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Categoria: Saggi di Critica Sociale

Sui movimenti politici del XXI secolo

Ispirati dalle numerose e prestigiose conferenze tenute da Ivan Krastev, Chairman of the Centre for Liberal Strategies in Sofia, proponiamo una analisi ad ampio raggio sui vari movimenti politici del XXI secolo che si sono affermati o che vanno ad affermarsi soprattutto, ma non solo, in Europa. Gran parte delle osservazioni contenute in questo articolo sono, appunto, riprese dai risultati dell’ascolto di varie conferenze e su alcune riflessioni personali.

I movimenti politici sono sempre esistiti nella cultura politica europea, almeno dalla rivoluzione francese del 1789 in avanti. Da un punto di vista filosofico, le parole “un movimento politico” stanno per una descrizione definita che si riferisce ad un insieme di oggetti sociali vaghi e diversificati. Infatti, la dicitura “movimento politico” non solo non è un nome (un designatore rigido nei termini di Saul Kripke o, differentemente, come termine per un individuo singolo nella teoria di Frege e Russell) ma non è neppure una locuzione che si riferisce ad un solo tipo di insieme di individui. Il termine è vago ma anche l’oggetto identificato è sfuggente perché l’oggetto sociale in questione non è unico. L’insieme dei gatti è unico ed è chiaro, l’insieme dei movimenti politici include molte cose diverse all’interno. Il lettore avrà subito osservato che non ho impiegato la parola “organizzazione” e ciò è di proposito. Solamente alcuni movimenti finiscono per diventare vere e proprie organizzazioni. In particolare, proprio i movimenti politici più diffusi nel XXI secolo, distinti ad esempio dai partiti tradizionali (quindi per natura verticali), si autocaratterizzano come non-organizzati, come insieme di individui che partecipano alla stessa attività spontaneamente.

La morte e la gestione dell’anziano – Due problemi attuali perché eterni

Abstract

In questo articolo cercheremo di mostrare perché la gestione dell’anziano e la morte sono così problematici all’interno della società della complessità. Non si vuole ammettere che oltre alle evidenti questioni economiche e logistiche, c’è una questione morale la cui decisione comunque determinerà una variazione di tutte le relazioni umane presenti nella rete sociale della famiglia. La revisione dei rapporti sociali, fondati su norme non scritte e, perciò, ancora più rigide e aleatorie, è un’operazione delicata e difficile. Non solo, ma la possibilità di risolvere in modo adeguato il problema dipenderà esclusivamente dalla capacità di saper riadattare la propria relazione con tutti gli altri membri della famiglia e tutti devono fare, perciò, la loro parte.


Quando nasce un figlio nascono immediatamente una rete di relazioni tra i familiari e il nuovo venuto, supponendo che il bambino nasca in una famiglia normale. Chiamiamo a il bambino, la madre m e il padre p e così di seguito i vari familiari. Come minimo, non solo si forma una relazione R tale che R(m,a) e R(p,a), ma anche una nuova relazione !R tale che

 

!R(R(m,p), R(m,a), R(p,a) implica R(m,p,a)),

dove !R è una relazione che sancisce che esiste una connessione tra tutti i membri della famiglia. Si noti che !R è una relazione che richiede l’implicazione della relazione R(m,p,a): infatti la sussistenza delle sole relazioni a due posti di madre e di padre e di matrimonio non determinano di per sé l’esistenza della famiglia. Per esempio, supponiamo che il figlio sia dato in adozione: le relazioni R sono tutte mantenute (il padre rimane il padre, la madre la madre e la madre e il padre magari rimangono sposati) ma non si ha la relazione !R! Quindi la definizione di un nucleo familiare, la relazione !R, è superiore alla semplice somma degli individui ma anche alle loro relazioni umane tra loro. E non è un caso, infatti, che la nozione di “famiglia” sia considerata, nella sua vaghezza, un valore indipendente dalla somma degli individui, sia da un punto di vista legale, che religioso e morale. E il motivo è semplicemente quello che abbiamo mostrato.

Brexit: il 51% della storia!

Il Brexit, così chiamata con un acronimo l’uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea, è un risultato inaspettato anche per il promotore del referendum, Farage. In diretta da Londra ore 2.00 della notte del 23.06.2016, il politico inglese riconosceva la sconfitta del suo movimento (sic!), giacché era sotto di ben 6 punti rispetto al fronte contrario. Neppure lui ci credeva, allora, visto che non ha neppure detto una volta: “aspettiamo, vediamo come va a finire”. Insomma, si tratta dell’ennesimo caso in cui un politico fonda tutta la sua aspettativa su un rifiuto di uno stato di cose senza avere neppure idea di cosa fare nel caso migliore.

Nell’intelligence strategica si parla di sorpresa strategica in due casi. Per inciso, l’intelligence strategica si occupa di comprendere i comportamenti attesi e non attesi degli avversari della scena internazionale: forse sarà il caso di elaborare una qualche forma di “x-strategica” anche in altri campi… Dunque, si diceva della sorpresa nel campo dell’intelligence strategica. Ebbene, qualcuno sarà sorpreso (a sua volta) di scoprire che i danni più grandi dall’elemento sorpresa prevedono il caso peggiore e il caso migliore. Supponiamo che voi siate un giovane di belle speranze. Vedete una bella ragazza. Non siete i tipi irriflessivi, di quelli che non sicurano minimamente del futuro (e quindi non possono avere sorprese, da notare). Sicché pensate: forse forse ci parlo. Alla fine, andate dalla ragazza. Due scenari opposti: nel primo caso, arriva subito come un falco il possente compagno della giovane che vi minaccia di percosse e voi, assai sorpresi, ve ne andate intimoriti. Infondo, non ci avevate pensato, non avevate pensato ad una storia da raccontare per fargli credere che davvero volevate soltanto una sigaretta. Ma può capitare anche l’opposto. Andate a parlarci e lei è molto più disponibile di voi. Siete a tal punto disorientati che non sapete più cosa dire e finite per balbettare qualche sciocchezza che suona talmente ridicola da non sapere più cosa fare. Il risultato è sostanzialmente lo stesso.

Vivi e lascia vivere? Una riflessione sugli attentati terroristici in Europa

Si pensa spesso che il problema terroristico sia principalmente una questione americana, nata contro gli Stati Uniti perché il paese che assomma tutte le colpe del blocco occidentale: paese capitalista, democratico ma con una chiara politica estera, spregiudicato nelle scelte e non sempre capace di risolvere le diatribe internazionali. Ma la verità è un’altra. Dopo l’11 settembre del 2001, i principali attentati terroristici di stampo religioso non si sono concentrati negli USA, ma in Europa: ci sono stati attentati nelle capitali dei paesi più importanti dell’Europa, cioè Madrid, Londra, Parigi e oggi Bruxelles; ci sono stati evidenti problemi anche in Danimarca e in Germania. Inoltre, la frequenza degli attentati sta crescendo ed è impossibile ignorarne la sempre più lunga ombra sulla sicurezza del blocco europeo. Non è una questione di controllo delle frontiere interne dell’Europa.

L’Europa è sempre stato un insieme di Paesi non solo disuniti, ma addirittura nemici tra loro. Non c’è bisogno di riportare il caso dell’infinita sequenza di guerre intestine, guerre propriamente europee per scoprire quello che sappiamo tutti. Però, proprio quando l’Europa si combatteva nei campi di battaglia, proprio allora, l’Europa si era scoperta padrona del Mondo, con l’economia più prospera del pianeta e con una delle tradizioni culturali più straordinarie che siano mai state concepite. Sia chiaro che il colonialismo e l’imperialismo non sono intrinseche virtù politiche e sociali, sono solamente un dato di fatto. Non gli Stati Uniti, non l’URSS, ma l’Europa ha avuto sottomano simultaneamente l’Africa, il Sud-est Asiatico, e gran parte dell’estremo oriente sotto le sue mani. Perché? Perché l’Europa, sin dalle origini, è un popolo guerriero, in armi, pronto a mandare al macello i propri giovani per vantaggi politici. Ora le cose sono cambiate?

Trash! – Una guida filosofica all’incategorizzabile

Trash

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Una delle attività più diffuse nell’era dei social, di internet e dei media della rete è la condivisione, diffusione e produzione di materiali comunemente qualificati come “trash”. Si intende, che senza gli spettatori, la produzione di simili materiali sarebbe ipso facto inutile. A differenza di un quadro di Goya, di un film di Orson Wells, che hanno un valore intrinseco, estetico, inestimabile, la categoria del trash ha senso solamente se c’è qualcuno che la guarda. E’ lo spettatore che conferisce in modo significativo la qualifica di “trash” a qualcosa. Su questo ci torneremo.

Prima di cominciare, vorrei chiarire il fatto che questo è uno studio filosofico, una analisi scientifica che non vuole prendere parte alla questione morale. E come tale, dunque, rifiuta ogni sua categorizzazione in tal senso. Sicché il lettore è avvisato: non troverà giudizi di valore e l’autore non si sente impegnato a dover eventualmente difendersi in tal senso, come si conviene ad una spassionata analisi filosofica.

Tacchi a spillo! Una analisi… filosofica?

Tacchi a Spillo

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Consigliamo Stirare o non stirare, questo il problema!


2008 In un momento in cui la mia coscienza era sita in Siena e residente a casa del caro Emilio, ad un orario imprecisato della sera, durante una delle mie consuete passeggiate serali, da buon anziano ante litteram (ma c’era ben poco da fare quando il circolo di scacchi chiudeva le porte…)

Toc, toc, toc, clop, clop clop…

Ma che è? Ci sono dei cavalli dietro di me?

Toc, toc, toc, clop, clop clop… Voci di donne si sovrappongono ad uno scalpiccio degno dell’armata rossa in parata. …Ah ah ah! Si, andiamo in quel locale. Solo bello…

Toc, toc, toc, clop, clop clop…

Ero ancora in quel di Siena, dove sentire degli zoccoli di cavalli battere sul selciato o sulla pietra che pavimenta gran parte della città interna alle mura, non era una cosa così implausibile come potrebbe sembrare. Sicché, quando ancora le voci erano lontane, non era così inverosimile credere che ci fossero davvero dei cavalli. Invece no. Si trattava di giovani donne in dirittura d’arrivo per uno dei (pochi) bar (alla moda giovanile) di Siena. Quando le vidi arrivare, sembravano appunto dei cavalli, che incedevano con un passo (mal)fermo, ma sicuro allo stesso tempo. Il loro essere cavallino si evinceva, oltre che da un rumore sorprendente, anche dalle loro zampe, irrigidite dallo zoccolo alto che dovevano montare: come i muscoli del cavallo si tendono per muovere le possenti zampe, sopra cui infiniti eserciti sono saliti e scesi, così l’apparato motorio delle suddette giovani sembrava rievocare quelli dei possenti destrieri medioevali che ancora si fronteggiano nella piazza del Campo, inesorabilmente, da secoli.

Salviamo la lingua sarda

723032849Voglio parlarvi di un tema a me molto caro: l’insegnamento del Sardo, come lingua ufficiale, nelle scuole di ogni grado nel territorio isolano. La Sardegna mi appartiene, lei mi fa sua ogni volta che mi sveglio e mi sento a casa. E’ la mia Terra e, in quanto tale, la voglio preservare in tutto e per tutto. La nostra cultura, la nostra lingua, la nostra casa devono prosperare, e di conseguenza prospererà la nostra identità.

Prima, però, di affrontare tale argomento, è necessario un piccolo passo indietro, fornendo qualche delucidazione a proposito dei processi storici in atto nell’Isola sotto il profilo linguistico della Limba, essenziale per farvi capire il mio punto di vista.
Richiamo dunque l’attenzione dei Sardi, ma anche quella di coloro che pur non essendolo, sono rimasti attratti da questa purezza che ci caratterizza.

Il vampiro – Un’analisi filosofica

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Scopri anche Zombie e fantasmi – Due figure complementari


Forse qualcuno di voi si è chiesto il motivo per cui i vampiri piacciono tanto. Almeno, a me questa domanda è balenata per la testa più di una volta. Infatti a me i vampiri non dicono assolutamente niente. Non li trovo né belli né brutti, né affascinanti né repellenti. Non mi sembrano neppure una stramberia. Semplicemente li ignoro.

Naturalmente mi sono imbattuto nella visione di più di un film o narrativa che, in modo diretto o indiretto, considerava la figura del vampiro. Ma il mio problema non era capire in sé cosa fosse il vampiro, ma comprendere perché i vampiri piacciono tanto. E sin dalle origini, sin dai lavori di Bram Stoker e dell’eccezionale Nosferatu il vampiro di Murnau, il vampiro si è imposto subito all’attenzione del pubblico. Ci deve essere un motivo per questo. O, come sempre, una serie di motivi.

Intanto il vampiro evoca una atmosfera gotica, di mistero e di antico, che può affascinare. Infatti, il vampiro (un essere di fantasia) ha un forte legame con il passato oscuro, quasi sempre del medioevo, in cui le immagini dell’immaginario sono spesso di morte e di dominio dell’occulto. Il fascino per i poteri misteriosi congiunti al male hanno sempre interessato le persone, perché rivedono un aspetto della loro realtà che li domina ma li vorrebbe vedere dominatori: essi si sentono schiavi della tecnologia, che non capiscono (quanti sono in grado di spiegare il funzionamento di uno smartphone o del computer, strumenti ormai indispensabili? Ma anche quanti sono in grado di spiegare il funzionamento della caffettiera?), ma allo stesso tempo vorrebbero essere i depositari di quel sapere che la tecnologia dispone e dischiude. Quindi il fascino goticheggiante avvolge il vampiro e lo rende comprensibile alla luce della società ad alto impatto tecnologico che, però, ignora i fondamenti naturali di quello stesso sapere. Il vampiro conserva il fascino del potere che non può essere dominato.

Il paradosso meretricio

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Consigliamo I paradossi dalla A alla Z di Michael ClarkUn paradosso per lo storicismo


Problema: in una strada x ci sono n prostitute. Nella strada z perpendicolare a x, ci sono n – 1/2 prostitute. Nella strada y, dove y è parallela a x ci sono 0 prostitute. Perché le prostitute tendono a concentrarsi tutte in una o due strade al massimo pur lasciando tutte le altre immediatamente vicine vuote?

Il problema del paradosso meretricio nasce da una constatazione di fatto. Ho abitato in tre città diverse e ho avuto modo di vederne molte di più. Ma il risultato è sempre lo stesso. Che si passi in macchina o si passeggi a piedi, quando si conoscono ormai da un po’ le strade di una città, si scopre facilmente che le prostitute sono concentrate in una strada e poi si diradino al massimo in una o due ma non si spandano a macchia d’olio (come per certi versi sarebbe intuitivo aspettarsi). Tra l’altro si tratta di una constatazione comune.

Ho forti dubbi che ci sia una sorta di superorganizzazione del traffico, una sorta di rettiliana affiliazione internazionale generale delle signore (o signori), perciò la soluzione va cercata in altro. E sia detto per inciso che la stessa regola di massima concentrazione varrebbe anche nel caso delle case chiuse, in cui le lavoratrici si concentrano direttamente negli stabili e che le lascia libere dalle infinite malattie, tirannie e violenze del mondo della strada, la cui ingiustizia è almeno pari alla tristezza della loro condizione lavorativa. Perché nessun uomo di fede o laico può realmente pensare che sia accettabile avere delle giovani donne abbandonate al ciglio della strada piuttosto che con un tetto sulla testa. Perché se è vero che siamo tutti esseri umani e abbiamo tutti una dignità, allora ciò vale anche per chi è costretto ad usare il proprio corpo per guadagnare, quel corpo che altri usano quando e come vogliono e magari per provare ad essere felici… detto questo non mi sento in dovere di replicare a inutili commenti sull’argomento, nel caso strano in cui ce ne fossero. Chiedo ai lettori di portare pazienza, ma temo che non sia la sede giusta per inutili quanto sterili polemiche.