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Business Plan: 35 milioni di ragioni per farlo

Free Pic. AutTumisu: https://pixabay.com/it/illustrations/business-plan-2061634/

Introduzione

Qualche giorno fa, mentre la calura di un’estate che in Italia ha tardato ad arrivare, vittima di un mio non nobile vizio, con un sigaro acceso, mi sono imbattuto in un Business Plan (BP). L’ennesimo che, in pochi anni, mi trovo ad ogni angolo di posta elettronica. E mi sono domandando: ma quale è la storia di un BP?

Senza indugiare troppo sulla sua definizione, che ben altri sono preposti a fornire in maniera esaustiva, un BP è un documento rivolto sia alla pianificazione aziendale interna sia alla raccolta di capitali. La Treccani bene espone i due tratti che caratterizzano il BP: una parte introduttiva e narrativa che spiega il modello di business, il perché dell’investimento (o finanziamento), la concorrenza, il mercato e il team. La seconda parte è numerica ed espone il conto economico, la sostenibilità finanziaria e vari indici di sviluppo.

Su internet, come sui manuali, si trovano numerosi esempi di BP che, in genere, mettono in evidenza comunque la seconda parte finanziaria. Questo è il vero scoglio per chi vi si approccia e il motivo è abbastanza lapalissiano per chi si è trovato a redigerli o a valutarli: spesso sono progetti aziendali, per cui i numeri sono mere stime o auspici. Proprio per questo motivo, non di rado sono presenti almeno due scenari quantitativi diversi: uno migliore e uno peggiore (diminuito di un terzo circa). Non è propriamente un’analisi di scenario (magari solo talvolta) quanto piuttosto un modo per prevenire generici e ipotizzabili eventi contrari. Questa previsione peggiorativa è giustificata anche dal fatto che i BP, con i conti economici e la parte finanziaria, hanno un orizzonte temporale di almeno tre anni, sebbene poi divisi annualmente e mensilmente.

Ritornando al suo duplice scopo: verso l’interno per la gestione aziendale e verso l’esterno per procacciare capitali, è su quest’ultimo che si concentra la presente storia.

Al lettore mi rivolgo, consigliando di aprire questo articolo di sera, magari in veranda o con la fronte verso una finestra aperta, facendo lo sforzo di pensare che non si tratti, come effettivamente non si tratta, di una disamina scientifica o di un’analisi tecnica del BP, quanto piuttosto di un racconto con dei protagonisti, personaggi secondari e molte vicende umane. È come un atto teatrale, quella della nascita dei BP, che parte da molto lontano ma lega intere generazioni, vicende umane, vittorie, sconfitte e fallimenti, azzardi e scommesse ma essenzialmente racconta la celebre “gabbia d’acciaio” di Max Weber in cui sembrano imprigionati molti aspiranti piccoli e grandi imprenditori di oggi.

Nuovamente, facendo atto ingiusto nei confronti del filosofo tedesco o di chi ne ha raccolto gli insegnamenti, semplifico per la pura utilità di questo racconto. La gabbia d’acciaio è la metafora tramite cui Weber indicava la repressione invisibile ma evidentemente molto stringente della società contemporanea capitalistica, in cui l’individuo è “intrappolato” in determinati ruoli o schemi mentali da cui è incapace di liberarsi (fra l’altro è una prigionia solitaria) e, a differenza delle società precapitalistiche, non ha più la capacità di conoscere il perché delle cose della vita o di immaginarsi un sistema che non sia quello dato.

Cosa accomuna la gabbia d’acciaio, metafora sicuramente molto evocativa, alla redazione di un BP è presto detto: perché questi documenti devono essere presentati ogni qual volta ci si prepari ad aprire un’attività economica e perché devono rispondere a determinati e precisi criteri redazionali? Come per qualsiasi altra cosa avvenuta nella storia umana, ad un certo momento, magari durato secoli, qualcuno deve aver pensato che bisognasse far così e deve aver avuto la forza per imporre il suo giudizio e far adottare la propria idea a tutti gli altri. Senza voler giudicare se sia stato un bene o un male perché non mi pertiene, credo sia sempre utile interrogarsi sull’origine delle questioni e scoprire se fossero una necessità oppure qualcos’altro.

Sarebbe incomprensibile supporre che fino a pochi secoli fa non esistessero forme di BP. Anzi, di documenti di rendicontazione finanziaria o anche di previsione economica sulle attività sono sempre esistiti. Basti pensare ai primissimi commerci, anche al tempo dei Sumeri o con l’Impero Romano, dove le merci percorrevano migliaia di chilometri o a quello cinese e poi ancora al medioevo, alle banche rinascimentali e alle prime colonizzazioni nei nuovi continenti. In tutti questi casi, sicuramente ci sarà stato chi chiedeva denaro o altra merce in prestito, con l’obbligo di rifondare il creditore e magari lasciando qualcosa in garanzia nell’eventualità che l’affare non fosse andato bene. Perciò, ci sono stati metodi per valutare la redditività, la sostenibilità e la fattibilità di un’impresa ben prima che qualcuno decidesse che andasse fatto in un modo preciso e con degli indici precisi.

Erat in quadam civitate: ovvero la storia di un economista che rischiò la ghigliottina e vendette la Louisiana

Come una favola, parafrasando Apuleio, si potrebbe iniziare così: Erat in quadam civitate, che nello specifico è Parigi, un discendente della piccola nobiltà francese, figlio di orologiaio ugonotto, il quale, più appassionato di poesia che di orologi, decise di non seguire le orme paterne. Come in tutte le famiglie, ci si può immaginare che il padre non avesse gradito un figlio tanto diverso da lui, ribelle nel voler perseguire la conoscenza teorica invece che la tecnica pratica. Il sentimento di ribellione ma ancor più, forse, la determinazione e la forza delle proprie convinzioni sono gli aspetti cruciali della vita di questo figlio aspirante scrittore. Nel corso degli anni è stato alto funzionario di stato, economista famoso, consigliere di re e presidenti, parlamentare, ha rischiato il collo sulla ghigliottina, forse spia e negoziatore ai massimi livelli. Ma è stato, anche, uno dei più grandi visionari dei suoi tempi. Si tratta di Pierre Samuel du Pont de Nemours, che alla nascita non si chiama ancora “de Nemours”, il cui ritratto ci mostra un signore dalla fronte alta, i capelli ben tirati all’indietro, dal sorriso enigmatico e dallo sguardo vigile: quegli occhi che non si fermano alla linea dell’orizzonte ma sanno andare oltre, immaginando e già pianificando nuovi lidi. E se Messier du Pont avesse avuto contezza di cosa avrebbe lasciato alla Storia, quasi certamente quegli occhi mirati sul futuro avrebbero riso ancor di più di chi, in vita, gli fu detrattore.

[1]

Sulla sua vita non sono molte le informazioni liberamente e facilmente accessibili e verificabili, per cui dovremo fare un certo sforzo di immaginazione, riflettendo, per esempio, sul contesto culturale e filosofico in cui crebbe du Pont. Era la Francia degli illuministi, prerivoluzionaria, ancora immersa completamente nell’Antico regime ma non meno aperta ad un florido ed incessante dibattito economico e politico. Erano gli anni, o meglio il secolo, in cui i fatti della vita si iniziavano ad interpetrare sempre più spesso con metodi e strumenti analitici, in cui fiducia nel progresso della civiltà, nell’emancipazione dalle antiche tradizioni e industria dilagavano. E du Pont si trovava al centro di tutto questo e si avvicinò alle innovative idee economiche di Quesnay, celebre economista e uomo di stato. Accadeva tutto in anni particolarmente rilevanti non solo per la storia della Francia ma anche per il resto del mondo: infatti, nel 1756 era scoppiata la guerra dei sette anni che coinvolse scontri ben oltre i confini europei (e che segnò l’ascesa della Gran Bretagna come prima potenza mondiale a danno della Francia) e qualche anno prima, nel 1751, era iniziata la pubblicazione dell’immenso lavoro scientifico ed umano che è l’Enciclopedia di Diderot e D’Alembert.

In un’Europa che stava cambiando, in una Francia che era uno, forse il principale, motore di questi fermenti e in una Parigi che fulgeva da centro nevralgico di molte nuove idee, du Pont, come si è accennato, scoprì nella dottrina economica di Quesnay delle soluzioni vincenti. Brevemente, il pensiero economico che du Pont abbracciò e che proprio anche a lui deve il suo nome, ossia quello fisiocratico, incoraggia la proprietà terriera, il dispotismo (sebbene illuminato) e suddivide la società in classi a seconda della loro posizione rispetto al momento produttivo, quindi trasformativo, distributivo e di consumo. La fortuna della fisiocrazia si deve proprio a du Pont, il quale era anche un fervente sostenitore del libero mercato. E la sua vita, come avremo modo di vedere innanzi, terminerà proprio laddove il libero mercato ha avuto maggior successo: negli Stati Uniti d’America.

La storia di du Pont si lega comunque, e per quello che in questa sede maggiormente interessa, alla nascita della prima forma di BP come lo conosciamo oggi. O almeno, questo è quello che sostiene anche Roger Pearson, Presidente di una società di consulenza manageriale e di educazione all’attività imprenditoriale statunitense, in un suo articolo pubblicato su LinkedIn qualche anno fa. E c’è da crederci che l’origine del moderno BP sia proprio ascrivibile a du Pont, considerato che la società che nascerà e continua a portare il suo nome a oltre due secoli di distanza, ha fatto scuola su come crescere immensamente, diversificare il business e perfino su come calcolare i margini di profitto e il ritorno dell’investimento per chi mette capitale[2]. Prima di arrivare al suo lascito imprenditoriale principale è però opportuno tornare a qualche anno prima, quando, nel 1774 iniziò ad ampliare la propria rete di conoscenza ben oltre i confini dell’Hexagon e fu convocato in Polonia per discutere di una riforma del sistema educativo e nel 1783 contribuì alla stesura del Trattato, non a caso siglato a Parigi, tramite cui la Gran Bretagna riconosceva l’indipendenza delle ex colonie statunitensi. Un contributo alla sovranità di quel lontano Paese che non si dimenticherà di ricambiare gli sforzi dell’economista francese. E proprio a seguito del suo successo, il Re Luigi XVI attribuisce il suffisso “De Nemours” a du Pont, garantendogli una legittimità nobiliare.

Poco dopo aver contribuito alla formalizzazione di un altro trattato fra Francia e Gran Bretagna, la città di Parigi sprofondò nel caos rivoluzionario e du Pont, ormai notissimo economista e uomo di stato, venne eletto all’Assemblea Nazionale. La Rivoluzione inizialmente non fu compattamente antimonarchica e per questo du Pont e suo figlio furono all’Hotel de Tuileries il 10 agosto del 1792, quando con l’accusa di alto tradimento, il Re e la sua famiglia saranno arrestati da sanculotti e giacobini per essere poi condannati a morte. Fra coloro ai quali la ghigliottina avrebbe dovuto dare dimostrazione pratica del genio ingegneristico francese vi rientra anche du Pont, il quale, tuttavia, sarà graziato dalla fortuna e più precisamente dalla caduta di Robespierre. E dopo aver trovato una moglie aristocratica, così da mettere definitivamente al sicuro, possiamo supporre, la propria posizione nobiliare, riflette sulle sue amicizie oltre oceano. Non sappiamo, o almeno non sono riuscito a trovare fonti adeguate, quando o come sia nata l’idea di du Pont di trasferirsi definitivamente nel Delaware. Magari lo ha fatto a seguito del saccheggio della sua residenza nel 1797, esasperato da una situazione di estrema violenza, insicurezza politica e personale. O forse, la delusione per essere passato dal ruolo di consigliere del Re a quello di candidato alla ghigliottina. Si può ipotizzare che un promotore del libero mercato, attaccato all’idea di aristocrazia e di sovrani illuminati, non potesse reggere lo sconvolgimento di quegli anni e l’arrivo di una repubblica. Può essere che ne avesse parlato alla neo-moglie, al figlio Eleuthère e che insieme, quasi certamente a quest’ultimo, avessero deciso di abbandonare il paese natale per imbarcarsi in una nuova avventura. E questa avventura inizia con una lettera[3]. Una lettera agli investitori del Delaware in cui si spiegava come sarebbe funzionata una fabbrica di polvere da sparo.

Forse qualcuno si ricorderà del Paradosso di Jevons discusso nel precedente articolo e di come l’economista inglese avesse trattato del suo paradosso all’interno della questione sull’estrazione del carbone in Gran Bretagna. Un secolo prima circa, anche du Pont probabilmente[4] si era trovato a scrivere su una questione specificamente pratica, per poi estrapolare un qualcosa che avrebbe avuto un significato e un utilizzo ben più ampio. Avrà così avuto occasione di sintetizzare quali dovessero essere gli aspetti principali per l’avvio di un’attività economica, che al suo tempo come al nostro, sono sempre gli stessi: la comparazione costi-benefici, l’organizzazione della produzione e la strategia di vendita. Per prima cosa, bisogna partire dalle risorse che si hanno a disposizione: capitale finanziario, umano, materie prime. Quindi il mercato ossia: i concorrenti, il volume di affari potenziale e quindi la redditività di un’impresa. Tramite questo ultimo aspetto si può sapere in quanto tempo viene ripagato l’investimento iniziale e quando sono disponibili gli utili per la divisione fra gli azionisti o soci oppure per progettare nuovi investimenti. Non meno importante è l’organigramma, che si potrebbe ipotizzare, considerati i tempi di du Pont, fosse gerarchicamente impostato.

Lo spirito calcolatore di du Pont ha avuto modo di rilevarsi vincente anche in un’altra storica occasione[5], quella della “Louisiana Purchase”, ossia quando nel 1803 il Presidente Thomas Jefferson riuscì ad acquistare l’intero territorio del futuro stato americano da Napoleone, più impegnato a preparare le sue guerre in Europa. Il ruolo di du Pont come spia per Jefferson e nel calcolare il valore dell’affare non è mai stato sottaciuto[6].

Al netto del paragrafo precedente, che ci può fornire un inciso utile a immaginare cosa contenesse la missiva di du Pont, fu grazie alla sua rete di conoscenze in America, a partire dal Presidente Thomas Jefferson[7], con il quale condivideva corrispondenza da molti anni. Sebbene, l’impresa di du Pont e di suo figlio Eleuthère negli Stati Uniti fosse secondo alcuni una copertura per garantire la sua uscita dalla Francia, fatto sta che permise di gettare le basi di quella che in futuro sarebbe stata una compagnia che nel 2023 è arrivata ad avere un valore superiore ai 31 miliardi di dollari[8].

Du Pont non aveva in mente solo un business negli Stati Uniti, che sarà poi il figlio a portare avanti facendo tesoro delle sue competenze chimiche, ma un modello di società ispirata alla fisiocrazia e quindi alla grande libertà del mercato, all’accento sulla produzione e in generale con l’ottimismo per il futuro che razionalità, lume della ragione e nuove scienze avrebbero creato un mondo migliore (chissà se il migliore dei mondi possibili).

La storia di du Pont è stata, in estrema sintesi, la vita di un uomo dalle grandi ambizioni, dalla mente sicuramente molto lucida e dalla straordinaria capacità di intessere relazioni, saper divulgare e promuovere le proprie idee e di non darsi per vinto. Che sia stato lui o meno a scrivere il primo BP o che le sue convinzioni economiche siano veramente superate, lascia un grande ma anche terribile insegnamento: che le lettere agli investitori funzionano quando sei già all’apice della carriera.

Il Business Plan e le nuove imprese

Il successo di du Pont, o forse più semplicemente lo sviluppo dell’industrializzazione, ha avuto come effetto nel corso del XIX secolo[9], un aumento significativo dei casi di programmazione preliminare del business. Una nuova figura professionale, quella del manager di azienda, iniziava così a svilupparsi autonomamente, raccogliendo in sé anche tutte le competenze necessarie per analizzare, monitorare e valutare l’andamento della produzione, le vendite, l’organizzazione del personale e la gestione dei flussi di cassa. Un cambio di passo culturale, che agli inizi del ‘900, trovò il suo campione in Frederick Taylor e nel management scientifico che si sviluppa in seguito. Quindi, se già nel corso del XIX secolo negli Stati Uniti, i BP iniziarono a riscuotere i primi successi[10], è stato con il “secolo breve” che hanno trovato la loro vera fortuna. Insieme allo strategic planning e allo strategic thinking sono stati molti gli economisti che si sono occupati del “nodo gordiano” di poter programmare e stabilire aritmeticamente il futuro di un’azienda[11]. Il vero cambio di passo potrebbe esserci stato comunque solo nel corso degli ultimi decenni del ‘900, con la nascita di grandi aziende di consulenza e con l’avvento delle start up della Silicon Valley. Anche qui, si torna sul concetto di innovazione tecnologica perché l’idea di poter creare aziende dal niente, con pochi capitali iniziali, e che potessero invece permettere ingenti ritorni economici in breve tempo, ha coinvolto un numero di persone crescente. Infatti, si potrebbe dire che il BP come strumento di massa si lega indissolubilmente all’avvento della digitalizzazione e, non a caso, quasi tutti i riferimenti a questo documento trattano anche esempi di start up o imprese digitali. Non sfuggirà che proprio questo sviluppo tardo novecentesco ha enfatizzato il “volto esterno” del BP: ovvero, quello rivolto a investitori e finanziatori piuttosto che la sua funzione programmatrice ad uso interno. E una volta che i più influenti gruppi di investitori, società di consulenza specializzata e istituti di credito hanno, non possiamo dire se volontariamente, trovato dei comuni standard su cui valutare i BP, questi sono divenuti dei prodotti di largo consumo con economie di scala[12].

Insomma, ciascuno è libero e incoraggiato ad avventurarsi nella creazione di un’azienda, con la prospettiva idealizzata di poter avere un successo strepitoso (soprattutto e inizialmente nel caso delle start up) ma per farlo deve attenersi a delle procedure precise, per il cui accesso bisogna rivolgersi a specifici professionisti. Questi professionisti sono gli stessi che hanno i canali di comunicazione più diretta con gli investitori e gli istituti di credito, mitizzabili in una sorta di custodi di arcana secreta. Nel corso degli anni, non solo le prime e più grandi società di consulenza manageriale ma anche altri professionisti (come in Italia i commercialisti) hanno adattato le proprie competenze alla necessità di preparare BP per i propri clienti. Così, se fino a cento anni fa e per tutti i secoli precedenti, per avviare un’attività non estremamente complessa poteva essere sufficiente una parola data, un breve documento di sintesi e prospettiva o una lettera, dalla seconda metà del ‘900, soprattutto negli Stati Uniti, si è pensato che anche aprire un negozio di abbigliamento necessitasse di complesse e approfondite analisi prospettiche che, naturalmente, sono un consulente nella grandissima maggioranza dei casi, riesce a fare.

Un mercato difficile da stimare

Quando all’interno dell’introduzione si sono delineate le caratteristiche principali del BP, per ragioni di brevità, non si sono elencati tutti i documenti che lo compongono anche nella parte finanziaria. Per essere più precisi, infatti, un BP prevede:

  • una parte di analisi degli investimenti, detta CAPEX, suddivisa in immobilizzazioni materiali, immateriali e finanziarie;
  • una di conto economico: dove si inizia con il fatturato e si sottraggono le varie voci di costo per calcolare alcuni indici di redditività e ritorno dell’investimento;
  • una di stato patrimoniale, dove si riportano, oltre alle immobilizzazioni anche i crediti ed i debiti;
  • il flusso di cassa: che rappresenta le entrate e le uscite;
  • un magazzino, una stima delle vendite e dei costi: tutti prodromici a costruire i documenti sopra elencati;
  • altre analisi più dettagliate per valutare l’incidenza di particolari materie prime, la resistenza a variazioni di prezzi o disponibilità di mercato.

Tutto questo viene sempre più richiesto non solo all’imprenditore che già possiede un’azienda e che quindi può avere almeno delle serie storiche su cui basare le proprie ipotesi (i BP, come già descritto, prendono forma dalle prime tecniche contemporanee di planning aziendale e quindi sono necessariamente delle stime) ma anche a chi un’azienda non l’ha mai avuta.

Dando per scontato che prima di intraprendere una qualsiasi attività, a meno che non sia di cuore ovviamente, sarebbe buona regola valutare i rischi ed i potenziali benefici e ammettere che mentre i rischi (o i costi) sono quasi delle certezze lapidarie, gli emolumenti sono evanescenti parole nell’aere, può apparire bizzarro che per un’attività non particolarmente innovativa sia necessario questo livello di previsione e programmazione.

Tuttavia, è noto o quantomeno è facile da verificare, che gli istituti bancari in primis e gli altri tipi di investitori chiedono per qualunque genere di impresa un BP.

Da una survey che non ha pretesa di esaustività, ma che il sottoscritto ha condotto coinvolgendo alcuni professionisti dottori commercialisti operanti in diverse regioni d’Italia e che ha trovato riscontro anche navigando su diversi siti online, un BP costa all’aspirante imprenditore dai 500 ai 1500 euro. Più verosimilmente ci si attesta su 800 euro in media. La cifra si riferisce ad un BP per un’attività “ordinaria” come: bar, pizzeria, negozio di abbigliamento e comunque niente che preveda una conoscenza estremamente tecnica che solo periti verticali possono avere[13].

Diamo per buono quindi che, in media, per chi voglia aprire una SRL ordinaria che non sia start up innovativa e che decida di farlo senza aver mai avuto modo di redigere un BP, il primo consulente a cui rivolgersi sia il commercialista. Accettiamo, inoltre, che il commercialista, sempre in media, richieda 800 euro per questo specifico servizio. A quanto può ammontare il volume di affari riferito alla redazione dei BP in Italia?

Secondo uno studio Cerved, nel 2022 sono nate oltre 89 mila imprese in Italia. Supponiamo che la metà di queste siano costituite da giovani under 35, in linea con altri dati (sebbene si riferissero ad un contesto comunque diverso, si possono qui accettare) e che tutte queste siano SRL ordinarie. A conti fatti, il volume di affari relativo alla sola redazione di BP per l’anno 2022 supera i 35 milioni di euro. Ho considerato solo gli under 35 dando per scontato che chi apre un’azienda successivamente abbia già avuto modo di cimentarsi su un BP, anche se si potrebbe ribattere che un giovane può aver più facilmente accesso a fonti diversificate e che quindi sia parimenti probabile che abbia già redatto o analizzato un BP.

Questi dati, che non hanno affatto una validità scientifica, possono comunque dare l’idea dell’entità minima del fenomeno in questione, poiché non si è comunque tenuto conto che:

  • per accedere ad ogni forma di contribuzione pubblica è necessario un BP;
  • nel corso della vita aziendale, è plausibile si redigano più BP;
  • i BP non servono soltanto alle SRL ordinarie e forse, a esclusione di alcuni liberi professionisti in regime forfettario, tutti gli altri ne devono presentare o possedere uno.

La domanda, a questo punto, sorge spontanea: a quanto veramente servono i BP come li abbiamo descritti fino ad ora?

  • Sicuramente hanno una funzione formale: sono necessari per le banche per giustificare l’erogazione di un finanziamento e dimostrare che i capitali non vengono dati a chiunque magari per amicizia o altri criteri non analitici e “asettici”;
  • Possono avere una funzione propedeutica ed educativa: sono il primo test per l’aspirante imprenditore per capire se la propria idea di business possa funzionare e per comprendere più nel dettaglio i costi e i rischi della propria avventura;
  • Dovrebbero avere una funzione di crescita economica: se un BP fosse ben fatto e ancorato alla realtà dovrebbe garantire il grado di solidità dell’impresa e perciò far diminuire la ratio fra imprese che aprono e imprese che chiudono nel corso del tempo. Questo aspetto presuppone che imprese già attive da decine di anni possano chiudere come imprese costituite da poco ma che, a differenza delle seconde, non abbiano avuto un BP all’origine.

Quindi, se ipotizzassimo che i BP sono in uso ad ogni società anche in Italia, supponiamo a partire dall’inizio degli anni 2000 (cioè, quando si è iniziato a parlare anche di start up innovative e con l’adozione della moneta unica), il trend del rapporto nuove aperture/chiusure dovrebbe essere in diminuzione.

I dati a mia disposizione non sono completi, tuttavia, si possono comunque desumere alcuni andamenti storici, che vanno ponderati però anche con gli avvenimenti, in un certo senso catastrofici, che hanno colpito l’Italia (e non solo) in questo primo ventennio del XXI secolo: in particolare, la crisi del 2008 e la pandemia di coronavirus degli ultimi tre anni.

Nel 2005, le nuove aperture erano 126.849 a fronte di 119.373 chiusure mentre nel triennio 2012-2014 le aperture sono state 354 mila con 436 mila chiusure. Ancora, a inizio 2018 mentre debuttavano circa 113 mila nuovi soggetti, lasciano il mercato in oltre 126 mila[14].  Nel 2020, 292 mila imprese sono state avviate mentre 273 mila sono cessate[15].

Compiendo una grave imprecisione, possiamo comunque sfruttare i dati appena citati per comporre il seguente quadro:

  • nel primo decennio (2000-2010), il rapporto aperture-chiusure è stato maggiore di 1 (quindi ogni chiusura almeno più di una apertura);
  • nel secondo decennio fino al 2020, lo stesso rapporto è stato inferiore a 1 (quindi ad ogni chiusura non corrispondeva un’apertura ma probabilmente ogni tre chiusure vi sono state due aperture;
  • con i massicci interventi pubblici di investimento post pandemia e il “boom” di dipendenti che hanno deciso di lasciare il lavoro per aprire attività autonome[16], il rapporto è tornato ad assomigliare a quello del primo decennio.

Questi dati non tengono conto di numerosissime e derimenti variabili, fra cui l’indistinzione fra aziende e partite IVA di autonomi ma pare che l’adozione di BP non sia una variabile determinante.

Pur tuttavia, questo non esclude che siano serviti ad evitare maggiori fallimenti o crisi di liquidità da parte di aspiranti imprenditori, che, proprio esaminando il primissimo BP, non hanno mai aperto l’azienda o hanno cambiato strada.

In conclusione, l’effettiva utilità del BP per ogni tipo di impresa resta una questione aperta su cui è molto difficile fornire un’ultima parola lapidaria. Quel che si può dire è:

  • il BP è stato pensato per convincere investitori e finanziatori con cui già si intrattenevano rapporti (da du Pont in poi);
  • si è sviluppato in concomitanza con l’emergere di sofisticate e complesse tecniche di business analysis ma è diventato un fenomeno massivo, a cui tutti devono far ricorso;
  • sebbene potenzialmente utile, è comunque un’imposizione onerosa per gli aspiranti imprenditori e spesso non redatto secondo i modelli effettivamente efficaci (tanto che per aprire bar o ristoranti si trovano BP già compilati online[17]).

Brevemente, come mero auspicio, si potrebbe ipotizzare un coinvolgimento di Camere di Commercio, regioni, comuni e scuole superiori per fornire le competenze di base agli aspiranti imprenditori, indipendentemente dall’età, e renderli in grado di poter gestire una forma di pianificazione elementare e di lettura di alcuni dati numerici utili a valutare meglio la propria idea di business. Ancora una volta, come per le start up innovative, il coinvolgimento del settore pubblico è non solo auspicabile ma anche necessario ed urgente.

Conclusioni

All’interno dell’introduzione si è fatto riferimento alla fortunata metafora weberiana della gabbia d’acciaio in riferimento alla condizione dell’uomo nella società moderna. Essenzialmente, si può interpretare che l’essere umano imbrigliato in ruoli e regole non ha piena consapevolezza di ciò che sta facendo o del perché lo stia facendo. È una sorta di alienazione generalizzata. La storia di du Pont, dei grandi manager del ‘900 che abbiamo solo sommariamente accennato, racconta non solo di persone estremamente competenti e anche visionarie ma soprattutto di reti sociali estese, di collegamenti importanti e profondi fra industria, finanza, politica e mondo accademico. I BP dall’essere strumenti utili per l’azienda e il suo imprenditore sono passati ad essere passaggi necessari per chiunque voglia aprire un’attività, senza distinzione su quale sia il campo di business, la complessità o il grado di innovazione. Ne è chiara dimostrazione la possibilità di recuperare BP già attagliati sulle varie tipologie di aziende, come si trattasse di qualcosa riproducibile in serie, senza l’anima specifica e unica dell’imprenditore che la costruisce. Proprio questa produzione in serie di BP forse dimostra, al di là di ogni altro ragionevole dubbio, che l’essenza della questione risiede non tanto nel saper dimostrare che un’idea economicamente funziona ma nel rafforzare la posizione degli attori pivotali che fanno da insolubile cinghia di trasmissione fra l’imprenditore, l’istituto di credito o l’investitore. Una distrofia che si nota anche per tutto quell’inintelligibile mondo che sono i contributi pubblici e la finanza agevolata, a cui, senza commissionare l’ausilio di studi professionali dedicati, è praticamente impossibile accedere.

In ultima battuta, magari tutto questo è un bene. Permette agli imprenditori di concentrarsi sulla produzione o la vendita, garantisce ai finanziatori che vengano presentate solo idee e persone vagliate da consulenti di cui già si fidano e addirittura può servire a mettere in guardia dai molteplici costi nascosti che un’azienda deve normalmente affrontare nel corso della sua esistenza. Tuttavia, sarebbe quantomeno poco corretto, non evidenziare che la ragione di maggior successo dietro l’impiego di BP anche laddove per millenni non ve ne è stato bisogno, è una ragione che vale almeno qualche decina di milioni di euro l’anno (ovviamente nella sola Italia).

Note

[1] È un’immagine priva di copyright: https://www.alamy.com/portrait-of-pierre-samuel-du-pont-de-nemours-1739-1817-french-economist-before-1817-pierre-samuel-du-pont-de-nemours-image184932428.html.

[2] Si tratta di analisi matematiche molto complesse, risalenti all’inizio del secolo scorso. Comunque, per avere una panoramica può essere utile guardare ad alcuni siti specializzati che ne definiscono i tratti salienti: https://www.investopedia.com/terms/d/dupontanalysis.asp

[3] In realtà fonti riportano la presenza di più lettere. Tuttavia, è abbastanza verosimile che in primis du Pont abbia scelto un interlocutore, quindi abbia rivolto anche ad altri il proprio interesse.

[4] Devo usare il condizionale e un certo grado di approssimazione e fantasia in merito a quanto segue nel testo in virtù del fatto che le fonti da cui ho ricavato queste informazioni sono frammentarie e non precise. Indi per cui, sarà clemenza del lettore valutare il seguito come non un dato di fatto quanto un qualcosa di plausibile.

[5] Robert F. Hébert, History of Political Economy (1990) 22 (4): 748–751.

https://doi.org/10.1215/00182702-22-4-748

[6] Marc Duke, (1977). The du Ponts: Portrait of a Dynasty. Saturday Review Press. ISBN 0-8415-0429-6. Qui si può leggere online l’intero libro (non gratuitamente): https://archive.org/details/dupontsportraito00duke/page/n365/mode/2up

[7] Robert F. Haggard, The Politics of Friendship: Du Pont, Jefferson, Madison, and the Physiocratic Dream for the New World, 2009 https://web.archive.org/web/20170214010248/https://www.amphilsoc.org/sites/default/files/proceedings/DDHaggard1530403.pdf

[8] Nel momento in cui si scrive si potrebbe indicare anche il valore corrente ma dal momento in cui questo è destinato a variare e, per i casi della vita, poche settimane fa alcuni scandali hanno colpito proprio l’azienda citata, per chi fosse interessato a scoprire maggiormente sul trend del valore della du Pont, si consiglia questo sito: https://www.macrotrends.net/stocks/charts/DD/dupont-de-nemours/net-worth

[9] Nel corso dell’800 fra le varie innovazioni vi fu anche quella dell’emergere della figura del manager, fino a quel momento sconosciuta. Le ragioni sono molteplici e affondano le proprie radici nella rivoluzione industriale e nelle teorie economiche che ne derivano: in particolare, quella di Adam Smith, che qui non necessita di essere discussa in dettaglio. Il tasso di crescita delle aziende così iniziò ad aumentare in maniera insolita (soprattutto in Gran Bretagna e Stati Uniti per quanto riguarda l’Occidente) e per poter gestire un tale grado di sviluppo si rese necessaria una sofisticazione dei metodi di pianificazioni, programmazione e monitoraggio: https://fee.org/articles/the-business-revolution-of-the-nineteenth-century/.

[10] Si parla per esempio anche di “competizioni a premi” per il miglior business plan: https://wisebusinessplans.com/how-did-all-this-business-plan-stuff-get-started/.

[11] Sono davvero molti gli studi e non è possibile, né utile, citarli tutti. Ad ogni modo, uno vale la pena veramente di essere presentato. Henry Mintzberg, The rise and fall of strategic planning, Harvard Business Review, Reprint n. 94107, Jan-Febr 1994, https://www.theisrm.org/public-library/Mintzberg%20(1994)%20Fall%20and%20Rise%20of%20Strategic%20Planning.pdf.

[12] L’economia di scala è la relazione fra aumento della produzione di un bene o erogazione di un servizio associata alla diminuzione del costo medio unitario per la produzione o erogazione di suddetto bene o servizio. Cioè, una volta sostenuto un investimento iniziale che rende le prime produzioni “costose”, man mano che vado avanti, non devo sostenere investimenti altrettanto ingenti relativamente alla produzione per continuare a produrre. È un concetto in genere facilmente impiegato per le società di servizi e per quelle digitali.

[13] Dalla mia survey la cifra risultante minima è di 800 euro netti ma mai fatturati a sé, bensì sempre legati ad altre attività inerenti agli adempimenti amministrativi e fiscali necessari per l’apertura di una società. Inoltre, il riferimento è alla forma societaria della SRL ordinaria. Si tratta di una società di capitali a responsabilità limitata e che richiede un capitale sociale minimo di 10.000 euro per la sua costituzione. Di seguito alcuni siti online per approfondire i preventivi: https://www.studiozamprogna.com/onorari/preventivo-redazione-business-plan/#:~:text=Per%20la%20redazione%20di%20un,entit%C3%A0%20del%20fabbisogno%20finanziario%20iniziale; https://www.startupvincente.com/business-plan-quanto-costa-rivolgersi-ad-un-professionista/; https://www.grownnectia.com/business-plan-costo-tabella-dei-costi; https://blog.moneyfarm.com/it/finanza-personale/quanto-costa-un-commercialista/.

[14] https://www.camera.it/application/xmanager/projects/leg18/attachments/upload_file_doc_acquisiti/pdfs/000/000/081/Memoria_Conflavoro_PMI_3_-_Il_Mercato_del_Lavoro.pdf

[15] https://espresso.repubblica.it/affari/2021/01/18/news/quante-aziende-sono-nate-e-quante-sono-state-chiuse-in-italia-nell-ultimo-anno-1.358588/

[16] “Boom” poi subito rientrato: https://www.pmi.it/economia/mercati/391749/partite-iva-crollano-le-aperture-dopo-il-boom-post-covid.html

[17] Ci sono numerosi siti dove trovarli, con complessità variabile. Anche i professionisti, come ogni buona azienda di servizi che si rispetti, utilizza identici modelli per più clienti. Il fatto di avere un modello in uso non è di per sé un male, il problema è invece piuttosto che la reale attenzione che possiamo supporre venga mediamente posta alla redazione di questi documenti è molto inferiore rispetto a quanto si voglia far credere.


Cosimo Meneguzzo

Mi chiamo Cosimo, classe ‘96. Nato in Toscana, in una campagna ricca di attività produttive dove si respira una storia di più antica che moderna. A quindici anni, sono entrato alla scuola militare Teuliè di Milano, dove mi sono diplomato al liceo classico. Successivamente, mi sono laureato a Firenze, in Scienze Politiche, con un anno di anticipo, per poi trasferirmi a Roma, dove ho vinto il concorso per la Magistrale presso la Luiss Guido Carli e dove ho lavorato in uno studio di relazioni istituzionali. Ho potuto così approfondire la nostra politica sia da un punto di vista teorico che pratico. Dal primo lockdown, ho deciso di inseguire nuovi sogni, contribuendo a costituire alcune società. Ad ora, so che la cooperazione è indispensabile per risolvere i problemi, che bisogna avere una ampia visione e puntare in alto. Credo che lavorare tutti assieme sia oggi un’imprescindibile necessità per vincere le sfide più urgenti, a partire dai danni del cambiamento climatico e dal recupero di competitività internazionale del nostro Paese. Mi interesso di molte questioni e cerco di approfondirle una alla volta.

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