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Capitolo 8. Hiranyagarbha – preghiera e lode al dio della creazione

Prarthana1830590, CC BY-SA 4.0 <https://creativecommons.org/licenses/by-sa/4.0>, via Wikimedia Commons

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Consigliamo I veda – Capitolo 1


Il passo è preso dal Rg-veda (X,121), ed è in sostanza una preghiera e un inno di lode e glorificazione al dio primo, responsabile della creazione (Signore delle creature = Prajāpati). A questo dio, l’unico a pervadere (paternamente) tutto ciò che è vivente (il che sta a dire che esso è la fondamentale condizione necessaria delle forme viventi), viene chiesto di esaudire i propri desideri, così da venire in possesso di molti doni (rayi, tesori; la cui sostanza non viene comunque esplicitata).

Una traduzione letterale degli ultimi due versi dell’inno è questa: ciò che noi offriamo a te [nel sacrificio], desiderandolo, concedi che sia nostro; possiamo noi essere possessori di doni.

Il che, mi pare di poter dire senza incorrere in errori, equivale a chiedere alla divinità, padre di tutte le divinità e di tutti gli esseri viventi, di ricambiare nella misura e nella sostanza di ciò che ad essa e per essa si è sacrificato. Ma se così fosse, pragmaticamente parlando, l’atto del sacrificio sarebbe, posta la scommessa sul ritorno da parte della divinità di quanto avuto come abbastanza sicura o priva di rischio reale, e comunque nel migliore dei casi, inutile. A meno di non intendere quest’atto diversamente, ovvero come una richiesta di legittimazione su quanto si possiede piuttosto che una richiesta di ulteriore bene (materiale o immateriale, qui la questione su cosa sia questo bene è del tutto ininfluente). Ovvero, non si riesce a comprendere il motivo di seguire una strada così complessa per tornare nei migliore dei casi alla situazione di partenza, a meno di non teorizzare che la strada percorsa fosse creduta in grado di portare un cambiamento, positivo, rispetto alla situazione di partenza. E poiché abbiamo detto che il cambiamento non può essere relativo alla quantità di bene posseduto, allora sembra ragionevole ipotizzare che il cambiamento dovesse riguardare la qualità di quel bene, ovvero la sua legittimazione: il bene che si riceve (e che dunque non si prende da sé stessi), proprio perché lo si riceve dalla divinità, acquista la qualità ulteriore di essere posseduto legittimamente, ovvero senza torto (anche nello stato di natura, per quanto l’uomo consideri adeguato conformarsi alla legge del più forte, dunque all’uso della violenza, sente comunque il bisogno di legittimare la sua posizione nei confronti del bene strappato al prossimo, uomo o natura). Il bene strappato alla natura, di cui, pensa l’uomo vedico, non è padrone l’uomo bensì il dio, deve, per essere posseduto dall’uomo con legittimità, essere disposto dal dio. E poiché l’uomo non vede dio se non confusamente, allora deve ricorrere al gesto ben visibile del sacrificio per assicurarsi che egli gli ceda la legittimità dello sfruttamento della natura.

L’inno unisce versi che descrivono la formazione nel tempo della realtà, a versi che definiscono il dio che l’uomo recitante si promette di adorare, e a cui promette il sacrificio. Per chiarezza distinguiamo e separiamo i due temi, anche se sono chiaramente legati, dal momento che il dio, a cui è rivolta la preghiera e la lode, è lo stesso dio responsabile della formazione della realtà vivente.

In principio sorse il Germe d’Oro / Egli fu, non appena nato, il Signore dell’Essere, / sostenitore della Terra e di questo Cielo. / […] Quando le Acque potenti giunsero, portando con sé / il Germe universale, da cui scaturì il Fuoco, / allora venne in essere l’Unico Spirito di Dio. / Questo Uno che nella sua potenza abbracciò con uno sguardo le Acque / pregne di forze vitali, che generano il sacrificio, / Egli è il Dio degli Dei e nessuno è pari a lui.

Il Germe d’Oro è semplicemente l’atto iniziale della creazione, è d’Oro per ragioni evidenti: è il primo, da esso viene tutto il creato, è in potenza tutto ciò che verrà poi in atto etc. Quando, in  sede critica o esplicativa, del Germe d’Oro si danno traduzioni o riduzioni terminologiche come «la sorgente della luce dorata» o «il Dio Sole», non si ha veramente dato una spiegazione, piuttosto si è reiterata la confusione e la vaghezza intorno al termine. Il Germe d’Oro non è né la sorgente della luce dorata né il Dio Sole, ma semplicemente è un’espressione (poetica o, perlomeno negli intenti, suggestiva) usata per indicare il primo prezioso incominciamento della realtà. Egli dovrebbe riferirsi al dio primo. Dunque, al principiare delle cose, il dio stesso acquistò vita e subito divenne il signore di tutto ciò che veniva all’essere, così ne divenne anche il sostenitore, ovvero la condizione necessaria. I passi restanti potrebbero voler dire che il dio fu implicato nel processo di creazione, quando questa incominciò per così dire a muoversi, che, in altre parole, il dio a cui è rivolto l’inno, il Dio di tutti gli dei, è colui il quale è responsabile di aver dato origine al movimento e al mutare delle cose. Questo dio, pur restando uno, partecipò e financo rese possibile il moltiplicarsi delle potenze e delle esistenze.

Veniamo ora a definire meglio il Signore delle creature, il primo dio, il Dio degli dei. Eccone una breve descrizione tratta dagli elementi forniti dall’inno: Egli è un creatore, al cui atto creatore e al cui ordine in generale sono subordinati le stesse divinità; Egli è l’entità il cui operato rende possibile la vita nel suo generarsi infinite volte, e dunque, necessariamente, anche la morte o le morti (questo credo sia il senso delle parole: la cui ombra è vita immortale, e morte); Egli è veramente il sovrano unico di ogni essere vivente, divino, umano ed animale; Egli è il padrone del Cielo e della Terra e di tutto ciò che ad esse appartiene, d’altra parte egli è responsabile del loro mantenimento e della loro sussistenza.


Francesco Margoni

Assegnista di ricerca presso il Dipartimento di Psicologia e Scienze Cognitive dell’Università di Trento. Studia lo sviluppo del ragionamento morale nella prima infanzia e i meccanismi cognitivi che ci permettono di interpretare il complesso mondo sociale nel quale viviamo. Collabora con la rivista di scienze e storia Prometeo e con la testata on-line Brainfactor. Per Scuola Filosofica scrive di scienza e filosofia, e pubblica un lungo commento personale ai testi vedici. E' uno storico collaboratore di Scuola Filosofica.

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