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Epitteto – Vita e Opere


Vita

Epitteto nacque attorno al 50-60 dopo Cristo. Molto probabilmente fu schiavo dalla nascita a servizio del liberto Epafrodito. La tradizione diverge nel riportare l’esperienza dello schiavo: c’è chi sostiene che ebbe un trattamento giusto, chi, per contrario, che n’ebbe uno irriguardoso. Tuttavia, si è certi che Epafrodito stimasse Epitteto per le sue indiscusse qualità morali. Probabilmente, perché Epitteto non era un uomo avezzo alle furberie proprie di quegli uomini che sogliono arrangiarsi come possono: egli stesso porta ad esempio il caso del servo negligente e furfante e del padrone truffato che, però, non è giustificato a tribolarsi per ciò. Nel 68 viene liberato e incomincia a professare la sua dottrina a Roma ed ha un certo seguito. La sua scuola è aperta anche alle donne, come nel caso degli epicurei e, d’altra parte, non si trova traccia di disuguaglianza tra i sessi nei discorsi di Epitteto che, invece, sembra invocare una parità filosofica più ampia e più giusta. E’ costretto ad emigrare dalla capitale del mondo per via dell’editto di Domiziano, una legge poco conosciuta e non sufficientemente documentata nei libri di storia dei licei, che vietava la libertà di parola filosofica in Roma. Epitteto, non essendo in suo potere rimediare alla legge ma essendo nelle sue possibilità continuare l’insegnamento altrove, preferisce dirigersi in altro luogo per professare liberamente la sua filosofia. Egli arriva sino a Nicopoli, città dell’Epiro, e lì vi rimane fino alla morte, avvenuta tra il 135 e il 145 dopo Cristo.

Le sue opere vengono riportate dal suo discepolo, storico e uomo politico Arriano.

Filosofia

Filosofia della natura

Epitteto, a differenza di altri stoici, accetta, senza soffermarsi troppo, sulla costituzione del cosmo e della natura in quanto tale. Egli assume che il cosmo sia ciclicamente destinato alla distruzione. L’accadimento fisico è, tuttavia, governato da un finalismo immanente, parte dell’intero meccanismo naturale. La realtà è in evoluzione positiva giacché i cambiamenti sono all’insegna della costituzione di un ordine razionale e duraturo. Nella natura non c’è un evento che non sia, a sua volta, parte dell’intero movimento indirizzato verso una progressiva realizzazione della razionalità immanente. Su questo finalismo metafisico immanente si basa l’edificio morale stoico e la prassi del saggio.

Filosofia morale

La filosofia di Epitteto, soprattutto ne Le massime, si configura come una prassi che promette la liberazione dell’uomo dai mali della vita. La filosofia stoica percorre per intero il periodo storico tracciato dalla comparsa dell’impero romano e diventa, insieme all’epicureismo, la corrente filosofica dominante: uomini di stato del calibro di Arriano, Marco Aurelio adottano la filosofia stoicista. L’impero, così vasto e imponente, riporta a galla i problemi della dispersione dell’individuo, già presenti nel passato dei regni alessandrini, e la conseguente sensazione di finitezza e limitazione dei singoli.

La filosofia stoica, però, rifiuta un’impostazione dominante, come i “sistemi” di Platone e Aristotele, ma si configura come pensiero parzialmente marginale, le cui indagini si focalizzano attorno a riflessioni che non finiscono per generare grandi edifici concettuali ma danno origine ad una profonda tradizione di pensiero le cui propagini si possono rintracciare, in senso profondamente attivo, fino a Spinoza e la cui rivendicazione di importanza sarà fissata canonicamente dall’Hegel, storico della filosofia.

La filosofia morale di Epitteto si fonda su alcuni assunti centrali: in primo luogo, l’uomo vive all’interno della realtà, nella quale ha capacità di limitate; in secondo luogo, l’uomo ha la possibilità di liberarsi dai problemi che maggiormente lo rendono infelice; in terzo luogo, la filosofia è l’unica base su cui fondare in modo certo la propria liberazione.

La natura è determinata da un fato illuminato da una ragione immanente, che permea la realtà tutta. La natura, dunque, non è un cieco destino ma retta via da seguire. Tuttavia, è possibile fare resistenza al proprio destino, come nella tragedia di Edipo: ma, come accadde in quel caso, questa è la strada sbagliata. La virtù nasce dall’adeguarsi alla realtà. Per Epitteto, infatti, l’uomo ha risorse limitate perché solo alcuni fatti sono sotto il suo controllo: le proprie opinioni, i propri pensieri, i propri desideri. Mentre molte altre non lo sono: il proprio corpo, le opinioni degli altri, i desideri altrui e le cause naturali esterne. Di conseguenza, la maggior parte degli accadimenti in natura sono fuori dalla nostra portata ma sono anche quei mali che, generalmente, ci affliggono nella vita: una malattia, una parola sbagliata, un errore di valutazione degli altri, un fallimento di qualcuno nonostante le nostre speranze.

Il problema principale consiste nel raggiungere la consapevolezza che il male, qualunque esso sia, non è un male in sé stesso ma per sé stesso. In altri termini, il male è un accadimento fisico il cui danno è relativo, ma non assoluto. La natura è fatta bene e, per tanto, essa non può essere indirizzata verso il nostro male, in senso sistematico, ma solo in senso accidentale. Stando così le cose, bisogna sforzarsi, per quanto possibile, di scindere i fatti dalle loro conseguenze e, soprattutto, da quelle proprietà inessenziali che, però, costituiscono esse stesse la base delle nostre preoccupazioni: se dovessimo perdere la gamba, il maggior problema starebbe nel pensiero di doverla perdere e nella conseguente inchiesta intellettuale sulle conseguenze di ciò nella nostra vita; saggio sarebbe, invece, considerare questo avvenimento come parte di quel mondo fisico indipendente da noi, finalizzato verso il meglio, e al quale bisogna adeguarsi.

La seconda causa di tutti i nostri mali consiste nella volontà smodata di possedere oggetti o di poter perturbare le opinioni degli uomini a nostro favore. Ma, anche in questo caso, è saggio osservare che nulla nei nostri bisogni estrinseci ci conduce ad una stabilità nell’animo e ad una felicità duratura. Infatti, tutti i beni esterni sono, irrimediabilmente, soggetti ad essere limitati nel tempo e, potenzialmente, causa di mali peggiori: se ci rubano il portafoglio con tutte le carte e tutti i documenti rimpiangeremmo, forse, di non avere avuto la necessità di averne uno. Così, il principio non è, però, quello di eliminare sistematicamente tutti i nostri desideri, ma contenerli, ed evitare tutti quelli la cui soddisfazione nasce dall’incertezza di fatti la cui natura non ricade sotto il nostro potere. Quest’idea è racchiusa nell’idea che il saggio deve essere indifferente nei confronti di tutto ciò che non ricade direttamente all’interno di ciò che può controllare. Principio aureo del controllo dei bisogni: sii indifferente agli oggetti esterni e sii attento ai tuoi pensieri.

La filosofia stoica delineata da Epitteto è una filosofia prettamente pratica: è la prassi idonea alla liberazione dell’uomo dai suoi stessi mali, identificata con tutte le cause della sua incertezza, instabilità interiore. Per tale ragione Epitteto sottolinea che è necessario essere saldi nella volontà:

Se tu sarai così neghittoso e a bada senza pensare, accumulando ogni giorno indugi con indugi, moltiplicando in propositi, destinando ora un termine e fra poco un altro, in capo al quale incominciare ad attendere a te medesimo; tu non te ne avvedrai che sena aver fatto un progresso al mondo, sarai pur vissuto e morto uomo del volgo.

Il dominio dell’uomo sui suoi propri bisogni non deve condurre all’annichilimento ma ad una serena visione delle cose e, conseguentemente, ad una pacata felicità. Sul piano della fenomenologia dei sentimenti, la filosofia di Epitteto sconsiglia le passioni violente, capaci di turbare il nostro animo, sia quelle positive che quelle negative, come la malattia o l’innamoramento: in entrambi i casi, infatti, è poco saggio affidarsi a ciò che non si conosce e la cui risoluzione è interamente affidata agli altri. Il problema, come detto, consiste nella natura delle opinioni che nutriamo sulle cose, non le cose stesse: la morte non fa paura di per sé ma per ciò che temiamo in essa, ma, dopo accurata riflessione, ci rendiamo conto di come questo pregiudizio mascheri la nostra stessa ignoranza e la conseguente conoscenza: la morte fa parte dell’ordine della natura che è orientata verso il meglio. Allo stesso modo, i mali fisici che ci affliggono non costituiscono in sé dei mali perché essi non determinano in noi una variazione dei nostri pensieri ed esse, d’altra parte, non dipendono dalla nostra volontà. Nella malattia mortale, per tanto, è consigliabile, secondo Epitteto, mantenere la lucidità per stare tranquilli perché, in fondo, niente dipende da noi, né dalla nostra volontà e, d’altronde, neanche nella morte ci può essere il peggiore dei mali.

Si può dire che lo stoicismo sia una forma di intellettualismo morale: solo attraverso la conoscenza filosofica si può pervenire alla liberazione dei propri mali. Il che, oggi come oggi, viene visto come un possibile difetto dell’impostazione.

La filosofia di Epitteto, dunque, vuole essere una via per la liberazione dai mali per giungere alla pace interiore la cui felicità non sarà stordente ma, appunto perché placida, anche l’obbiettivo stesso della nostra ricerca. Le virtù morali sono, infatti, la costanza, la tolleranza e la comprensione. La conoscenza, dunque, è finalizzata al dominio di sé nel mondo. Si noti, che tale impostazione sarebbe molto più debole e problematica se si escludesse l’assunto finalistico della realizzazione immanente della razionalità. Infatti, a quel punto, ciò che rimarrebbe di positivo in tale dottrina sarebbe solo la via per la migliore anestetizzazione dei mali, più che di una fuoriuscita nei beni. Ma Epitteto rivendica che il bene consiste proprio in questo: l’adeguare se stessi alla natura, di per sé buona.


Citazioni e brani antologici

 Le cose sono di due maniere; alcune in poter nostro, altre no. Sono in poter nostro la opinione, il movimento dell’animo, l’appetizione, l’aversione, in breve, tutte quelle cose che sono i nostri propri atti. Non sono in poter nostro il corpo, gli averi, la riputazione, i magistrati, e in breve quelle cose che non sono nostri propri atti.

Epitteto, Manuale, SE, Milano, 2009, p. 15.

Gli uomini sono agitati e turbati, non dalle cose, ma dalle opinioni che eglino hanno delle cose. Per modo di esempio, la morte non è punto amara; altrimenti ella sarebbe riuscita tale anche a Socrate; ma la opinione che si ha della morte, quello è l’amaro.

Ivi., p. 19.

Se ti occorrerà una fatica da sostenere, troverai la facoltà della tolleranza. Se una villania, la pazienza. E così accostumandoti, tu non ti lascerai trasportare dalle apparenze delle cose.

Ivi., p. 22.

Meglio è morirsi di fame dopo una vita libera da travagli e timori, che vivere inquieto in grande abbondanza di ogni cosa.

Ivi., p. 22.

Se tu vuoi che la moglie, i figliuoli e gli amici tuoi vivano sempre, tu sei pazzo. Perocché tu vuoi che dipenda da te quello che non è in tuo potere, e che quello che è d’altri sia tuo. Parimenti se tu vuoi che il tuo servo non commetta errore, tu sei sciocco. (…) Ma se tu vuoi non desiderare cosa che poi non ti venga ottenuta, questo sì che lo puoi. Per tanto industriati di ottenere questo che tu puoi.

Ivi., p. 23.

Ma tu distinguerai teco stesso subitamente e dirai: questi è tribolato e afflitto, non dall’accaduto, poiché questo medesimo non dà niuna tribolazione a un altro, ma dal concetto ch’egli ha dell’accaduto.

Ivi., p. 25.

Poi considera che non facendo tu per amore delle cose esterne quel medesimo che gli altri fanno, tu non puoi nel conseguimento di quelle andare al paro cogli altri. Come può, per modo di esempio, colui che non frequenta le soglie dei grandi, che non gli accompagna, che non gli loda, andar del pari a coloro che fanno tutte queste cose? Egli sarebbe ingiustizia e ingordigia che non pagando tu quel prezzo a che si comperano i favori e i benefizi dei potenti e dei ricchi, tu gli volessi avere gratis.

Ivi., p. 30.

La intenzione della natura si conosce da quelle cose dove noi non abbiamo interesse.

Ivi., p. 30

Ma se tu non considererai cosa alcuna innanzi, tu ti aggirerai come i bamboli, che ora fanno i lottatori, e quando gli atleti, e quando gli schermitori, poi strombazzano, poi contraffanno le tragedie. Così ancora tu: oggi schermitore, domani atleta, e quando oratore, poi filosofo, e nulla mai veramente con tutto l’animo, ma in guisa delle scimmie tu contraffai tutto quello che tu vedi, e muti voglia a ogni tratto.

Ivi., p. 32.

Egli ti bisogna vegliare, faticare, separarti dai tuoi, essere vilipeso da un fanticello, in tutto essere inferiore agli altri, negli onori, nei magistrati, nei giudizi, in ogni cosarella. Considera bene queste difficoltà e questi incomodi, e vedi se egli ti pare espediente di sostenerli per avere in compenso di quelli la libertà, lo stato dell’animo senza perturbazioni, senza passioni; e non voler fare come i fanciulli, oggi filosofo, poi gabelliere, appresso oratore, indi procuratore di Cesare. Queste qualità non si accordano insieme. Egli si vuole essere una persona sola, o valente o da poco.

Ivi., p. 33.

Stabilisci a te stesso, come a dire, un carattere e una figura la quale tu abbi a mantenere da quindi innanzi sì praticando teco stesso e sì comunicando colle persone.

Ivi., p. 37.

(…) discendasi a favellare distesamente; ma non di cotali materie trite e ordinarie, non di gladiatori o di corse di cavalli, non di atleti, non di cibi né di bevande, né di sì fatti altri particolari di che si ode a favellare tutto il dì, e sopra ogni cosa, non di persona alcuna lodando o vituperando o facendo comparazioni.

Ivi., p. 38.

Misura dello avere si è a ciascheduno il proprio corpo, siccome della scarpa il piede. Per tanto se tu ti conterrai dentro ai termini di quel che è richiesto alla tua persona, tu serberai la misura, ma se tu gli passerai, di necessità da quell’ora innanzi andrai senza fine precipitando come per un dirupato. Non altrimenti che nella scarpa se tu passi più avanti di quello che si appartiene all’uso del piede, la scarpa ti diventa prima dorata, appresso di porpora, poi ricamata, gioiellata. Perocché di là dalla misura non ci ha limite alcuno.

Ivi., p. 43.

A cagion di esempio, in un convito non istare a discorrere come si debba mangiare, ma sì bene mangia come si dée.

Ivi., p. 45.

Se tu sarai così neghittoso e a bada senza pensare, accumulando ogni giorno indugi con indugi, moltiplicando in propositi, destinando ora un termine e fra poco un altro, in capo al quale incominciare ad attendere a te medesimo; tu non te ne avvedrai che sena aver fatto un progresso al mondo, sarai pur vissuto e morto uomo del volgo.

Ivi., p. 48.

Il primo e più necessario luogo nella filosofia si è quello delle proposizioni morali pratiche, come sarebbe, per modo di esempio, questa: che egli non si dée mentire. Il secondo è quello delle dimostrazioni; come, per esempio, provare con argomenti che non si dée mentire. Il terzo serve a confermazione e distinzione delle stesse cose, e tratta visi, ponghiamo, donde è che questa tale è dimostrazione, che cosa sono conseguenza e ripugnanza, verità e falsità. Di modo che il terzo luogo è necessario a rispetto del secondo, il secondo a rispetto del primo; ma il più necessario di tutti, e dove si dée restare, si è il primo.

Ivi., p. 49.


Alcune osservazioni sui limiti della filosofia di Epitteto

Un problema della filosofia morale di Epitteto è il confine tra ciò che è direttamente in nostro potere da ciò che non lo è. In molti casi, infatti, ciò che ci turba non è l’impressione di aver fatto una brutta figura (opinione altrui) o in aver mancato il pullman (evento fisico esterno, non in nostro potere), quanto nell’aver sbagliato e saper di esser responsabili del nostro errore: il rimorso è il sentimento tipico che, generalmente, si può costruire col senno di poi. Epitteto non si pronuncia esplicitamente, nelle Massime. Tuttavia, le possibili soluzioni sono due, entrambe problematiche: è giusto essere tribolati dai propri sensi di colpa, se, effettivamente, abbiamo mancato ad un nostro dovere che dipendeva esclusivamente da noi (come il ricordarci dell’anniversario di matrimonio, al quale teneva la nostra/il nostro partner) oppure è sbagliato angosciarci perché, comunque, l’azione compiuta non era realmente nelle nostre facoltà perché, invece, in quel momento siamo ricaduti all’interno del meccanismo naturale. Tuttavia, la prima proposta ha la difficoltà di implicare la tribolazione dell’animo, problema cardine della prassi stoica di Epitteto, ma, d’altra parte, la seconda ha il problema di riconsiderare il nostro atto, sicuramente in nostro potere, come sé non lo fosse. L’insufficienza di tale risposta è evidenziata dalle conseguenze della sua accettazione: se fosse vero allora abbiamo la giustificazione per fare qualsiasi cosa! Ma, evidentemente, Epitteto non avrebbe accettato questa soluzione.

Un secondo problema è offerto dai limiti della ragione, assunta come base della conoscenza adeguata dell’uomo, capace di imporre il suo dominio su noi stessi. Ci sono molti casi in cui ragionare non serve, o non basta. Poniamo un caso molto concreto: siamo in un monolocale a Milano. Nel piano superiore ci sono persone che smuovono i mobili fino all’una di notte, sbattono le porte e i piedi. A fianco abita una coppia in un monolocale e si sentono qualunque cosa facciano e qualunque cosa dicano perché la parete divisoria non isola acusticamente: si sente a tal punto che puoi dire a che ora si alzino (magari, puta caso, 6:30) a che ora fanno colazione etc.. D’altra parte, il vostro monolocale dà di fronte ad un cortile che è il crocevia di quindici persone e tutto ciò che accade di fuori si sente dentro. L’uomo è un essere la cui natura è fatta in modo tale da associare ad ogni rumore un’entità, ipotizzata come causa. Dunque, per qualunque rumore, noi, sistematicamente e involontariamente, associamo un certo significato: questo non ricade nella nostra volontà ma ha diretti effetti sulla nostra vita. Se i rumori persistono per giorni e non riuscite più a dormire, e ciò non dipende da voi, come pensare razionalmente che, in fondo, non c’è niente da fare perché è tutto nelle mani della provvidenza della natura? Ma, soprattutto, è impossibile non impazzire e, cioè, uscire di senno, perdere la luce della ragione e brancolare nel buio. Ma tutto ciò non sarà dipeso da noi o, al massimo, lo sarà proprio perché abbiamo ragionato in modo tale da accettare tutto ciò che ci è capitato e proprio questo ci ha condotto, come è successo, alla resa della propria ragione.

In fine, il principio di indifferenza comporta, è vero, il pregio di ridimensionare i mali alla luce di una più serena visione delle cose. Ma è pur vero che, per le stesse ragioni, saremo condotti a rivedere anche la grandezza dei beni e dei vantaggi da noi stesso ottenuti. La filosofia stoica, in questo senso, sembra proporre la minimizzazione assoluta dei mali: evita tutto ciò che ti fa male, anche quando essa ti fa del bene. Epitteto, infatti, punta il dito proprio sull’aleatorietà dei beni in quanto fonte sia di gioia sia di tristezza ma, soprattutto, di questa. Il rischio è di cadere in una depressione cronica, giustificata dall’assenza di mali (generalmente, la depressione non comporta sofferenza nei termini sottolineati da Epitteto) ma causa, forse, di un male ancora peggiore.

Questi problemi, naturalmente, vogliono essere solo uno spunto di riflessione sulla filosofia di Epitteto che, in generale e se non presa troppo nel dettaglio, costituisce una grande proposta filosofica e mostra, in modo illuminante, come quasi sempre, con l’aiuto della ragione, si possa trionfare anche sui mali peggiori ché, è bene ricordarlo, non sono dei mali in sé, ma solo le loro opinioni.


Bibliografia

Adorno F., Gregory T., Verrà V., Manuale di Storia della filosofia (Voll. 1), Laterza, Roma-Bari, 2006.

Epitteto, Massime, SE, Milano, 2009.

Enciclopedia Filosofica Bompiani, voce Epitteto.

Lecaldano E., Etica, UTET, Torino, 2005.

Severino E., Antologia filosofica, Rizzoli, Milano, 1988.

Severino E., La filosofia dai greci ai giorni nostri. La filosofia antica e medioevale, Rizzoli, Milano, 2004.


Giangiuseppe Pili

Giangiuseppe Pili è Ph.D. in filosofia e scienze della mente (2017). E' il fondatore di Scuola Filosofica in cui è editore, redatore e autore. Dalla data di fondazione del portale nel 2009, per SF ha scritto oltre 800 post. Egli è autore di numerosi saggi e articoli in riviste internazionali su tematiche legate all'intelligence, sicurezza e guerra. In lingua italiana ha pubblicato numerosi libri. Scacchista per passione. ---- ENGLISH PRESENTATION ------------------------------------------------- Giangiuseppe Pili - PhD philosophy and sciences of the mind (2017). He is an expert in intelligence and international security, war and philosophy. He is the founder of Scuola Filosofica (Philosophical School). He is a prolific author nationally and internationally. He is a passionate chess player and (back in the days!) amateurish movie maker.

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