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Capitolo 22. Agni

Prarthana1830590, CC BY-SA 4.0 <https://creativecommons.org/licenses/by-sa/4.0>, via Wikimedia Commons

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Consigliamo – Di Francesco Margoni I veda – Capitolo 1


Agni, il Fuoco, è, per noi, che crediamo sentire come sentirono gli antichi, una delle metafore o delle figure più interessanti e affascinanti del pensiero vedico. In questo scritto, oltre a dire qualcosa per fissare la figura di Agni, proverò a spiegare alcuni motivi della nostra fascinazione per essa. L’inno di riferimento è I,145 dal Rg-veda.

Agni è il dio che tutto conosce, dal momento che la sua mente tiene in unità coerente la comprensione di tutte le cose (la sua mente ha afferrato tutte le cose. Egli va / […] con la mente composta), è il dio dalla somma saggezza e potenza, ed è anche, tra gli dei, quello più vicino e disponibile all’essere umano. Egli è, per l’uomo, disponibile fonte di consiglio e consultazione. I testi dicono: «egli solo ode le mie parole», intendendo, con ciò, che Agni, centralmente e necessariamente coinvolto nell’opera sacrificale umana preposta alla comunicazione con la sfera divina, è la componente imprescindibile – Egli è “fuoco sacrificale” – per la trasmissione delle deboli parole umane al dio. In questo senso il mezzo di comunicazione non è pensato dall’uomo vedico come un tramite passivo, altresì, attivo e benevolo nei confronti dell’uomo. Agni è colui che trasmette il sacrificio. Senza la sua mediazione l’uomo non potrebbe affacciarsi con successo allo spazio del sacro. Il trascendente ha in sé stesso la possibilità di essere messo in relazione con l’immanente. Lo spazio del trascendente contempla in sé la possibilità di essere penetrato dall’immanente, d’altra parte sappiamo come questi due piani siano sempre sovrapposti e tra loro integrati nel pensiero vedico.

Dio del sacrificio, o Signore, messo degli uomini sei tu (Rgveda I,44,9); O Onniscente, possano le tue fiamme che trasmettono / le oblazioni agli dei guidare il nostro sacrificio (Rgveda X,188,3).

Agni intrattiene una complessa relazione con il simbolo del fuoco. Innanzitutto è fuoco sacrificale, dunque potenza in grado di trasportare un contenuto materiale (che sia burro che fonde o parole pronunciate dall’uomo) di modo ch’esso arrivi al dio a cui è offerto, ch’arrivi forte e chiaro per così dire. Agni trasforma tale contenuto materiale, al fine di operare il passaggio magico da una realtà immanente a una realtà trascendente, dal materiale allo spirituale.

Il fatto di essere fuoco, per Agni, significa anche e soprattutto essere il dio del mutamento, del divenire di tutte le cose. Bruciare è consumare, trasformare, sciogliere e carbonizzare, in sostanza, rendere possibile il cambiamento. Agni è il dio del divenire delle cose.

Infine, il fuoco è un simbolo di potenza e di luminosità, degno, dunque, di indicare un sommo dio. Per lo meno la valenza emotiva di quest’ultima osservazione può essere compresa guardando, di notte, in solitudine, un fuoco che consuma la legna. L’osservazione d’un fuoco può rendere possibile, all’uomo contemporaneo, la comprensione della fascinazione e del senso di affabile mistero che deve aver provato l’uomo vedico, e in generale antico, nei confronti del gioco delle luci e dei suoni d’un fuoco che consuma. L’immagine di naturale forza e capacità di cambiamento, il sereno potere di trasformazione ch’è al contempo potere animante le cose, ebbene, quest’immagine s’impone a una mente che riposa attorno ad un focolare. Tanto più se questa mente appartiene ad un uomo per il quale il fuoco, il fuoco vivo e visibile, il fuoco che brucia legna al centro della casa o tra le case, che sfama con cibi caldi e protegge dai pericoli della notte, dicevo, tanto più se questa mente appartiene all’uomo nomade o seminomade, per il quale il fuoco è sinonimo di appartenenza ad un luogo molto più che il luogo stesso.

Agni consuma la legna, ma al contempo scalda l’uomo che, per tale motivo, si avvicina ad esso. Il rapporto che si instaura tra uomo e fuoco è un rapporto di intima vicinanza, che da fisico diventa presto spirituale. Non sorprende che l’uomo vedico abbia pensato di rivolgersi, per ottenere il favore e la comprensione degli dei, proprio al fuoco, sentito come forza amica, certamente preposta al cambiamento e al divenire, dunque anche alla morte e alla consumazione delle cose, uomo compreso, ma in questo senso preposta in modo non tanto ostile quanto piuttosto necessario, al fine del darsi della vita e del suo continuo e positivo rinnovarsi.

Il fuoco, permettendo la comunicazione con il divino, ch’è anche e soprattutto comunicazione interessata volta all’ottenimento di beni e piaceri, dunque di felicità, è esso stesso qualificato come donatore di beni e piaceri, ma crediamo – e già l’abbiamo detto – con questo preciso senso: donatore di beni in quanto forza amica e nondimeno necessaria alla trasmissione del sacrificio, unico atto in grado di stimolare le forze divine nella loro bontà verso l’uomo.

Se Agni è, ancora oggi, per l’uomo occidentale contemporaneo, una figura possibilmente dotata di fascino, lo è, a nostro avviso, per un precisa ragione: il simbolo che lo indica, il fuoco, è qualcosa che, da una parte può essere sperimentato dall’uomo nell’intimità della vicinanza fisica, e dall’altra, soprattutto, è dotato d’una realtà in grado di stimolare, universalmente, grazie alle caratteristiche proprie d’ogni sua manifestazione, una serie di risposte, da parte dell’uomo, dalla forte ma rasserenante connotazione emotiva. È in sostanza la fascinazione data da un normale fuocherello che rende interessante e comprensibile la riflessione pre-razionale sul fuoco come simbolo del divino, seppur questa comprensione si dia, oggi, necessariamente all’interno di un quadro concettuale e interpretativo che riduce le idee vediche sul divino ad una razionalizzazione a posteriori d’una impressione emotiva. Non dovremmo comunque essere troppo spaventati da tale riduzione, poiché essa non sembra essere veramente in grado di togliere fascino o mistero a quelle antiche ma attuali idee.


Francesco Margoni

Assegnista di ricerca presso il Dipartimento di Psicologia e Scienze Cognitive dell’Università di Trento. Studia lo sviluppo del ragionamento morale nella prima infanzia e i meccanismi cognitivi che ci permettono di interpretare il complesso mondo sociale nel quale viviamo. Collabora con la rivista di scienze e storia Prometeo e con la testata on-line Brainfactor. Per Scuola Filosofica scrive di scienza e filosofia, e pubblica un lungo commento personale ai testi vedici. E' uno storico collaboratore di Scuola Filosofica.

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