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Categoria: Metafisica

Il Principio di Creazione bontadiniano, tra Parmenide e Gödel

 

Introduzione

Lo scopo di questo articolo è l’analisi del bontadiniano Principio di Creazione e delle aporie che hanno fatto da catalizzatore alla critica, in particolare quella severiniana. L’analisi mira a valutare la conformità del discorso agli standard epistemologici della logica formale e della semantica informale nel rispetto, tuttavia, dell’intenzione comunicativa dell’autore consistente nel fornire, in un’epoca di crisi dei valori, una via per il recupero della metafisica classica e una prova dell’esistenza di Dio.

Le ricerche filosofiche e il secondo Wittgenstein

7. Whereof one cannot speak, thereof one must be silent.

Ludwig Wittgenstein – Tractatus Logico-Philosophicus

 

What we are supplying are really remarks on the natural history of human beings; we are not contributing curiosities however, but observations which no one has doubted, but which have escaped remark only because they are always before our eyes.

Ludwig Wittgenstein – Philosophical Investigations


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  1. Introduzione: il primo e il secondo Wittgenstein

Il secondo Wittgenstein non è una descrizione definita costruita con un nome proprio per indicare una persona che sia diversa dal ‘primo Wittgenstein’ (ad esempio, Plinio il Vecchio e Plinio il Giovane oppure Strauss padre e Strauss figlio, tutte diciture vagamente misleading che complicano la vita alle persone dotate di un’intelligenza che di natura non penetra nell’inutile gergo degli addetti ai lavori). Al contrario, la persona è sempre la stessa ma la dicitura vorrebbe indicare che proprio quella stessa ed unica persona ha “cambiato così tanto parere” che si può parlare di una seconda fase del suo pensiero. Quindi esiste un primo e un secondo Wittgenstein, le cui differenze risiedono proprio in qualche cosa che le Philosophical Investigations (Ricerche filosofiche) avrebbero posto in discussione: ‘in che senso usi la parola pensiero quando dici che il primo Wittgenstein ha un pensiero diverso dal secondo?’ [Se vuoi scaricare il file in pdf., vai qui]

Libertà, volontà e legge morale: una posizione causale neo-kantiana della moralità

Abstract

In questo articolo proponiamo una teoria causale della moralità kantiana, riconsiderando la posizione di Immanuel Kant sulla base di una certa interpretazione spinoziana della volontà umana e della libertà. L’analisi non riporta la storia delle idee ma solamente una posizione causale dell’imperativo categorico kantiano e del valore della responsabilità umana pur parte di una totalità eccedente la sua singola capacità di azione.


Il tema della libertà è uno dei più antichi dell’intera storia della filosofia. Ogni generazione filosofica, che impiega secoli per subentrare alla precedente, ha avuto la sua fitta analisi sulla libertà. Non è questo il posto per la storia dell’idea né per la ricostruzione recente del dibattito. Quanto ci proponiamo di fare, qui, è solamente fornire una analisi generale di un possibile tipo di approccio alla nozione di libertà.

Innanzi tutto, la libertà è una proprietà di alcuni esseri, tra cui forse gli esseri umani. C’è un generale consenso sul fatto che le cose non abbiano a disposizione alcun genere di libertà. Questo perché, in genere, si ritiene che la libertà abbia a che fare con una volontà, ovvero con la capacità di prendere decisioni sulla base di intenzioni. Tuttavia, allo stesso tempo, si ritiene che la stessa volontà abbia dei limiti e le sue decisioni sono influenzate da cause esterne che prendono varie forme. Quindi, una volontà libera è comunque sempre limitata. La relazione tra soggetto e mondo determina la misura della libertà, che è quindi espressa da un predicato a due posti e non è di natura categorica. Si è più o meno liberi, più o meno vincolati dal mondo.

In difesa del senso comune di George E. Moore [Traduzione]

NOTA DEL TRADUTTORE

La traduzione in italiano del testo di George E. Moore, A Defence of Common Sense, è nata dall’esigenza di riflettere sui fondamenti della filosofia. I cosiddetti filosofi del senso comune sono considerati in genere come gli esponenti di un capitolo minore della storia della filosofia. Eppure un implicito “senso comune” sembra essere un sottotesto presente nella riflessione anche dei maggiori filosofi. Prendiamo per esempio un qualsiasi filosofo idealista, che esprime nelle sue opere l’idea che il mondo sia una creazione dell’Io pensante. Se questo filosofo si rivolge ad altri filosofi, o semplicemente include nelle sue frasi, anche non filosofiche, l’idea di un “Noi”, sta in un certo senso tradendo la propria filosofia. Sta esprimendo, infatti, un concetto del senso comune, una sorta di assioma indimostrabile filosoficamente o logicamente, ovvero che è certo che esiste una moltitudine di esseri coscienti e che ognuno di essi può essere in qualche modo in contatto con gli altri. Il testo di Moore che ho tradotto esplora in modo approfondito questa contraddizione nonché l’universalità di alcuni concetti che definiamo appunto come “senso comune”.

– Si segnalano:

Breve biografia di George E. Moore.

Il testo originale del testo tradotto.

Alcuni materiali integrativi.


In difesa del senso comune

In ciò che segue ho cercato semplicemente di chiarire, uno per uno, alcuni dei punti più importanti in cui la mia posizione filosofica differisce dalle posizioni assunte da alcuni altri filosofi. È possibile che i punti che ho ritenuto di menzionare non siano realmente i più importanti, e forse riguardo ad alcuni di essi nessun filosofo ha mai pensato davvero cose diverse dalle mie. Tuttavia, per quanto mi è dato sapere, su ognuno di questi punti molti sono stati effettivamente in disaccordo; anche se (nella maggior parte dei casi, se non altro) su ciascuno di essi molti si sono trovati d’accordo con me.

Considerazioni diverse sulla presenza di Dio

 

Prendendo spunto da una prova ontologica dell’esistenza (e unicità) di Dio ideata dal monaco e teologo Anselmo d’Aosta (1033 ca. – 1109), e dopo altri tentativi effettuati nel corso dei secoli per dimostrare razionalmente l’esistenza di Dio, il matematico e logico Kurt Gödel (1906-1978) ha elaborato un teorema dell’esistenza (e unicità) di Dio [cfr. il libro La prova matematica dell’esistenza di Dio (Kurt Gödel), a cura dei matematici e logici Gabriele Lolli e Piergiorgio Odifreddi, edizione Bollati Boringhieri 2006]. Il teorema fu pubblicato dopo la morte di Gödel, il quale (battista luterano quantunque non appartenente ad alcuna congregazione, teista non panteista, nel solco di Leibniz, come dichiarò lui stesso nel 1975) aveva precisato di nutrire esclusivamente interessi di carattere logico verso la prova elaborata.

Su “La causazione” di David Lewis

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Consigliamo – Introduzione alle teorie della verità – a cura di Giangiuseppe Pili


Abstract

Questo articolo considera la teoria della causazione di David Lewis nella sua formulazione basilare di On Causation (Lewis (1973)).Questo articolo ha una valenza puramente introduttiva e non pretende di esaurire un argomento che il lettore è invitato ad analizzare da solo nei dettagli e scartabellarsi un po’ di letteratura. La posizione di David Lewis è ormai un caposaldo della teoria della causalità, nelle sue varie formulazioni. Ha avuto un grande impatto sul dibattito e, in generale, nella filosofia. Basti considerare che anche in epistemologia, un campo notoriamente non impegnato in forti assunzioni metafisiche in senso stretto, analisi con echi lewisiani sono presenti. Per tutte queste ragioni On Causation fa senza dubbio parte dei classici recenti del pensiero filosofico.