mia sposa [qui andrebbe pronunciato il nome della sposa], questo bambino. / Come il vento agita uno stagno / di loto da ogni parte, / così possa il bambino muoversi in te / e fuoriuscire insieme alla placenta!

Nel passo riportato abbiamo non solamente la conferma che per il pensiero vedico nascita dell’uomo e nascita dell’universo coincidono nella sostanza e nei modi in cui si danno, ma anche l’augurio che tale dinamica generativa non venga disturbata. I futuri genitori pregano affinché la loro creatura venga alla vita in armonia con i processi vitali dell’universo. Dal generale al particolare senza soluzione di continuità. Grandi e agitate forze creano e sostengono continuamente l’esistente, in un ininterrrotto movimento di creazione, e l’uomo si augura che il processo di nascita del suo piccolo uomo possa seguirne le logiche, che l’anima dell’individuo possa crescere nei modi in cui cresce e vive l’anima universale.

Il passo della Aitareya-upanisad introduce alcuni elementi caratteristici ma di complessità. Abbiamo una descrizione dei passaggi che il sé di colui che viene al mondo deve compiere. Curiosamente la nascita non è solo una, ma sono tre. La prima nascita avviene al momento della fecondazione. La prima forma embrionale ha già un sé, forse quello del padre o forse già quello del figlio, o, forse, in questa fase non c’è una reale distinzione tra i due, tanto che il sé del figlio entra presto nel sé della madre come una sua parte. Dalla e nella madre trova nutrimento, e dal padre, che protegge la madre, viene protetto. Una volta che il figlio nasce alla luce del mondo, rimane nella continua protezione dei genitori. Questa è la seconda nascita. Il sé del figlio e quello del padre rimangono uniti, e si può dire che il padre vive nel figlio. Una volta morto, il padre, a cui apparteneva il sé del figlio, nasce a nuova esistenza. E questa al contempo è la terza nascita del figlio. Il percorso, poco chiaro, di nascite e rinascite ne incrocia un altro, esposto in Satapatha-brahmana (XI,2,1,1). Nel passo a cui facciamo riferimento viene detto, più chiaramente, che la prima nascita è quella che avviene con la generazione da parte di una madre e di un padre; la seconda nascita avviene attraverso l’iniziazione (oppure, secondo una certa interpretazione, alla morte, almeno simbolica, del padre); la terza avverrebbe con la propria morte, ed è radicalmente una nascita a nuova esistenza. Possiamo pensare che, poiché il sé del figlio diventa ad un certo punto il sé del padre, il padre, morendo, e, dunque, nascendo per la terza volta, nasca nuovamente nel figlio. Perché succeda questo, ovviamente, si deve verificare una situazione tale per cui ad ogni uomo corrisponda un padre, ovvero un figlio. Non è dunque immediatamente comprensibile cosa sia da intendere per nascita a nuova esistenza. Oppure c’è da chiedersi se proprio tutti gli uomini nascano tre volte.


Francesco Margoni

Assegnista di ricerca presso il Dipartimento di Psicologia e Scienze Cognitive dell’Università di Trento. Studia lo sviluppo del ragionamento morale nella prima infanzia e i meccanismi cognitivi che ci permettono di interpretare il complesso mondo sociale nel quale viviamo. Collabora con la rivista di scienze e storia Prometeo e con la testata on-line Brainfactor. Per Scuola Filosofica scrive di scienza e filosofia, e pubblica un lungo commento personale ai testi vedici. E' uno storico collaboratore di Scuola Filosofica.

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