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Categoria: Narrativa

Don Chisciotte della Mancia – Miguel de Cervantes

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Fate in modo che, leggendo la vostra storia, il malinconico si senta invitato a ridere, l’allegro lo diventi ancora di più, l’ignorante non se ne stufi, e chi è colto ne apprezzi la trama, il serio non la disprezzi, né il saggio manchi di lodarla.[1]

Miguel de Cervantes

Don Chisciotte della Mancia è considerato il primo romanzo della storia della letteratura occidentale. Il libro, diviso in due parti, narra le vicende del cavaliere errante, Don Chisciotte, e del suo scudiero, Sancio Panza. La trama del romanzo si impernia attorno ai due personaggi, entrambi inscindibili e centrali.

La storia del Don Chisciotte della Mancia (da ora solo Don Chisciotte) prende avvio dalla follia di un possidente, un piccolo proprietario, che non si chiamava Chisciotte: “Pare che di cognome facesse Chisciada o Chesada, ma non c’è accordo fra gli autori che se ne occupano, e altre verosimili congetture lo darebbero per Chisciana. La cosa, a dire il vero, ha poca importanza…”[2] Egli era un cavaliere con non troppi averi. Il signor Chisciotte aveva letto moltissimi libri sulla cavalleria errante, sia i celebri che i meno celebri, e aveva tratto tante suggestioni da renderlo incapace di credere che i libri di cavalleria fossero solo finzioni. Dal principio, dunque, iniziò a congetturare sulla realtà di quelle storie, pensandole reali, poi passò a credere che anche nel suo presente esistessero tutte quelle bizzarre figure che sussistevano nelle storie e leggende della cavalleria errante: giganti, fate, maghi, incantatori, donzelle da amare, grandi principesse, draghi e via dicendo. “Il suddetto cavaliere, nei suoi momenti d’ozio (che prendevano la maggior parte dell’anno), si dedicava alla lettura di romanzi cavallereschi, con tanta intensità e piacere che trascurare quasi del tutto la caccia e anche l’amministrazione dei propri beni…”[3] Ciò fino a quando non decide di entrare anch’egli nell’onorevolissimo mondo della cavalleria errante: “Alla fine, ormai del tutto fuori di sé, maturò la più strampalata idea che potesse nascere nella mente di un pazzo: per accrescere la sua reputazione e servire la patria, gli sembrò conveniente e necessario farsi cavaliere errante e andare per il mondo, cavalcando in armi e cercando avventure. Si sarebbe cimentato nelle stesse imprese dei cavalieri dei suoi libri, riparando ogni genere di ingiustizie, affrontando difficoltà e pericoli che, una volta superati, gli avrebbero conferito onore e fama per l’eternità”.[4]

L’educazione sentimentale – Gustav Flaubert

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Consigliamo Madame Bovary di Flaubert


L’educazione sentimentale è un romanzo scritto da Gustave Flaubert. Esso narra le vicende private del signor Frédéric Moreau, giovane della piccola aristocrazia francese. L’educazione sentimentale inizia con il giovane Moreau e con l’amico Deslauries che si rincontrano, dopo anni di separazione. Entrambi lasceranno la provincia per andare a vivere nella capitale, sebbene Moreau e Deslauriers avranno un diverso destino, perché diversi nei desideri. Moreau va alla ricerca del grande amore, mentre Deslauriers va in cerca del potere. Moreau troverà subito l’oggetto dei suoi desideri incarnata nella figura della donna-madre, la signora Arnoux, che fa la sua comparsa sin dalle prime pagine del romanzo e rimarrà avvinghiata alla vita di Moreau (e alla immaginazione del lettore) per tutte le pagine de L’educazione sentimentale.

Giùllemani. Farci L. C.

Di recente è uscito il primo libro di Carola Ludita Farci, Giùllemani, edito dal Cenacolo di Ares, una giovane casa editrice che valorizza gli scrittori emergenti.

Una giovane scrittrice emergente è anche Carola L. Farci. Nata a Cagliari nel novembre 1989 è oggi laureata in Lettere e in procinto di specializzarsi in Lingua e letteratura italiana con una tesi su Sergio Atzeni, l’intramontabile scrittore la cui ammirazione e ricordo è conservato in ogni sardo amante della letteratura.

Giùllemani è un romanzo che parla di una ragazza fresca di diploma, che decide di lasciare la sua amata isola, la Sardegna, per andare a studiare a Pisa, luogo che ha da offrirgli maggiori possibilità dal punto di vista culturale e degli stimoli vitali.

Amalgrab ovvero lo specchio delle brame

Ma chi è, che cosa è, “Amalgrab”? Forse un anagramma o una sciarada nella lingua di Bela Lugosi o comunque balcanica, una crittografia transilvanica che fa sudacchiare sangue grasso e appiccicoso anche ai lettori più che abili che guardano le figure – un libro con le figure, come una fiaba antica, di mezza stagione, un cappuccetto rosso che pasteggia insieme col lupo e poi gli massaggia le gengive doloranti, quadri di Francis Bacon e di Dalì, la memoria persistente, o di Lucien Freud, ogni segno un sogno o un incubo, masturbazioni perversioni pedofile di Balthus – affascinati, i lettori, intontiti, ammaliati dal linguaggio stregonesco: volevano o non volevano, specialmente i più che abili, sentire live la vera “voce” di una strega, o forse è una bella donna dai canini eburnei ingordi di sangue o una seducente adolescente che sa tutto quello che c’è oltre uno specchio o in mezzo alle coltri di un piumino caldo?

Provaci ancora, Mihai. Butcovan M. M.

Le piccole case editrici – come le librerie non soggiogate dalle major – hanno la capacità e il coraggio di pubblicare – e vendere – i libri migliori del circuito letterario, un alternativo commercio equo e solidale, dove un romanzo breve ma straordinario come “Allunaggio di un immigrato innamorato” del rumeno Mihai Mircea Butcovan, ha il diritto di esistere e circolare nonostante il boicottaggio della grande distribuzione.

Il popolo degli abissi – Jack London

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Consigliamo – Martin Eden a cura di Francesco W. Pili


Nella prefazione della Robin Edizioni vien detto che il Popolo degli abissi risulta un’opera dimenticata. Altrove, in rare recensioni su internet, ci si imbatte nelle parole “opera sconosciuta”, “opera misconosciuta”. Insomma del Popolo degli abissi dell’intramontabile London, il lettore italiano, ne sa veramente poco. È per questo che mi son voluto cimentare nella lettura di questo libro, che nasce come reportage, si sviluppa come reportage, ma che, soppesata la natura dello stile, non mi sbaglio a definire ‘romanzo’. Romanzo d’inchiesta, volendo dare un appellativo al genere in modo più stringente.

Il capitano Jens Munk – Torkild Hansen

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Consigliamo – il capolavoro di Hansen Arabia Felix


La maggior parte dei sognatori si rivelano dei buoni perdenti, statene pur certi. Aspirano alle stelle e ti ringraziano se porgi loro una pietra.

Quel che è comune ai membri di questa categoria è il fatto che tutto ciò che ne sappiamo sono il nome e la data di morte. Non si sono ancora presentati al mondo, che già sono costretti a tacere, è come se la storia si fosse interessata a loro solo al momento di liberarsene. Giusto il tempo di un nome e una tomba.

Thorkild Hansen

Jens Munk. Un nome che non dirà niente a nessuno e verrà probabilmente associato al più celebre pittore. Ma con il pittore Jens Munk non c’entra niente ed è vissuto un paio di secoli prima di lui. Si tratta di un marinaio, di un capitano che è degno di essere ricordato per il suo tentativo di trovare il passaggio a nordovest, famosa via che avrebbe dovuto realmente congiungere via mare il vecchio continente con le Indie, quelle vere. Probabilmente presto si formerà spontaneamente un “passaggio”, proprio ora, che disponiamo di rompighiaccio, ma all’epoca non c’era nessuna strada aperta per l’oriente attraverso i ghiacci. Ma bisognava scoprirlo. E Jens Munk era andato in quelle terre inospitali proprio per questo. Ma Jens Munk non è solo un marinaio, non è solo un capitano e non è solo il figlio della sfortuna. Egli ha una lunga storia, fatta di buona e, soprattutto, cattiva sorte. Egli è il figlio di Erik Munk, un nobile, un uomo che riuscì a distinguersi per la brutalità perpetrata ai danni della popolazione sua suddita e, soprattutto, riuscì a rendersi inviso a gran parte della nobiltà danese, motivo per il quale i suoi avversari riuscirono a condannarlo, a spogliarlo di ogni bene, a recluderlo nella più terribile delle prigioni e a condannare la sua famiglia ad una vita di interminabile frustrazione. Sì, perché è dalla capitolazione di Erik Munk e la sua perdita del titolo nobiliare, non trasmesso ai figli, che nasceranno gran parte delle disavventure del figlio più piccolo, Jens.

La nave degli schiavi – Torkild Hansen

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Consigliamo – il capolavoro di Hansen Arabia Felix


Vivere è incontrarsi e tornare a dividersi

Hansen

La nave degli schiavi è il secondo libro della trilogia sulla schiavitù scritto da Thorkild Hansen. Non si tratta di un libro di storia ma di un libro sulla storia, su una delle vicende più inumane di tutta l’umanità. L’opera ha una struttura bipartita, che alterna ai resoconti narrativi storicamente antecedenti alla contemporaneità, il reportage sul viaggio compiuto dall’autore sulla stessa linea che veniva compiuta dalle navi negriere danesi. Come l’autore ripercorre ogni singolo miglio, viene narrato ogni avvenimento di quanto capitava nelle navi-galere danesi, in tutto simili alle altre, che trasportavano il “carico vivo”, come veniva chiamato allora, dalle coste dell’Africa centro-occidentale alle Indie Occidentali, cioè l’America.

Pierre e Jean – Guy De Maupassant

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Consigliamo – Una vita di Maupassant


Pierre e Jean è il quarto romanzo di Maupassant ed è edito nel 1888. Esso tratta di una storia di una famiglia piccolo borghese di Le Havre, costituita da quattro persone: il padre, la madre e due figli. Il padre, il signor Roland, è un uomo che possedeva una gioielleria a Parigi, abbandonata per godersi la vecchiaia. Ama le gite in barca a vela, pescare e tutto quello che ricorda una vita di mare, inautentica ma comoda, nella quale si cimenta, non senza l’ausilio di un marinaio appositamente pagato. Egli si presenta come un uomo semplice, piano, un po’ rozzo, incline alla bestemmia facile in casa e ottime maniere fuori di casa, a suo modo un bonaccione senza pretesa alcuna ma risulta incapace di comprendere i più semplici sentimenti dell’animo umano, avendone, egli, così pochi. La signora Roland viene definita come “[…] una donna d’ordine, economa, borghese, un po’ sentimentale, dotata di una tenera anima di cassiera…”. Pierre, il più grande dei due fratelli, è una persona di un’intelligenza acuta, incapace, però, di tradurre il suo intelletto in azioni fruttuose, quanto meno dal punto di vista prettamente egoistico. A trent’anni, può vantare solo un grande numero di fallimenti e una laurea in medicina, giunta non senza un certo dispendio di tempo. Non ha amore, non ha amici, eccezion fatta per il vecchio farmacista, e non ha lavoro ma, tutto considerato, tutto ciò non sembra turbarlo più di tanto, vivendo in quell’atmosfera ovattata e facile che è vivere in famiglia che gli consente una vita priva di grandi iniziative e qualche sacrificio che, però, è più che tollerabile. Jean ha un carattere leggermente più docile del fratello, del quale non possiede l’intraprendenza ma, proprio per questo, vive una vita molto più lineare, senza grandi apici o discese. Il che lo conduce a possedere una laurea in giurisprudenza a venticinque anni e una testa libera da intrusioni pericolose di idee devianti dalla considerazione dell’utilità, considerazioni di un utile che, d’altronde, non diventa mai idea fissa ma solo la condizione necessaria e sufficiente per una vita già decisa a priori: lavoro, famiglia e qualche svago moderato di quando in quando. Per questo Jean, senza troppo sforzarsi, giunge ad innamorarsi della signora Rosémilly: “La giovane vedova era una donna consapevole, che conosceva l’esistenza d’istinto come un animale libero, quasi, a soli ventitré anni, avesse visto subito, compreso e soppesato tutti gli avvenimenti possibili che giudicava in modo sano, realistico e benevolo”.[1] La famiglia Roland vive momenti di alti e bassi senza vertici importanti, come tutte le famiglie piccolo borghesi, nelle quali basta poco per renderle molto infelici e per le quali ci vuole molto per renderle felici. Ma arriva un importante cambiamento. Un vecchi amico di famiglia, il signor Maréchal muore e lascia in eredità una piccola fortuna a Jean. Questo fatto sconvolge la vita della famiglia: Jean ne risulta felice all’inverosimile per le possibilità che gli si aprono di fronte.

Racconti Matematici

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I commentatori usano questo sistema, i punti più ovvi sono spiegati e discussi ad libitum, i passi oscuri dei quali si amerebbe saper qualcosa, vengono saltati col silenzio della più pura ignoranza.[1]

Huxley

Racconti matematici è una raccolta di racconti il cui massimo comune divisore è l’espressione di un certo “concetto matematico”: ogni singolo racconto opera su un peculiare motivo astratto di origine matematica, motivo analogo ad un tema musicale, orchestrato attraverso una forma letteraria. Per ragioni di spazio, parleremo solo dei racconti più rimarchevoli.