Press "Enter" to skip to content

Categoria: I Grandi Temi della Filosofia

Libertà, volontà e legge morale: una posizione causale neo-kantiana della moralità

Abstract

In questo articolo proponiamo una teoria causale della moralità kantiana, riconsiderando la posizione di Immanuel Kant sulla base di una certa interpretazione spinoziana della volontà umana e della libertà. L’analisi non riporta la storia delle idee ma solamente una posizione causale dell’imperativo categorico kantiano e del valore della responsabilità umana pur parte di una totalità eccedente la sua singola capacità di azione.


Il tema della libertà è uno dei più antichi dell’intera storia della filosofia. Ogni generazione filosofica, che impiega secoli per subentrare alla precedente, ha avuto la sua fitta analisi sulla libertà. Non è questo il posto per la storia dell’idea né per la ricostruzione recente del dibattito. Quanto ci proponiamo di fare, qui, è solamente fornire una analisi generale di un possibile tipo di approccio alla nozione di libertà.

Innanzi tutto, la libertà è una proprietà di alcuni esseri, tra cui forse gli esseri umani. C’è un generale consenso sul fatto che le cose non abbiano a disposizione alcun genere di libertà. Questo perché, in genere, si ritiene che la libertà abbia a che fare con una volontà, ovvero con la capacità di prendere decisioni sulla base di intenzioni. Tuttavia, allo stesso tempo, si ritiene che la stessa volontà abbia dei limiti e le sue decisioni sono influenzate da cause esterne che prendono varie forme. Quindi, una volontà libera è comunque sempre limitata. La relazione tra soggetto e mondo determina la misura della libertà, che è quindi espressa da un predicato a due posti e non è di natura categorica. Si è più o meno liberi, più o meno vincolati dal mondo.

In difesa del senso comune di George E. Moore [Traduzione]

NOTA DEL TRADUTTORE

La traduzione in italiano del testo di George E. Moore, A Defence of Common Sense, è nata dall’esigenza di riflettere sui fondamenti della filosofia. I cosiddetti filosofi del senso comune sono considerati in genere come gli esponenti di un capitolo minore della storia della filosofia. Eppure un implicito “senso comune” sembra essere un sottotesto presente nella riflessione anche dei maggiori filosofi. Prendiamo per esempio un qualsiasi filosofo idealista, che esprime nelle sue opere l’idea che il mondo sia una creazione dell’Io pensante. Se questo filosofo si rivolge ad altri filosofi, o semplicemente include nelle sue frasi, anche non filosofiche, l’idea di un “Noi”, sta in un certo senso tradendo la propria filosofia. Sta esprimendo, infatti, un concetto del senso comune, una sorta di assioma indimostrabile filosoficamente o logicamente, ovvero che è certo che esiste una moltitudine di esseri coscienti e che ognuno di essi può essere in qualche modo in contatto con gli altri. Il testo di Moore che ho tradotto esplora in modo approfondito questa contraddizione nonché l’universalità di alcuni concetti che definiamo appunto come “senso comune”.

– Si segnalano:

Breve biografia di George E. Moore.

Il testo originale del testo tradotto.

Alcuni materiali integrativi.


In difesa del senso comune

In ciò che segue ho cercato semplicemente di chiarire, uno per uno, alcuni dei punti più importanti in cui la mia posizione filosofica differisce dalle posizioni assunte da alcuni altri filosofi. È possibile che i punti che ho ritenuto di menzionare non siano realmente i più importanti, e forse riguardo ad alcuni di essi nessun filosofo ha mai pensato davvero cose diverse dalle mie. Tuttavia, per quanto mi è dato sapere, su ognuno di questi punti molti sono stati effettivamente in disaccordo; anche se (nella maggior parte dei casi, se non altro) su ciascuno di essi molti si sono trovati d’accordo con me.

Tecnocrazia e Democrazia: il paradosso della selezione

Technocracy

Iscriviti alla Newsletter!


Abstract

In questo breve articolo porteremo alcuni argomenti contro l’ideale tecnocratico. Va ben specificato sin da subito che la tecnocrazia è sempre e solamente un idea di limite, un ‘assunto della ragion pura’ e non qualcosa che sia mai esistito o che potrebbe mai esistere. Cercheremo, dunque, di caratterizzare questa tesi portando argomenti a suo sostegno.


Esiste un paradosso semantico, vale a dire il paradosso della selezione. Se io seleziono x lo faccio in base al fatto che x ha la proprietà y, io riconosco la proprietà y e scelgo così x rispetto ad altri candidati, a…n. La proprietà y è inerente a x, cioè le è propria, ma è anche la ragione per cui io discrimino x rispetto ad a…n ed è anche la stessa ragione per cui lo giudico migliore. La proprietà grazie alla quale selezione è dunque riconosciuta nell’oggetto ed è intersoggettivamente cogliibile dalla comunità politica di riferimento. Quindi, prima di tutto, occorre stabilire quale proprietà sia da ascrivere ai tecnocrati. Essi potrebbero essere intesi come degli esperti della politica. Tuttavia, chi è un esperto della politica? Quale è la proprietà che discrimina un esperto della politica da un non esperto della politica?

Tre modelli di democrazia

democracy

Iscriviti alla Newsletter!


Abstract

In questo articolo proponiamo tre modelli di democrazia (il teorema della giuria di Condorcet, il teorema delle abilità diversificate e lo sperimentalismo di Dewey), enucleati in chiave epistemica. La sfida della democrazia alle altre forme di governo consiste anche, se non principalmente, nella sua maggiore efficienza nella capacità di produrre, disseminare e aggregare conoscenza. Su questo punto esiste ormai una letteratura filosofica variegata che nasce dai problemi dell’epistemologia sociale e della filosofia politica, inquadrata in un tentativo di superare certe questioni relativa alla teoria di John Rawls. La nostra analisi ricalca alcune parti di Anderson (2006), la quale propone queste tre possibili modellizzazioni, tre condizioni di valutazione dei modelli e anche alcune critiche.

Il problema della Self Knowledge – Una breve introduzione

Iscriviti alla Newsletter!

Consigliamo – A cura di Giangiuseppe Pili e l’Introduzione schematica all’epistemologia


Abstract

In questo breve articolo analizziamo l’overture al dibattito della self-knowledge, un problema antico quanto attuale. Due posizioni generali affrontano il problema da due punti di vista abbastanza diversi: gli internisti sostengono che la self knowledge sia fondata internisticamente sul soggetto, indipendentemente dalla sua storia causale; mentre gli esternisti rivendicano la centralità del ruolo causale e delle condizioni esterne al soggetto per l’attribuzione della self knowledge. Data l’ampiezza del dibattito e la complessità dei problemi considerati, in tangenza di tre discipline filosofiche piuttosto complesse (filosofia del linguaggio, filosofia della mente e epistemologia), invitiamo il lettore a procedere ad una ricerca approfondita ed autonoma.

Il liberalismo di John Rawls

John_Rawls

Abstract

In questo articolo consideriamo la posizione filosofica politica del liberalismo di John Rawls, almeno nella sua versione declinata nel libro di Robert B. Talisse (2009)[1]. Rawls è senza dubbio uno dei più influenti filosofi del XX secolo e la sua posizione in filosofia politica è, giustamente, ritenuta tra le più influenti nel dibattito. Non si tratta di un testo specialistico, sicché il lettore è invitato a continuare la ricerca autonomamente.


John Rawls (1921-2002) è stato uno dei massimi filosofi americani del XX secolo. I suoi interessi si sono focalizzati soprattutto nella filosofia politica e nella filosofia morale. In questo breve articolo cercheremo di enucleare alcuni punti della sua posizione politica, tra quelle ormai considerate canoniche nell’ambito della filosofia politica recente. Questa analisi riprende la posizione rawlsiana soprattutto per come viene declinata da Talisse (2009).

Metodi di indagine dello sviluppo: il ragionamento morale – pt. 6 di 6

Foto di Tumisu da Pixabay

La natura parrocchiale del bimbo ma dell’uomo

Un ulteriore e qui conclusivo capitolo della psicologia morale è la naturale tendenza dell’uomo a dividere l’umanità in gruppi. Il che significa dividere il mondo sociale in ‘noi’, da una parte, e ‘loro’, dall’altra. Parenti, fratelli, amici, conoscenti, appartenenti al proprio gruppo, che sia razziale, linguistico, politico, confessionale o sociale, da una parte, estranei, stranieri, appartenenti ad un altro gruppo, o, sarebbe meglio dire, soprattutto non appartenenti al proprio gruppo, dall’altra. Il mondo sociale si tinge in breve e naturalmente dei colori delle parti. Non serve nemmeno ricorrere alla Storia dell’uomo per mostrare la verità di quest’affermazione, tanto la Storia è in sé stessa la storia delle divisioni dell’uomo, del suo coalizzarsi in gruppi che si oppongono a vicenda. Piuttosto, costante della Storia dell’uomo, dovremmo riconoscere un fatto fondamentale di natura psicologica, ovvero la naturale tendenza delle assemblee umane a costituirsi in gruppi spesso mutualmente esclusivi o, comunque, poi, contrapposti.

Metodi di indagine dello sviluppo: il ragionamento morale – pt. 5

Foto di Tumisu da Pixabay

Il merito e l’equità per il bimbo

 Un ulteriore fondamentale aspetto del senso morale umano è l’idea o il principio di equità. Giudicare o decidere con equità significa giudicare o decidere con equilibrio e imparzialità. È soprattutto quando pensiamo alla distribuzione delle risorse che possiamo intuitivamente comprendere il significato di cosa voglia dire agire o decidere in maniera equa o iniqua, creare uguaglianza o disuguaglianza. La tematica dell’equità delle procedure di spartizione della ricchezza è stata pensata probabilmente dal momento in cui i nostri antenati nel Pleistocene si sono posti il problema di come dividere il cibo raccolto o cacciato con il resto del gruppo fino ai nostri giorni, nei quali gli uomini ragionano su come dovrebbe funzionare il sistema di tassazione del lavoro oppure i bambini decidono se, come e con chi condividere i loro giochi.

Metodi di indagine dello sviluppo: il ragionamento morale – pt. 4

Foto di Tumisu da Pixabay

L’emozione morale

Abbiamo presentato alcuni studi che supportano empiricamente l’ipotesi che l’infante sia dotato di un primitivo senso morale, della capacità di distinguere il bene dal male (così, ad esempio, l’infante di tre mesi distingue il personaggio buono che aiuta dal personaggio cattivo che ostacola). Oltre agli studi citati ce ne sono molti altri che portano alla medesima conclusione: l’uomo possiede un senso morale innato, la capacità di trarre certe distinzioni e produrre certi tipi di giudizio, prima a livello implicito e non-verbale, poi in maniera esplicita e verbale, e infine, nell’età adulta, a un livello deliberato e, almeno potenzialmente, perfettamente mediato dalla ragione.