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Geni e morale, relazione possibile?

La ricerca neuroetica degli ultimi quindici anni ha dimostrato, attraverso studi di risonanza magnetica funzionale (fMRI), che alcune differenze individuali dell’attivazione cerebrale possono associarsi a diverse decisioni morali. Parallelamente, studi farmacologici hanno evidenziato il ruolo cruciale svolto dal neuropeptide ossitocina nel comportamento sociale e nella elaborazione delle emozioni.

L’ossitocina, in particolare, può influenzare una serie di comportamenti rilevanti per la presa di decisione morale, all’interno dei domini della cognizione sociale ed emotiva, come il riconoscimento emotivo, l’altruismo, la formazione dei legami di coppia, la fiducia e la capacità di comprendere lo stato mentale altrui. Si presume pertanto che l’ossitocina possa svolgere un qualche ruolo proprio nel processo di presa di decisione morale.

Inoltre il comportamento sociale può essere, in parte, influenzato dalle componenti genetiche dell’individuo. Pertanto, unendo questi due tipi di risultati, è ipotizzabile che una variazione nei geni rilevanti per l’espressione dell’ossitocina possa contribuire alle differenze individuali nel processo di presa di decisione morale.

A tale proposito, un gruppo di ricerca dell’Università di Bonn facente capo a Nora Walter ha portato evidenze in favore dell’ipotesi di un contributo genetico al processo di presa di decisione morale, attraverso quello che viene descritto come il primo lavoro nel suo genere. Nello studio, pubblicato su Brain & Cognition col titolo “Ignorance is no excuse: Moral judgments are influenced by a genetic variation on the oxytocin receptor gene”, 154 soggetti sono stati genotipizzati per un polimorfismo funzionale (rs2268498) del gene che codifica per il recettore dell’ossitocina.

I soggetti sono stati divisi in due gruppi: da una parte i portatori dell’allele C e dall’altra i non portatori (ovvero i soggetti omozigoti per l’allele T), dove la presenza dell’allele C è correlata ad una maggiore espressione di mRNA per il recettore dell’ossitocina. Dopodiché, tutti i soggetti hanno giudicato il grado di disapprovazione morale di differenti tipi di danno, implicato in una storia morale dilemmatica: intenzionale, accidentale e intenzionale ma solo tentato. In breve, si è trovato che i portatori valutano il danno compiuto in modo accidentale come più biasimevole di quanto non facciano i non portatori.

E poiché il polimorfismo preso in esame è stato associato con l’emotività negativa, i ricercatori ipotizzano con cautela che la risposta dei portatori possa dipendere dal fatto che essi, nel risolvere i dilemmi morali vertenti su situazioni in cui è implicato un danno compiuto accidentalmente, siano maggiormente influenzati dall’emotività negativa sorta dalla considerazione dell’avvenimento del danno, al contrario dei non portatori, i quali sarebbero dunque influenzati maggiormente dal ragionamento (razionale).

Questo studio prospetta di fatto l’aprirsi di uno stimolante e nuovo settore di ricerca nel contesto della neuroetica, relativo alla chiarificazione del ruolo di alcuni ormoni e neurotrasmettitori nel processo di presa di decisione morale, nonché dell’apporto genetico alle nostre decisioni. Ora è evidente che questo tipo di studi (come tutti gli studi che vogliono spiegare fenomeni complessi del resto) abbiano dei limiti intrinseci. E’ noto che il fattore genetico è solamente uno tra i tanti possibili implicati nella determinazione di un giudizio morale e che i fenotipi complessi sono influenzati da un grande numero di geni, ciascuno dei quali ha in realtà un minimo effetto di influenza.

Pertanto si dovrebbe senz’altro frenare i facili entusiasmi che tendono, di fronte ad un risultato del genere (che suggerisce che una componente genetica possa predire un tipo di risposta morale del soggetto), a fare della variabile individuata nello studio la variabile con l’incidenza maggiore sul comportamento, e dunque la più rilevante. Altresì bisognerebbe evitare il rischio opposto, del rifiuto o dello scredito di questo tipo di studi. La ricerca in laboratorio deve per forza di cose procedere a piccoli passi, separando dal complesso e studiando singole variabili, nonché stabilendo determinate relazioni tra fatti, il che significa l’impossibilità di studiare l’uomo nel suo complesso, il suo giudizio morale prestando attenzione, in una sola volta, a tutti i possibili fattori interagenti.

Reference:

Walter, N.T., Montag, C., Markett, S., Felten, A., Voigt, G., Reuter, M. (2012) Ignorance is no excuse: Moral judgments are influenced by a genetic variation on the oxytocin receptor gene. Brain and Cognition. 78; pp. 268-273.

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Articolo originale pubblicato su BRAINFACTOR Cervello e Neuroscienze – Testata registrata al Tribunale Milano N. 538 del 18/9/2008. Direttore Responsabile: Marco Mozzoni.

Questo articolo è stato inoltre pubblicato nel monografico dedicato alla morale di Brainfactor Journal Vol. 5 Issue 2 pg. 2.


Francesco Margoni

Assegnista di ricerca presso il Dipartimento di Psicologia e Scienze Cognitive dell’Università di Trento. Studia lo sviluppo del ragionamento morale nella prima infanzia e i meccanismi cognitivi che ci permettono di interpretare il complesso mondo sociale nel quale viviamo. Collabora con la rivista di scienze e storia Prometeo e con la testata on-line Brainfactor. Per Scuola Filosofica scrive di scienza e filosofia, e pubblica un lungo commento personale ai testi vedici. E' uno storico collaboratore di Scuola Filosofica.

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