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L’oratore siriano Gerio: un profilo sulla base delle fonti (Sant’Agostino, Confessiones IV, xiv, 21) – [Litterae ex oblivio]

Botticelli, Sant’Agostino degli Uffizi. Painting, 15th century; copyright: https://timelessmoon.getarchive.net/amp/media/botticelli-santagostino-degli-uffizi-b582fc

Introduzione:

Le Confessioni di Agostino (Tagaste, 354 – Ippona, 430) si propongono, secondo le parole dell’autore stesso nelle sue Retractationes, di lodare Dio per tutte le azioni compiute, ambo quelle buone e quelle cattive, e di elevare a Dio la mente e il cuore dell’uomo («Confessionum mearum libri tredecim et de malis et de bonis meis deum laudant iustum et bonum, atque in eum excitant humanum intellectum et affectum»; Retr. II, 6). Antonio Cacciari, nella sua Introduzione (2007: VI), sulla medesima scorta, individua i due cardini principali dell’opera agostiniana: laudant e excitant, le Confessioni di Agostino sono una lode e un protrettico a Dio.

Nella complessa biografia del Santo, comprendente la stesura di oltre un centinaio di opere, omelie e lettere, è fondamentale individuare alcuni momenti, al fine del presente lavoro: completati gli studi a Cartagine nel 370, decisivo spartiacque nel pensiero di Agostino fu la lettura dell’Hortensius di Cicerone, un’esortazione alla filosofia conservato in maniera frammentaria, e per la cui conoscenza le informazioni contenute nelle Confessioni (III, iv, 7-8) sono state fondamentali. Nel 374 fu grammaticus a Tagaste, e nel 375 iniziò la sua carriera alla cattedra di retorica a Cartagine, ove rimase per otto anni. Nel 383, a seguito della delusione maturata progressivamente dalla carriera esercitata, si reca a Roma, prima di assurgere, nel 384, alla cattedra di retorica di Milano grazie al prefetto Simmaco. È sul periodo che conduce al 383, ossia al primo distacco dal nord-Africa, che si concentra il presente lavoro.

 

Il nord-Africa al tempo di Agostino:

La definizione della realtà sociale e storica del nord-Africa nel IV sec. è complicata dalla molteplicità degli eventi precedenti: parte dell’Impero Romano, aveva vissuto gli effetti della tetrarchia. In questa sede, si eviterà di tracciare un percorso storiografico su questa regione. Si intende, per contro, porre l’accento sull’affascinante processo, in atto nel Tardo-antico, di spostamento del baricentro politico, sociale e culturale. Indicativamente a partire dalla fine del I sec. d.C., Roma vive una fase di concorrenza come centro culturale primario. La regione imperiale del nord-Africa vede la nascita di opere importanti, che cominciano a spostare il perno culturale: esempio lampante è il magistero letterario di Lucio Apuleio (Madaura, 125 .ca – Cartagine, post 170), di cui ebbero grande fama le Metamorfosi (sive Asinus aureus), opus maius del madaurensis, ma di cui sono altrettanto rilevanti opere quali l’Apologia, ossia la sua brillante e a tratti magnificamente sarcastica difesa contro le accuse di Ponziano, i Florida, raccolta di declamazioni di Apuleio, e i trattati di retorica e filosofia, quali il De deo Socratis, De Mundo e De Platone et eius dogmate.

Assieme ad Apuleio, spiccò nel secondo secolo la figura di Marco Cornelio Frontone, libico (così si definiva), giunse a Roma sotto Adriano e ottenne grande fama nell’arte oratoria. La problematica situazione della tradizione manoscritta tiene conto del fatto che suoi testi erano inclusi nel Palinsesto Ambrosiano, scoperto dal filologo Angelo Mai: il codice, conservato alla Biblioteca Ambrosiana di Milano, conteneva, come scriptio inferior, alcune epistole di Frontone. In seguito, Mai identificherà un Palinsesto Vaticano, a cui si aggiungerà infine un codice, di un solo foglio, scoperto da Bernhard Bischoff (1956).

L’impulso maggiore alla tradizione letteraria nord-africana di lingua latina venne in seguito, grazie alla diffusione del cristianesimo e allo sviluppo della patristica e della cultura apologetica. In questo campo, ebbero origine nord-Africana Tertulliano (Cartagine, fl. 155-230); ovviamente Agostino; Arnobio (Sicca Veneria, Tunisia, 255-327); Eugippio (fl. 465 – post 533); Lattanzio (250-325). Fuori dal contesto apologetico cristiano si collocano invece il grammatico Marziano Capella, autore del De nuptiis Philologiae et Mercurii; il grammatico e metricista Terenziano Mauro (fl. II sec.); Minucio Felice (fl. II-III sec.); il politico e storico Sesto Aurelio Vittore (fl. 360-389).[1] Infine, nel contesto berbero si colloca il curioso magistero di Fulgenzio (V-VI sec.), autore di opere di taglio esegetico, filologico, e di un peculiare lipogramma sulla storia del mondo.

Infine, lo spostamento del baricentro da Roma al nord-Africa produce dei riflessi anche sul piano politico. L’ascesa al potere smette di essere vincolata alla romanitas, e anche illustri personaggi, distintisi per il loro cursus honorum di valore, hanno la possibilità di assurgere a forme di potere, fino ad aspirare al trono imperiale. In tal senso, eloquenti sono due casi:

  • Quinto Lollio Urbico: fl. 132-160; figlio di un proprietario terriero numidico, nacque berbero ma fu naturalizzato romano. All’apogeo di una carriera di spicco, ottenne il governatorato della Britannia romana sotto l’imperatore Antonino Pio. Il suo nome compare in cinque iscrizioni ed è menzionato nella biografia dell’imperatore summenzionato, contenuta nella raccolta Historia Augusta e attribuita a Giulio Capitolino.[2]
  • Settimio Severo: n. 146, Leptis Magna – m. 211, giunto al titolo imperiale nel 193, succedendo al brevissimo governo di Didio Giuliano a seguito della guerra civile del 193-197, fu iniziatore della dinastia severiana. La sua figura è eloquente circa la possibilità di un personaggio, nato oltremare, di giungere fino alla massima carica, il potere imperiale.[3] La sua vicenda dimostra eloquentemente come lo spostamento del baricentro politico e culturale non avesse però causato uno svilimento della cultura latina: la competenza della lingua latina, che non fosse dunque eccessivamente marcata diatopicamente, rimaneva fondamentale. Lo dimostra il racconto, contenuto nell’Historia Augusta, attribuito a Elio Sparziano, su come Settimio Severo provasse imbarazzo per il latino, evidentemente marcato in direzione dialettale nord-Africana, parlato dalla sorella Leptiziana, giunta in visita nell’Urbe.

 

L’oratore siriano Gerio: una definizione del profilo sulla base delle fonti

Agostino, nel suo testo, fa menzione di una serie di personaggi che sono stati rilevanti per la sua formazione e per il suo cammino verso Dio. La scelta di abbracciare la dottrina cristiana coincise con il rifiuto di una linea filosofico-spirituale precedentemente abbracciata, il manicheismo[4], che pare sia stata anche alla base del suo periodo di insegnamento cartaginese, e che vide il suo apogeo proprio nel 383. La scelta di recarsi a Roma dipende innanzitutto da una delusione maturata nel corso della carriera in cattedra, ma si radica anche in una figura, ad oggi ben poco nota, che al tempo pare avesse ricevuto parecchia fama nell’ambito dell’Urbe. Si tratta dell’oratore Gerio, di cui Agostino parla nel corso del quarto libro.

Di seguito il testo latino con la traduzione di seguito:[5]

4.14.21 Quid est autem, quod me movit, Domine Deus meus, ut ad Hierium, Romanae urbis oratorem, scriverem illos libros? Quem non noveram facie, sed amaveram hominem ex doctrinae fama, quae illi clara erat, et quaedam verba eius audieram, et placuerant mihi. Sed magis, quia placebat aliis et eum efferebant laudibus stupentes, quod ex homine Syro, docto prius graecae facundae, post in latina etiam dictor mirabilis extitisset, et esser scientissimus rerum ad studium sapientiae pertinentium, mihi placebat. Laudabatur homo et amabatur absesns. Utrumnam ab ore laudantis intrat in cor audientis amor ille? Absit; sed ex amante alio accenditur alius. Hinc enim amatur qui laudatur, dum non fallaci corde laudatoris praedicari creditur, id est cum amans eum laudat.

4.14.21 Cosa mi spinse, Signore Dio Mio, a dedicare quei libri a Gerio, un oratore della città di Roma? Non lo conoscevo personalmente, ma lo amavo per la chiara fama del suo pensiero e per alcuni suoi insegnamenti che mi erano stati riferiti e mi erano piaciuti. Ma soprattutto mi piaceva perché piaceva agli altri, che lo colmavano di lodi, e stupivano che un siriano, già esperto nell’eloquenza greca, fosse diventato un oratore mirabile anche nella lingua latina, e avesse grande competenza in ogni aspetto della filosofia. Un uomo era lodato e, anche se assente, era amato. Ma tale amore entra forse nel cuore di chi ascolta dalla bocca di chi loda? No assolutamente! È in virtù di chi ama che si accende un nuovo amore. È amato chi riceve la lode, se si crede che la lode sia espressa da un cuore sincero, cioè da chi loda uno perché lo ama.

(Sant’Agostino, Confessiones, 2007: 115)

 

4.14.23 At ille rhetor ex eo erat genere, quem sic amabam, ut esse me vellem talem; et errabam typho, et circumferebar omni vento, et nimis occulte gubernabar abs te. […] Et magnum quiddam mihi erat, si sermo meus et studia mea illi viro innotescerent: quae si probaret, flagrarem magis; si autem inprobaret, sauciaretur cor vanum et inane soliditatis tuae. Et tamen pulchrum illum atque aptum, unde ad eum scripseram, libenter animo versabam ob os contemplationis meae, et nullo conlaudatore mirabar.

4.14.23 Quel retore invece apparteneva al genere di persone che amavo al punto da voler essere come loro. Mi smarrivo nell’orgoglio, ed ero sospinto qua e là da ogni vento, ma nel più grande segreto ero guidato da te. […] Per me era molto importante che il mio trattato e le mie ricerche venissero a conoscenza di quell’uomo. La sua approvazione avrebbe accresciuto il mio ardore, la sua riprovazione invece avrebbe pugnalato il mio cuore vano e privo della tua fermezza. Intanto il trattato “Il bello e il conveniente”, che avevo scritto per lui, occupava volentieri i miei pensieri, sotto lo sguardo della mia contemplazione, e l’ammiravo anche senza la lode di nessuno.

(Sant’Agostino, Confessiones, 2007: 117)

Ad oggi, le informazioni riportate da Agostino sono le uniche sicure sulla sua persona, e non è chiaro se ciò sia dovuto alla tradizione delle informazioni o a un declino della sua notorietà («Gerio: di certo si sa solo quello che qui Agostino ci dice di lui»; Sgargi 2007: 587).

Per tracciare un bilancio dalle informazioni che riporta Agostino: Gerio, siriano di nascita, giunse a Roma come esperto di ogni ambito filosofico e di eloquenza in lingua greca, acquisendo rapidamente notevoli capacità di lingua latina, che lo portarono a ricevete ammirazione e onori nell’Urbe. Era sicuramente vivo nell’ultimo decennio del 300, e attivo in maniera fiorente a Roma, in quanto Agostino, dopo avergli dedicato il trattato De pulchro et apto, progetta la sua partenza per l’Urbe, evidentemente nella speranza di divenire suo allievo e assurgere al successo. Non è noto il contenuto dell’opera, in quanto non è stata tramandata: rientra evidentemente nella schiera di opere che Agostino, rifiutando le sue asserzioni giovanili, ha volutamente soppresso, sottraendole alla tradizione.  Armando Rigobello, in uno studio sul libro IV delle Confessioni, ha brillantemente compendiato: «Il bello (pulchrum) risiede nell’armonioso rapporto tra le parti e realizza in se stesso tale armonia, in una unitaria totalità articolata e simmetrica, il conveniente (aptum) riguarda invece il rapporto tra una cosa ed un’altra, un rapporto che deve essere conveniente e quindi armonico, decoroso» (Rigobello 1984: 35).

 

I rapporti di Agostino con il manicheismo

È noto che Agostino, come lui stesso racconta, ebbe a Cartagine un incontro con il manicheo Fausto, incontro che evidentemente ebbe un impatto importante sulle sue convinzioni filosofiche, tanto da spingerlo a ricercare gli insegnamenti di chi, al tempo, era un’autorità in materia. In seguito, tuttavia, Agostino rivela la propria insoddisfazione generalizzata per l’incapacità dei manichei di risolvere i suoi dubbi, da cui sorse la speranza che in Fausto potesse invece trovare una via maggiormente illuminata:

«Et per annos ferme ipsos novem, quibus eos animo vagabundus audivi, nimis extento desiderio venturum expectabam istus Faustum. Ceteri enim eorum, in quos forte incurrissem, qui talium rerum quaestionibus a me obiectis deficiebant, illum mihi promittebant»[6]

(Sant’Agostino, Confessiones, V, vi, 10)

Ma l’entusiasmo per il manicheo venturo si dissolve rapidamente quando, venuto a colloquio con costui, Agostino si rende rapidamente conto della sua generale impreparazione in materia. Con mature considerazioni, frutto delle seriori meditazioni in materia, Agostino riconosce quantomeno l’umiltà di Fausto nella consapevolezza dei propri limiti:

«Quod ubi potui, et aures eius cum familiaribus meis eoque tempore occupare coepi, quo non dedeceret alternis disserere, et protuli quaedam, quae me movebant, expertus sum prius hominem expertem liberalium disciplinarum, nisi grammatica, atque eius ipsius usitato modo. Et quia legerat aliquas Tullianas orationes, et paucissimos Senecae libros, et nonnulla poetarum, et suae sectae si qua volumina latine atque composite conscripta erant»[7]

(Sant’Agostino, Confessiones, V, vi, 11)

Secondo quanto riferisce Agostino, la rottura con il manicheismo fu profonda e netta già dopo la delusione maturata dall’impreparazione di Fausto. Non è chiaro se questa sia una considerazione ex post, ma ciò lascia intendere che, alla partenza per Roma, Agostino non avesse più alcun interesse nella dottrina manichea. Ordunque, accettata l’ipotesi che Gerio fosse un esperto manicheo, si ha ragione di ritenere che Agostino, nel momento in cui gli dedicò il De pulchro et apto, auspicasse a stabilire una relazione simil-clientelare con l’oratore. Ma non è affatto scontato che il medesimo desiderio fosse ancora vivo al momento della partenza.

In tal senso, è piuttosto eloquente l’oblio profondo in cui piomba il nome di Gerio nel seguito delle Confessiones: il quinto libro affronta, tra i vari, l’episodio del viaggio di Agostino a Roma. Agostino afferma di aver deciso di recarsi a Roma per svolgere il medesimo insegnamento che svolgeva a Cartagine, attratto non da promesse di fama o maggiori guadagni, bensì dalla buona nomea che avevano gli studenti romani, rinomati evidentemente per la loro acribia e disciplina.

In questo contesto, non è affatto chiaro, e neppur semplice da stabilire, se Agostino abbia o meno incontrato Gerio a Roma. La violenta rottura maturata con le dottrine manichee sembrerebbe suggerire che Agostino rinunciò a cercare una rapporto con l’oratore siriano, e ciò autorizzerebbe anche a pensare che avesse distrutto quanto in suo possesso del De pulchro et apto ancor prima della partenza, sottraendo l’opera, tanto ardentemente rinnegata, alla tradizione dei posteri. Tuttavia, un enigmatico passaggio, contenuto in Confessiones V, viii, 14, dà ragione di ritenere che Agostino avesse comunque mantenuto qualche legame, seppur non stretto, con esperti manichei:

«Verum autem tu, spes mea et portio mea in terra viventium, ad mutandum terrarum locum pro salute animae meae et Carthagini stimulos, quibus inde avellerer, admovebas, et Romae inlecebras, quibus adtraherer, proponebas mihi, per homines, qui diligunt vitam mortuam, hinc insana facientes, inde vana pollicentes, et ad corrigendos gressus meos utebaris occulte et illorum et mea perversitate.»[8]

(Sant’Agostino, Confessiones, V, viii, 14)

Quando Agostino parla di uomini che conducono una vita morta, fa evidentemente riferimento, come in seguito espresso, a uomini che vivono in una “perversione”, ossia secondo una dottrina che differisce da quella cristiana a cui lui è stato condotto. È dunque chiaro che, in un momento di riflessione ex post, Agostino condannasse il manicheismo come una dottrina falsa e dannosa per l’animo umano.

Tutto ciò porta dunque a ritenere che Agostino, forse per convenienza, abbia avuto dei rapporti con esperti manichei dell’Urbe, tra cui plausibilmente figurava anche Gerio. Se ciò fosse vero, la scelta di omettere il nome sarebbe un’eloquente spia di come questo incontro abbia rinsaldato la delusione e il distacco di Agostino dal manicheismo, rendendo la menzione dell’oratore superflua, e anzi l’atto di oblio del suo nome un segno dell’avvenuta sua svolta spirituale.

 

Un bilancio sulla figura di Gerio

Il nome di Gerio non compare in altre fonti, sicuramente non ad indicare l’oratore siriano. Un buon compendio delle informazioni su questo personaggio è contenuto nella Paulys Realencyclopädie der classischen Altertumwissenschaft:

«H. (Herios, N.d.A.) wird von Augustinus als romanae urbis orator genannt (conf. IV 13, 20. IV 14, 21); ihm hat Augustinus ums J. 380 eine Jugendschrift de pulchro et apto gewidmet, die zweifellos rhetorischer Natur war, da sie nach ihrem Titel das καλὸν καὶ πρέπον behandelte. Alles übrige, was wir von H. wissen, beruht auf den Angaben Augustins. Danach war er von Geburt Syrer, hatte erst die griechische Beredsamkeit gepflegt und war später in latina etiam dictor mirabilis geworden. Es ist zweifelhaft, ob ihn Rohde (bei C. Ritter Unters. über die Quint. Decl. 207) richtig mit einem H. identifiziert hat, der in den Subskriptionen der größeren Deklamationen Quintilians genannt wird; wenn es im Parisinus 16 230 s. XV p. 35 heißt: legi et emendavi ego Dracontius cum fratre Ierio incomparabili arrico urbis Romae in scola fori Traiani feliciter, so ist die Änderung von arrico in oratore ziemlich kühn; Dessauer (Die handschriftliche Grundlage der 19 größeren Pseudo-Quintilianischen Deklamationen [1898] 81) hat, mit freilich um nichts größerer Wahrscheinlichkeit, vicario aus arrico gemacht und in H. einen vornehmen Römer gesehen. Ein Herius vicarius Africae ist uns für das J. 395 bezeugt und wird vielleicht auch genannt im Carmen adv. Flavianum 47ff. (Lehnert Rh. Mus. LX 157). Die Identifizierung dieses Mannes mit dem orator urbis Romae beruht auf unsicherer Kombination; wenn Lehnert bemerkt, daß Literaten es damals zu hohen Ehrenstellen gebracht haben, so hat doch Seeck (Gesch. des Untergangs der antiken Welt IV 191ff.) darauf aufmerksam gemacht, daß gegen Ende des 4. Jhdts. derartige Beförderungen aufhören.»[9]

Hierios 7, in Paulys Realencyclopädie der classischen Altertumwissenschaft (= RE), Band VIII, 2, 1913, 1457-1459

In questa sede, si ritiene di non accettare l’ipotesi di Rohde: l’emendazione, nelle Sottoscrizioni alle Declamationes maggiori di Quintiliano, da arrico a oratore, è senza dubbio ardita, e ciò tanto per ragioni linguistiche quanto paleografiche. Accettare una tale emendazione vorrebbe dire accettare che il copista avrebbe, scientemente o meno, geminato un grafema di vibrante posto in posizione pre-vocalica, e altrettanto problematica sembra la confusione del grafema di occlusiva dentale <t> con il grafema di occlusiva velare <c>, sebbene si possa immaginare un arrotondamento della sezione superiore dell’asta verticale nel grafema <t>. Ma, come chiaro, si tratta di ipotesi inverificabili, e in un certo senso onerose.

Per contro, Dessauer ha proposto l’emendazione arrico > vicario. Tralasciando la questione paleografica, questa emendazione, assieme a una presunta menzione nel Carmen contra paganos, darebbe credito all’attestazione, nell’enciclopedia Paulys, di un Hierios che fu vicario della regione romana in Africa:

«Vicarius Africae, erwähnt (it. menzionato, N.d.A.) am 23. März 395. Cod. Theod. XVI 2, 29.»

Hierios 4, in Paulys Realencyclopädie der classischen Altertumwissenschaft (= RE), Band VIII, 2, 1913, 1458.

L’ipotesi è senz’altro affascinante, per quanto il collegamento sia nuovamente incerto. Se ciò fosse vero, Gerio avrebbe svolto il suo mandato in Africa quando Agostino era già passato per Roma, giungendo poi a Milano e ricevendo il battesimo dal vescovo Ambrogio (387). In seguito, è noto che Agostino fece ritorno a Cartagine nel 388, per poi spostarsi a Tagaste e iniziare la sua carriera ecclesiastica, culminata con il vescovato di Ippona, incipiente proprio nel 395.

 

Conclusioni:

Nel tracciare delle conclusioni, si auspica provvisorie, bisogna tener conto della possibilità che ulteriori informazioni su Gerio non vengano mai alla luce. A fronte di tale possibilità, ad ora ben concreta, si ritiene di poter accettare come ipotesi più solida e affascinante quella che vede Gerio come vicarius Africae nel 395. Pur dovendo ammettere l’impossibilità di dimostrare ciò, si può tracciare alcune coordinate relativamente solide: si ritiene di accettare che, giunto a Roma, Agostino abbia iniziato a maturare un distanziamento dalla dottrina manichea, forse anche a causa della delusione maturata dalla relazione di allievo con Gerio che non si concretizzò mai. Ciò autorizza anche a ritenere che, seppur Gerio fosse effettivamente giunto in Africa come vicarius, e, come probabile, la notizia fosse giunta ad Agostino, quest’ultimo non avrebbe avuto alcun interesse a un incontro, né tantomeno a scrivere di lui. Il distacco maturato da Agostino fu, in questo senso, così violento che le opere giovanili andarono per buona parte perdute, dunque è naturale che non fosse negli interessi di Agostino, votatosi alla vocazione cristiana e che ripudiava ogni sua vicinanza al manicheismo, di riferire della presenza di un portavoce di quella corrente di pensiero.

 

 

BIBLIOGRAFIA

Cacciari 2007 = Antonio Cacciari, Introduzione, in Sant’Agostino, Confessioni, Siena, Lorenzo Barbera Editore, 2007, pp. V-LIX.

Gnoli 2003 = Gherardo Gnoli (con la collaborazione di Luigi Cirillo et al., e con l’assistenza di Andrea Piras), Mani e il manicheismo, Milano, Mondadori, 2003.

Gnoli 2006 = Gherardo Gnoli (con la collaborazione di Carlo G. Cereti et al., e con l’assistenza di Andrea Piras), Il mito e la dottrina: i testi manichei copti e la polemica antimanichea, Milano, Fondazione Lorenzo Valla, Mondadori, 2006.

Gnoli 2008 = Gherardo Gnoli (con la collaborazione di Carlo G. Cereti et al., e con l’assistenza di Andrea Piras), Il mito e la dottrina: i testi manichei dell’Asia centrale e della Cina, Milano, Fondazione Lorenzo Valla, Mondadori, 2008.

Historia Augusta = Federico Roncoroni (curatela di) et al., Storia augusta, Milano, Rusconi, 1972.

Pili 2011 = Giangiuseppe Pili, Le Confessioni e La città di Dio di Agostino, in Scuola Filosofica, 5 dicembre 2011, online all’Url < https://www.scuolafilosofica.com/712/le-confessioni-e-la-citta-di-dio-di-agostino>.

Pili 2014a = Wolfgang Francesco Pili, L’apogeo della cultura cristiana: la patristica, in Scuola Filosofica, 21 febbraio 2014, online all’Url < https://www.scuolafilosofica.com/3462/lapogeo-della-cultura-cristiana-la-patristica>.

Pili 2014b = Wolfgang Francesco Pili, Letteratura latina e il cristianesimo delle origini, in Scuola Filosofica, 4 giugno 2014, online all’Url < https://www.scuolafilosofica.com/3662/letteratura-latina-e-il-cristianesimo-delle-origini>.

Pili 2022 = Giangiuseppe Pili, Agostino – Felicità, godimento della contemplazione di Dio, in Scuola Filosofica, 20 novembre 2022, online all’Url < https://www.scuolafilosofica.com/11338/felicita-in-agostino>.

RE = Paulys Realencyclopädie der classischen Altertumwissenschaft, Band VIII, 2, 1913, 1457-1459.

Ries 1984 = Julien Ries, Sainte Augustin et le Manicheisme a la lumiere du Livre III des Confessions, in Julien Ries, Armando Rigobello, André Mandouze, «Le confessioni» di Agostino d’Ippona. Libri III-V; Palermo, Edizioni «Augustinus», pp. 27-38 pp. 7-26

Rigobello 1984 = Armando Rigobello, Lettura del IV libro delle Confessioni di S. Agostino, in Julien Ries, Armando Rigobello, André Mandouze, «Le confessioni» di Agostino d’Ippona. Libri III-V; Palermo, Edizioni «Augustinus», pp. 27-38

Sant’Agostino, Confessioni = Sant’Agostino, Giorgio Sgargi (traduzione di), Confessioni, Siena, Lorenzo Barbera Editore, 2007

Sgargi 2007 = Giorgio Sgargi, Note, in Sant’Agostino, Confessioni, Siena, Lorenzo Barbera Editore, 2007, pp. 573-652.

 

 

[1] Sesto Aurelio Vittore è stato, peraltro, tra le figure proposte per l’identificazione, ad ora misteriosa, di Vittore, allievo dell’altrettanto poco noto Ianuario Nepoziano. L’attribuzione suscita non pochi dubbi, soprattutto per le discrepanze temporali; cfr. Simone Di Massa, L’epitome di Ianuario Nepoziano a Valerio Massimo: una riflessione socio-letteraria [Litterae ex oblivio], in Scuola Filosofica, 3 novembre 2024, online all’Url <https://www.scuolafilosofica.com/12336/epitome-ianuario-nepoziano-valerio-massimo>.

[2] «Per legatos suos plurima bella gessit. nam et Brittanos per Lollium Urbicum vicit legatum alio muro cespiticio summotis barbaris ducto et Mauros ad pacem postulandam coegit et Germanos et Dacos et multas gentes atque Iudaeos rebellantes contudit per praesides ac legatos.» (si adotta il testo dall’edizione Iulius Capitulinus, Antoninus Pius, in Sine nomine, Historia Augusta, consultabile online su Wikisource all’Url <https://la.wikisource.org/wiki/Historia_Augusta/Antoninus_Pius>.); [it. «Affidò ai suoi luogotenenti molte operazioni militari: infatti tramite Lollio Urbico sgominò i Britanni e, dopo aver ricacciato indietro i barbari, fece costruire un altro terrapieno; sempre per mezzo dei governanti delle province, costrinse i Mauri alla resa, piegò i Germani, i Daci e molti altri popoli, e domò le rivolte dei Giudei.»]; (Giulio Capitolino, Antoninus Pius, V, iv, in Historia Augusta; traduzione secondo l’edizione Federico Roncoroni (curatela di) et al., Storia augusta, Milano, Rusconi, 1972, p. 90).

[3] «cum soror sua Leptitana ad eum venisset vix Latine loquens ac de illa multum imperator erubesceret, dato filio eius lato clavo atque ipsi multis muneribus redire mulierem in patriam praecepit» (si adotta il testo secondo l’edizione Aelius Spartianus, Septimius Severus, in Sine nomine, Historia Augusta, consultabile online su Wikisource, all’Url <https://la.wikisource.org/wiki/Historia_Augusta/Septimius_Severus>.) [it. «Una volta si recò a trovarlo a Roma una sua sorella che, essendo sempre vissuta a Leptis, parlava il latino così male che egli se ne vergognava; egli la sopportò accanto a sé per poco, poi la colmò di doni, concesse al suo figliolo – che morì dopo breve tempo, il laticlavio, ma li invitò a tornare a casa il più presto possibile.»]; (Elio Sparziano, Septimius Severus, XV, vii, in Historia Augusta; testo critico e traduzione secondo l’edizione Federico Roncoroni (curatela di) et al., Storia augusta, Milano, Rusconi, 1972, p. 266).

[4] Per una disamina della dottrina manichea si rimanda a Gnoli 2003; 2006; 2008.

[5] Si adottano, in questa sede e per tutte le citazioni che seguiranno, il testo critico e la traduzione proposta nell’edizione curata da Giorgio Sgargi (cfr. Sant’Agostino, Confessioni).

[6] «Durante quei nove anni circa, nei quali con animo da vagabondo mi misi in ascolto di costoro, aspettai con un desiderio carico di tensione l’arrivo di questo Fausto. Gli altri manichei, infatti, nei quali mi ero per caso imbattuto, alle obiezioni che muovevo su questa materia, non sapevano rispondere, se non con la promessa del suo arrivo» (Sant’Agostino, Confessioni, 2007: 139).

[7] «Quando me ne fu data l’occasione, e con i miei amici riuscii ad ottenere la sua attenzione, in un momento adatto, per un confronto aperto, esposi alcuni dubbi che mi turbavano. Mi resi subito conto che quell’uomo non conosceva le scienze liberali, ad eccezione della grammatica, e anche questa in maniera superficiale. Aveva letto alcune orazioni di Cicerone, pochissimi libri di Seneca, qualche volume di poesia, e i pochi libri della sua setta, che fossero scritti in buon latino» (Sant’Agostino, Confessioni, 2007: 141).

[8] «Ma in realtà eri tu, mia speranza e mia porzione nella terra dei viventi, che per costringermi a cambiare residenza per la salvezza della mia anima, mi stimolavi con i pungoli di Cartagine, con i quali mi strappavi di là, e con le seduzioni di Roma, con le quali mi attiravi. A tale scopo ti servivi di uomini che amano una vita morta, che qui compivano follie, là promettevano vanità; e per raddrizzare i miei passi ti servivi segretamente della loro e della mia perversità» (Sant’Agostino, Confessioni, 2007: 145-147; il corsivo è dell’editore).

[9] «Gerio viene chiamato da Agostino romanae urbis orator (Conf. IV, 13, 20. IV, 14, 21); Agostino, attorno al 380, gli dedicò uno scritto giovanile, De pulchro et apto, indubbiamente di taglio retorico, poiché, come indica il titolo, trattava di καλὸν καὶ πρέπον (trasl. kalὸn kaὶ prepon). Ulteriori informazioni note su Gerio si basano sui dati forniti da Agostino. Secondo lui, era originario della Siria, aveva coltivato dapprima l’eloquenza greca, divenendo poi anche doctor mirabilis in eloquenza latina. È dubbia l’identificazione proposta da Rohde (in C. Ritter Unters. über die Quint. Decl. 207) con un Hierius menzionato nelle Sottoscrizioni delle Declamazioni maggiori di Quintiliano; siccome in Parisinus 16 230 s. XV p. 35 si legge legi et emendavi ego Dracontius cum fratre Ierio incomparabili arrico urbis Romae in scola fori Traiani feliciter, allora l’emendazione di arrico in oratore è quanto più ardita. Dessauer (Die handschriftliche Grundlage der 19 größeren Pseudo-Quintilianischen Deklamationen [1898] 81), naturalmente senza una maggior certezza, ha emendato arrico in vicario, e ha visto nella figura di Gerio quella di un romano illustre. Un Herius nel ruolo di vicarius Africae è attestato attorno al 395, e forse trova menzione anche nel Carmen adv. Flavianum 47ff. (Lehnert Rh. Mus. LX 157): l’identificazione di questo personaggio con l’orator urbis Romae si fonda tuttavia su un accostamento incerto. Sebbene Lehnert osservi che al tempo i letterati assurgevano ad alte cariche d’onore, purtuttavia Seeck (Gesch. des Untergangs der antiken Welt IV 191ff.) ha osservato che, verso la fine del IV sec., tal genere di promozione cessò.» (Traduzione a cura di Simone Di Massa).


Simone Di Massa

Nato nel 2002, laureato in Lettere Moderne all'Università degli Studi di Milano con una tesi di Filologia Romanza, mi occupo di filologia e linguistica delle letterature romanze medievali, nonché di letteratura latina, dedicandomi con acribia e passione a ciò che è propriamente un culto degli studi, e una ragione d'esistere.

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