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Categoria: Spiegazioni per una Filosofia più Easy!

Antirealismo in etica – Una breve rassegna delle varie posizioni

MARCO AURÉLIO ESPARZ… / CC BY-SA (https://creativecommons.org/licenses/by-sa/3.0)

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In metaetica ci sono due possibili approcci alla domanda fondamentale hanno significato i giudizi morali?: si, e gli enunciati morali rispettano la logica bivalente in tutto simile ai giudizi scientifici oppure, no e gli enunciati morali non sono né veri né falsi. In generale, l’antirealista sosterrà non tanto che non esistano i giudizi morali o che essi siano del tutto insensati, quanto che (1) non esistano fatti morali ontologicamente distinti dai fatti fisici, (2) non esiste un’etica che affermi verità, dunque, non è lecito porsi la domanda se esiste (e perché) un’etica migliore di un’altra.

In realtà, esistono molti tipi distinti di antirealismo. In questo breve articolo riportiamo gli assunti fondamentali e qualche ragionamento esemplificativo, lasciando al lettore un eventuale approfondimento.


Tutta una questione di moto: analisi del problema dalla filosofia antica alle posizioni più recenti.

Per capire quanto il moto sia stato un argomento centrale in tutta la riflessione dell’uomo occidentale, basta guardare a quella grandiosa forma di conoscenza accumulata sul mondo: la fisica. Questa forma di conoscenza rivaleggia per precisione alle scienze, un tempo chiamate “esatte”, la matematica e la geometria. La fisica infatti, fondata sul metodo e sul rigore matematico, non solo ha avuto la pretesa, ma è anche riuscita ad affermarsi come conoscenza stabile e in progresso.

La fisica, nata in un contesto di revivol platonico e, in generale, della filosofia greca, rielabora a suo modo il problema del moto. Ed è proprio su questo problema che inizia il suo cammino. Il moto è presentato in due modi: prima di tutto come statica, solo successivamente come dinamica. E così ci sono due branche della fisica, la cinematica e la dinamica, che studiano il comportamento dei corpi in moto o in quiete.

Secondo me è tutta una questione linguistica. Analisi del linguaggio degli scacchi.

Era una questione personale. Tutto negli scacchi diventa una questione personale, il fatto e il non fatto, il detto a parole e soprattutto il non detto in alcun modo. In fin dei conti la madre di tutte le superstizioni è l’immaginazione, la volontà recondita di trovare cause sbagliate per eventi veri. Uno sguardo sbagliato si tramuta spesso in infinite interpretazioni: gli scacchisti sono sempre in bilico tra la verità e l’assurdo.

Nella casa del grande maestro lettone, Aron Nimzowitsch, si disputava una partita importante per nessuno tranne che per lui e per il geniale Capablanca, suo sfidante. Era ormai patta quando Aron lascia un pezzo in presa e così finisce la partita: una beffa. L’ironia alla dea invisibile degli scacchi non manca e si diverte spesso a vedere saltare i nervi. Ma, nonostante la provocazione divina, Nimzowitsch sembra essere tranquillo: fallace apparenza.

Aron, perché hai giocato quella mossa? Quattro cause per una partita di scacchi.

Pili G., www.scuolafilosofica.com

“Il cavallo? Cavallo in h1! E’ chiaramente impazzito… Mossa 18 ) Ch1”.

Penso tra me quando vedo la mossa del mio avversario. E’ un peccato che non si possa parlare, ogni tanto in una partita a scacchi viene di sbottare qualche cosa, un insulto magari o una domanda. In effetti, le domande e gli insulti per tanti hanno lo stesso sapore, ma per me, giocatore di scacchi incallito, sono indispensabili.

Ragioniamo, allora, il cavallo in h1 difende i punti g3 e soprattutto il pedone debole in f2, dunque il cavallo l’ha piazzato là con uno scopo difensivo. No, forse no. E’ più probabile che abbia considerato che il cavallo in h1 fosse in grado di occupare poi una posizione vantaggiosa: portandosi in h1 può portarsi in f2. Forse la motivazione riguardava la proprietà del cavallo di muoversi ad elle…

Il problema essenziale – Le proprietà delle cose

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Consigliamo Perfezione o imperfezione Gli universali


Uno dei problemi cardine di tutta la riflessione filosofica è la definizione delle proprietà delle, qualità essenziali, quelle che usiamo normalmente per riconoscere le cose le une delle altre, che usiamo per esplicare la natura di una cosa, che indichiamo per spiegare la realtà di un fenomeno.

La domanda può essere posta in questo modo: cosa significa “essere quadrato”? Il problema si pone in questi termini: o “essere quadrato” si predica di qualcosa, oppure “essere quadrato” è un’entità indipendente da ciò che viene predicato quadrato. Le due strade si escludono, metterle insieme implica contraddizione. Vediamo un attimo. Se dico che le proprietà sono dei “predicati”, cioè interpreto il valore della predicazione come qualcosa di estrinseco alla cosa, allora il predicato è una pura accidentalità: perché una qualità esista, deve esistere la cosa di cui si predica. In questo senso, non posso parlare di felini senza pensare che esista almeno un animale che rientri in quella categoria. In questo senso, la classe degli oggetti dotati di una certa proprietà, nasce dalla presa di coscienza che quegli oggetti hanno qualcosa di comune: ma quel che c’è di comune non ha una realtà indipendente dagli oggetti. Questo è il punto.

La verità della relatività – Un’analisi breve contro il relativismo, semantico, epistemico e morale

Runner1616, CC BY-SA 3.0 <https://creativecommons.org/licenses/by-sa/3.0>, via Wikimedia Commons

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Consigliamo Relativismo e antirelativismo in epistemologia


La critica di Protagora è volta alla costituzione della verità scissa dalla soggettività ed essa verte su un principio: ciò che conosco, è ciò che esperisco attraverso i sensi. Da questo principio, punto di partenza del sofista, stanno le conseguenze:

  1. non può esistere una conoscenza oggettiva,
  2. non esiste asserzione che possa essere vera per tutti,

Dunque, sia la nostra conoscenza che la nostra espressione della conoscenza risultano soggettive. Ciò che posso dire di conoscere con evidenza è ciò che vedo quando apro gli occhi, è ciò che sento quando ascolto della musica, è ciò che tocco quando tasto dei dolci e sodi corpi. Sull’evidenza sensoriale Protagora costituisce la relatività della conoscenza, da questo punto di partenza ne segue che non si giunge ad alcuna affermazione ulteriore nei confronti delle cose del mondo. Il mondo è nel soggetto, non al di fuori: Protagora accetterebbe tranquillamente l’idea che il mondo esista anche al di fuori del soggetto, ma non che esso sia il parametro della giustezza o erroneatezza della conoscenza soggettiva: l’uomo è misura di tutte le cose in quanto è il soggetto stesso che “vede” le cose.

Spiegazione della prova ontologica di San Anselmo

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Anche La prova ontologica spiegata ad un amico


La proposta di Anselmo si basa sui due significati distinti del verbo “essere”: presenza e essenza[1]. Una proposizione vera o è suffragata dai fatti oppure è vera indipendentemente da quelli: la distinzione di Kant è chiara. Esistono proposizioni sintetiche e proposizioni analitiche. Le proposizioni analitiche sono le deduzioni logiche a partire da premesse (2 + 2 = 4 è una proposizione analitica giacché è un’inferenza dalle premesse dell’algebra, la definizione di numero e di somma algebrica). Le proposizioni sintetiche nascono dall’esperienza: “Oggi c’è il sole” è vera se e solo se c’è effettivamente il sole.

La proprietà in Hobbes

British Library, CC0, via Wikimedia Commons

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Consigliamo Thomas Hobbes David Hume


  1. La proprietà nasce da un bisogno umano universale, quello di utilizzare degli oggetti per la propria sopravvivenza.
  2. La ragione (precetto della ragione) mostra tutto ciò che è consono alla sopravvivenza individuale.
  3. Lo stato istituisce la proprietà per il proprio bene e per il benessere della società.

La proprietà nasce dall’esigenza individuale di possedere entità esterne al proprio corpo al fine di un incremento della propria capacità di sopravvivenza. L’esigenza, l’interesse indiririzzata verso un oggetto, risiede nella capacità di ciascuno di utilizzare la cosa al fine della difesa e conservazione della vita.

All’interno della condizione naturale, ogni individuo è dotato di un’infinita estensione di diritti e, per tanto, più persone possono essere intenzionate ad avere un unico e solo oggetto. Così, nello stato di natura, l’oggetto è posseduto da chi per primo lo prende ed è in grado di difenderlo. Ciò, considerato in questa condizione di assoluta parità di diritto, la proprietà degli oggetti non è stabile ma soggetta alla precarietà della propria forza: un oggetto è mio, sin tanto che sono in grado di difenderlo. Da quest’intrinseco problema di stabilità del possesso, Hobbes conclude che solo all’interno dello Stato si può consolidare uno stabile diritto alla proprietà.

Kant e le leggi della robotica di Isaac Asimov

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Consigliamo Capire la critica della ragion pura


“[L]e tre leggi della Golemica (…): 1) un golem non può nuocere all’uomo né permettere che, per il suo mancato intervento, un uomo riceva danno; 2) un golem deve sempre obbedire agli ordini ricevuti, a meno che questi non contrastino con la Prima Legge; e infine, 3) un golem è tenuto ad autoconservarsi e a difendersi a meno che questo non contrasti con la Prima e Seconda legge.”[1]

Le cosiddette “tre leggi della robotica”, nel nucleo, non sono proprio un’idea originale di Isaac Asimov, grandissimo scrittore di fantascienza nonché intelligente divulgatore scientifico. I “robot” nella narrativa fantascientifica sono più che un corollario. Surrogati dell’uomo per qualche particolare, come in Philip Dick, dotati di psicologia assolutamente equiparabile a quella umana. Oppure “elaboratori umani privi di sentimenti” come in Asimov. Però, è si avverte, non solo nella letteratura, ma anche nella realtà, l’esigenza di dare delle regole rigide a degli oggetti capaci di comportamenti identici a quelli umani, ma distinti dalla nostra specie.

Semplice e semplicità – Un concetto complesso

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Consigliamo L’atomismo logicodi Bertrand Russell e Thomas Khun


In tutte le scienze, sin dai tempi antichi, si parla di semplicità, di maggiore o minore semplicità, di realtà semplici, più semplici etc.. Tutti coloro che si propongono di difendere le proprie tesi, piuttosto di demolire quelle degli altri, spesso usano come argomento il fatto che una certa dottrina, teoria scientifica, struttura filosofica, sia più o meno semplice di un’altra. Come se la sola “semplicità” fosse sinonimo di verità. Ma cosa intendiamo, generalmente, per semplicità?