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2. Per la pace perpetua: articoli preliminari

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Non sarà fuori luogo riportare gli articoli preliminari per avere un’idea di quali siano i propositi di Kant nella prima parte dell’opera:

1. Nessun trattato di pace deve essere ritenuto tale se stipulato con la tacita riserva di argomenti per una guerra futura.[1]

2. Nessuno stato indipendente (poco importa se piccolo o grande) deve poter essere acquistato da un altro stato mediante eredità, scambio, compera o donazione.[2]

3. Col tempo gli eserciti permanenti (miles perpetuus) devono essere aboliti.[3]

4. Non si devono contrarre debiti pubblici in vista di conflitti esterni dello stato.[4]

5. Nessuno stato si deve intromettere con la forza nella costituzione e nel governo di un altro.[5]

6. Nessuno stato in guerra con un altro deve permettersi atti di ostilità tali da rendere impossibile la reciproca fiducia nella pace futura; come ad esempio l’impiego di assassini (percussores), di avvelenatori (venefici), la rottura di una capitolazione, l’istigazione al tradimento (perduellio) nello stato contro cui si combatte ecc.[6]

Questi sono articoli preliminari prima di tutto perché da soli non sarebbero sufficienti a garantire la pace tra stati: non viene definito alcun diritto internazionale sicché non viene definita una forma di legislazione a cui gli individui statuali devono sottostare. Kant, infatti, considera gli stati individui a tutti gli effetti: “I popoli, quali stati, possono venir considerati come singoli individui, che nello stato di natura (cioè nell’indipendenza da leggi esterne) si ledono già nel loro essere l’uno accanto all’altro)”.[7] Kant accetta pienamente la visione hobbesiana dello stato di guerra nella supposta o immaginaria condizione di natura individuale. Gli stati, dunque, in quanto individui, sono pensati come soggetti capaci di avere stati di interesse costituiti e conflittuali e, a prescindere da questo, Kant riconosce nello stato di guerra una condizione stabile della dimensione naturale degli individui privi di una legge che sancisca i limiti delle loro libertà reciproche:

Quanto alla guerra stessa, non abbisogna di nessun particolare movente, e anzi la si direbbe connaturata all’uomo, come qualche cosa di nobile verso cui l’uomo si sente spinto dall’impulso dell’onore e non da moventi interessati […] Perciò alla guerra in sé stessa è annessa una dignità intrinseca, tanto che perfino dei filosofi ne hanno fatto l’elogio…[8]

Per queste ragioni gli stati di per sé stanno in una condizione di guerra reale o potenziale (e dunque permanente). Sicché, come per gli esseri umani, che non soggiacciono ad una simile situazione di conflitto per mezzo di una legge superiore alla quale sono richiamati da uno stato che fornisce i giudici imparziali per dirimere le contese secondo la legge, così per gli stati si impone la necessità di un diritto internazionale che possa limitare le reciproche possibilità d’azione. Il fondamento del diritto interstatale viene fornita nella seconda parte del lavoro.

Con questo punto fermo, si comprendono i sei principi preliminari: essi servono a stabilire su quali basi sia pensabile la fondazione di un diritto internazionale che abbia come obiettivo la pace perpetua. I concetti fondamentali per la possibilità di una giustizia interstatale non sono molti:

a. La guerra deve essere esclusa nei mezzi (art. 1, art. 3, art. 4).

b. La guerra deve essere esclusa dalle possibilità finali degli stati, in particolare agli stati non deve essere concessa la possibilità di annettere in qualunque modo altri stati (art. 2).

c. La guerra deve essere preclusa come condizione di interesse o di vantaggio per uno stato (art., 5).

d. La guerra non deve precludere in alcun modo la possibilità di accordo sulla fiducia per la sospensione dell’ostilità e l’instaurazione della pace (art. 6).

La prospettiva pacifista kantiana, in questa prima parte, si muove, così, su due binari, quelli che Bobbio (1975) chiama ʽpacifismo strumentaleʼ e ʽpacifismo istituzionaleʼ, ma non ʽpacifismo finalisticoʼ: questo verrà considerato più oltre e solo in una precisa formulazione della morale, che suppone la teoria morale dell’imperativo categorico kantiano.

Come condizione preliminare per la pace perpetua è necessario precludere le condizioni materiali dell’istaurarsi della guerra: secondo (a), è una condizione fondamentale per il raggiungimento della pace l’eliminazione sistematica di tutti i mezzi utilizzati nella prassi per la guerra (esercito, economia di guerra mediante il debito, tregue). Per tanto, Kant riconosce la necessità iniziale di una condizione materiale che sia favorevole alla pace, tanto più perché (1) la presenza di un esercito costituisce la costituzione di uno stato di interesse in più individui che hanno come obiettivo la guerra; (2) la contrazione di debiti per finanziare le guerre impone due problemi, il primo è che la rovina economica di un solo stato implica la rovina di molti, il secondo è che la restituzione del debito implica o richiede spesso i guadagni contratti dalle vittorie militari; (3) le tregue non garantiscono uno stato di pace ma solo una sospensione temporale delle ostilità al più indefinita ma non interminabile. Per tanto, per i punti (1-3) si rende indispensabile la definizione del punto (a) mediante art. 1, art. 3 e art. 4. Questa forma di ʽpacifismo strumentaleʼ è una richiesta fondamentale e preliminare per la pace perpetua fondata sul diritto interstatale.

Il ʽpacifismo istituzionaleʼ è già parzialmente incluso negli art. 1, art. 3 e art. 4: l’eliminazione di un esercito permanente (art. 4) è già una proposta di revisione istituzionale. Ma non sarebbe di per sé sufficiente. Ma più compiutamente viene espressa dal punto (c), cioè dall’art. 5: entrambi sanciscono che gli stati non possano in alcun modo intervenire negli affari interni di un altro. Questo implica una limitazione estrema della prassi della politica estera interstatale ancora in uso, per quanto con nuove sofisticherie. Ma nel XVIII e nel XIX le grandi potenze coloniali e imperiali fondavano i loro domini proprio sull’ingerenza continua e costante sui territori dominati o annessi e ciò costituisce una delle prassi ordinarie della politica estera degli stati del primo e del secondo mondo. Per questa ragione si pone l’indispensabile art. 2, che esclude la possibilità di annessione anche per via dinastica o familiare, condizione che costituiva ragioni riconosciute come valide per tutto il medioevo e per gran parte dell’età moderna in Europa, cioè almeno sino a quando la legittimità del potere si è fondata sull’esercizio del governo da parte di un monarca investito da Dio o dalla storia, e non sulla sovranità popolare. Così gli stati hanno dei limiti per le possibilità di estensione, impedendo sul nascere la possibilità di un interesse costituito che possa fuoriuscire dalla politica interna di uno stato: non sussisterebbero più interessi interstatali di natura aggressiva ma solo interessi intrastatali. Su questo punto non è lecito essere certi che le cose andrebbero in questo modo ʽpacificoʼ, nella misura in cui attualmente molta della pratica di guerra non passa attraverso eserciti, ma da particolari agenzie (intelligence, gruppi operativi, cellule di miliziani terroristi, ad esempio). Ma Kant non aveva sottovalutato la grande creatività umana in questo ambito ed è per questo che egli formula l’art. 5 (“Nessuno stato si deve intromettere con la forza nella costituzione e nel governo di un altro”)[9]: con questa condizione nessuna possibilità di coercizione politica è possibile.

Le condizioni degli articoli preliminari sono, appunto, antecedenti agli articoli definitivi proprio perché servono come precondizioni necessarie all’instaurarsi della pace perpetua: senza questo avvio iniziale e precedente non è possibile instaurare il regno della pace perpetua proprio perché già dal principio gli stati hanno condizioni di interesse materiale indirizzate verso ciò che è interno agli altri stati. Non soltanto è necessaria una sistematica smilitarizzazione e revisione istituzionale del ministero della guerra (allora non era chiamato come oggi, non senza qualche forzatura, ʽministero della difesaʼ), ma pure una rinuncia a peculiari stati di interesse.

Queste sono le condizioni necessarie e non sufficienti che i singoli individui statuali devono riconoscere e incorporare qualora intendano seriamente realizzare la pace perpetua: la presenza di arsenali nucleari non è e non sarà mai una garanzia della pace perpetua, almeno ciò secondo le condizioni preliminari fornite da Kant. C’è sempre la possibilità che qualche generale Ripper[10] perda il controllo e avvii una guerra termonucleare. E con i padroni del mondo di oggi, questi scenari apocalittici sono tutt’altro che impossibili.

 


[1] Ivi., Cit., p., 49.

[2] Ivi., Cit., p. 50.

[3] Ivi., Cit., p. 51.

[4] Ivi., Cit., p. 51.

[5] Ivi., Cit., p. 52.

[6] Ivi., Cit., p. 53.

[7] Ivi., Cit., p. 61.

[8] Ivi., Cit., p. 75.

[9] Ivi., Cit., p. 52.

[10] Vedi il celebre film Kubrick S., (1964), Il dottor Stranamore. Ovvero come ho imparato a non preoccuparmi e ad amare la bomba, America.


Giangiuseppe Pili

Giangiuseppe Pili è Ph.D. in filosofia e scienze della mente (2017). E' il fondatore di Scuola Filosofica in cui è editore, redatore e autore. Dalla data di fondazione del portale nel 2009, per SF ha scritto oltre 800 post. Egli è autore di numerosi saggi e articoli in riviste internazionali su tematiche legate all'intelligence, sicurezza e guerra. In lingua italiana ha pubblicato numerosi libri. Scacchista per passione. ---- ENGLISH PRESENTATION ------------------------------------------------- Giangiuseppe Pili - PhD philosophy and sciences of the mind (2017). He is an expert in intelligence and international security, war and philosophy. He is the founder of Scuola Filosofica (Philosophical School). He is a prolific author nationally and internationally. He is a passionate chess player and (back in the days!) amateurish movie maker.

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