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Eraclito – Vita e opere

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Consigliamo – l’intervista al Professor Tagliagambe


Vita

Eraclito nasce ad Efeso nel 550 a.C., circa, e vi rimane sino alla morte avvenuta attorno al 480 a.C.. Sulla sua vita si sa abbastanza poco: era di origine nobile e rifiutò di stipulare una costituzione democratica per la sua città. Noto per essere un personaggio eccentrico e lontano dalla vita comune, egli fu aristocratico nella vita e nel pensiero.

Lasciò un’opera, che ci è pervenuta solo per qualche frammento, custodita in un tempio, lontano da tutti coloro che non la potevano apprezzare. Senz’altro ebbe un forte impatto su gran parte dei filosofi successivi, anche su pensatori piuttosto recenti come Hegel e Nietzsche ma senz’altro in molti potremmo ritrovare delle tracce del pensiero del filosofo di Efeso. Certo è che il primo a concepire una dinamicità del tutto compenetrata ad un ordine immutabile come l’essenza stessa delle cose, una cosa che oggi più che mai pare esser entrata nel patrimonio comune delle coscienze. Egli ebbe un merito senz’altro indiscutibile: espresse, anche se in modo oscuro, uno degli archetipi della nostra visione del mondo. Comunque ci vogliamo accostare alla vita e al pensiero, non ci possiamo sottrarre dalla riflessione eraclitea.

Opere

Un trattato dal titolo “Sulla natura” che ci è pervenuto a frammenti, era scritto, pare, in uno stile aforistico ed oscuro.

Schema di ragionamento

Ipotesi E(raclito) 1: il principio primo delle cose è l’arché.

Specifica a: è bene abituarsi all’idea che, a differenza che nella nostra semplificata e arida quotidianità linguistica ( anche filosofica purtroppo ), nella filosofia antica le parole hanno una portata significativa estremamente ampia e variegata. Al pari di un fiume in piena esse trasportano con sé tanta corrente e nutrimento. Ma per rendercene conto dobbiamo prima abituarci a vedere in essa i vari significati stratificati, allora compenetranti, che oggi tendiamo a distinguere. In questo senso, per “principio primo” dobbiamo intendere sia “causa prima del moto” che “originaria fonte di vita”. Vita e movimento sono un tutt’uno nel principio nel quale, in quanto origine della vita, v’è anche la dimensione prettamente morale del termine: “principio morale”. In questo senso, i primi filosofi non pensano alla morale, per noi legge dell’uomo per l’uomo, come ad una sfera separata dal resto della natura ed anzi, seguire la natura stessa è la prerogativa dell’uomo. Per gli antichi aveva un significato dunque autentico quella frase così sciupata oggi “non bisogna andare contro natura”.

In sintesi, “principio primo” = “causa prima ( motore del mondo )” ≡ “fonte originaria della vita” ≡ “ordine del mondo” ≡ “principio morale”.

Come si vede con chiarezza, tutti questi significati oggi vengono in qualche modo espressi in termini diversi e concepiti in modo separato l’uno dall’altro. Addirittura alcuni significati sono andati del tutto perduti e sono diventati quasi insensati ( l’idea per esempio che all’interno della natura si svolga un principio giusto, di ordine non solo fisico ma anche morale. Ai nostri occhi ciò appare come una figura irriconoscibile e, dunque, invisibile ).

Ipotesi E2: l’arché è il fuoco.

 

Inferenza: Se l’arche è il principio di tutte le cose, se il fuoco è l’arché allora il fuoco è principio primo di tutte le cose.

 

Tesi EI: il fuoco è il principio primo di tutte le cose.

Spiegazione a: ciò è una conclusione logica a partire dalle due ipotesi ( 1 e 2 ).

Ipotesi E3: la molteplicità è pluralità di opposti.

Inferenza. Se la molteplicità è pluralità di opposti, se il fuoco è il principio primo di tutte le cose, allora il fuoco è il principio primo –quindi unificante- di tutte le cose.

Tesi EII: dunque il fuoco è il principio primo di tutte le cose.

Spiegazione a: il principio primo di tutte le cose è ciò che ciò che accomuna le cose stesse. Pensiamo infatti alla classe Z della BMW ( o al pandino scass-ci-ato FIAT o pensate voi alla macchina che più vi aggrada! ): cosa accomuna tutte le macchine della classe Z della BMW? Il fatto che sono di colore identico, per esempio un bellissimo blu cobalto? Ma, mi direte subito: evidentemente non hai visto la mia Matiz: anche quella è d’un bellissimo blu cobalto, che mi fa schiattare di caldo d’estate… e poi esistono delle bellissime BMW classe Z di color grigio metallizzato. Allora, non può certo essere nel colore la comunanza della classe Z delle BMW. Forse sono le ruote o le singole componenti della macchina. Subito sarete pronti ad obbiettare: guarda che due macchine dovrebbero avere proprio identica la “materia” per essere del tutto identiche. Ma ciò è assurdo perché ogni automobile è fatta di un aggregato di molecole diverso. Insomma, non è dalla materia che va pensata la comunanza. Ma insomma, dove sta la comunanza? E se fosse dal progetto della classe Z stessa? Il progetto, in questo caso, va inteso come il principio primo dell’esistenza della macchina, infatti, se tolto il progetto, è tolta anche l’auto nel concreto. Ma allora, se il progetto è proprio ciò che accomuna tutta la classe Z, e se il progetto è il principio primo dell’automobile BMW allora le BMW classe Z sono accomunate dallo stesso principio!

Allo stesso modo possiamo pensare intorno a ciò che accomuna tutte le cose per Eraclito: solo che esso vede nel fuoco anziché in qualcos’altro l’origine comune a tutte le cose. Tolto l’arché, non v’è più nulla, tolto il progetto, non vi sono più automobili!

Spiegazione b: se gli opposti esistono nello stesso momento allora devono costantemente essere in reciproco scontro. Anche Eraclito, infatti, doveva aver chiaro il principio di non contraddizione in quanto, seppure in chiave negativa, egli lo propone come interpretazione del divenire della realtà: il divenire è uno scontro di forze, cose ( distinzione non sempre fattibile nell’antichità ) opposte. Tale opposizione è il polemos.

Il polemos sarebbe un concetto assurdo senza la considerazione che gli opposti, almeno in linea di principio, tendono ad escludersi l’uno con l’altro. Eraclito infatti non dice che essi vivono in reciproca serena pace, piuttosto tendono proprio a sforzarsi di prevalere l’uno sull’altro e da ciò sarebbe generato lo stesso movimento del cosmo.

Ipotesi E4: gli opposti si scontrano continuamente.

Specifica a: lo scontro degli opposti determinano il polemos.

Ipotesi E5: tutto diviene secondo la legge eterna che è il logos.

Spiegazione a: il logos è da intendersi come “ordine eterno ed immutabile” delle cose. Ma logos significa prima di tutto “discorso ordinato”. Il logos è la realtà stessa e, contemporaneamente, la sua vera voce. Da un lato il logos è una regola astratta, da un altro lato è la stessa realtà. In questo senso, logos è legge della realtà e realtà stessa e sua voce.

Il logos dunque è la parola chiave per capire che la filosofia del divenire di Eraclito non è una filosofia del caos ma, al contrario, di un ordine armonico della realtà. A Eraclito sarebbe piaciuta la disarmonia ordinata della musica di Schömberg!

Logos, in sintesi, è ordine con tutti i suoi vari significati: ordine = regola fisica, ordine = regola morale ( abbiamo già visto perché ), ordine = comandamento.

Ed in questo ultimo senso va compreso il logos come vera voce della natura: essa è voce del filosofo nel senso che il filosofo segue la natura e la esprime nella sua autenticità.

Inferenza. Se tutto diviene secondo la legge eterna che è il logos, gli opposti si scontrano continuamente, se lo scontro degli opposti determinano il polemos, allora il polemos avviene secondo il logos.

Tesi EIV: dunque il polemos avviene secondo il logos.

Ipotesi E5: solo il filosofo conosce il vero.

Corollario 1: dunque solo il filosofo dice ( e può dire il vero ).

Corollario 2: dunque il resto della società ( come totalità di individui ) dice il falso.

Specifica a: dire il falso implica pensare il falso e agire di conseguenza.

Inferenza. Se la verità è il logos, se il logos è il giusto ordine della natura, se il logos è ordine, se solo il filosofo conosce il logos allora il filosofo farà, penserà, dirà a partire da quell’unico logos.

Tesi EV: dunque solo il filosofo farà, penserà, dirà a partire da quell’unico logos.

Corollario 1: il nostro caro filosofo di Efeso non era propriamente di natura democratica. Tuttavia rimane difficile smentire colui che afferma che son ben pochi quelli che agiscono rettamente e che comprendono il mondo. E’ difficile perché è tale lo stato delle cose del mondo ( guerre, devastazioni inutili, mali quotidiani e quant’altro ) e degli uomini ( sofferenza incomprensibile, depressione, noia, sensazione di incapacità e insufficienza, autogiustificata superficialità, paranoie e chi vuole aggiungere non si lasci sfuggire occasione!… ) che sembrerebbe smentire l’evidenza dire che, invece, i più hanno capito tutto del mondo e della gente. Come spiegare i mali del mondo?

Oggi si liquida il problema sostenendo che, tanto, la verità non ce l’ha nessuno e che ognuno è libero di fare ciò che vuole. E ciò ha come unico risultato che tutti soffrono senza saper perché e tutti fanno soffrire gratuitamente gli altri senza sapere il motivo. Vivere senza un logos implica una vita di interessi momentanei che accecano la verità e, con essa, la possibilità di seguire il giusto ordine del mondo, proprio come la pensava Eraclito.

Ma possiamo anche dire: e a me che me ne frega? Frega nella misura in cui se a nessuno frega di nessuno intanto non ci fregheremo nemmeno di noi stessi e, indirettamente, autorizziamo gli altri a farci quel che vogliono… così a chi dice che “non me ne frega di sapere e di agire in conformità con esso” valga che essi si negano la possibilità di rispondere alle offese, in linea di principio, che essi si privano dei maggiori piaceri della vita, che essi saranno condannati ad una solitudine senza vie di uscita.

Dunque dalla riflessione di Eraclito possiamo apprendere almeno due cose significative: che molti problemi che ci appaiono molto recenti, in realtà sono molto antichi. Che tutti possono conoscere a patto che si mettano da parte per seguire il loro logos o, in termini più attuali, la loro ragione.

Corollario 2: si dice spesso che Eraclito sia un pensatore antidemocratico, e non ci interessa di commentare il valore di questa parola. Tuttavia non deve esser stato inteso bene quando egli diceva che “… non me ma secondo il logos…” è saggio parlare: il nostro filosofo certamente pensava che i più erano stolti, ma è anche vero che egli non pensava lo fossero in quanto egli fosse superiore. Semplicemente non seguivano il logos: Eraclito sicuramente pensava ad una possibile conoscenza universale, per tutti, dunque, democratica!

 

Filosofia

Eraclito, come tutti i filosofi presocratici, parte dal problema dell’arché, dell’origine, del principio comune e dall’intimo contrasto tra apparenza e realtà.

Egli pone il concetto di logos come il nodo centrale della sua riflessione. Logos significa discorso ordinato, razionale, il quale non è solo ordine in sé stesso, ma legge intima e coerente della realtà.

Dall’arché, visualizzato da Eraclito come un fuoco sempre vivo, fiamma pulsante e forza vitale, si genera tutta la molteplicità che abbiamo sotto gli occhi. La realtà nella sua unicità è concepita come coincidenza degli opposti: non si può pensare il caldo senza il freddo e il bianco senza il nero.

Se l’arché è il principio d’origine delle cose in continuo contrasto col loro opposto, il logos è ciò che consente la convivenza degli opposti i quali si separano per dare origine al mondo delle cose. Tra gli opposti vi è un costante conflitto che articola continuamente l’incessante divenire: il polemos.

Polemos significa specificatamente guerra ed, in senso più ampio, conflitto, scontro. Ogni cosa si presenta soggetta a questo continuo scontro-incontro col suo opposto che opera a partire dal logos, discorso e legge eterna.

Se il mondo ordinato del cosmo è pensato come un’opposizione in costante divenire, il divenire stesso, sembra che tutto sia destinato ad una diversità: le cose sono distinte, punto e basta. Ma così non è e l’unità è da trovare proprio, ancora una volta, in quell’unico logos, verità eterna, che tutto unisce e dunque tutto riunifica.

Ma questa elaborazione filosofica non è certo una questione privata, una sorta di visione personale e soggettiva del mondo, secondo Eraclito, ma è l’unica cosa che si può pensare nel momento in cui si contempla la verità per quella che è. Il logos, l’ordine del mondo, è ciò che si rivela al filosofo che sa togliere il velo all’apparenza e scorgere, dietro la sua scorza fasulla, la verità.

Se tutti stessimo alla ragione, secondo Eraclito, tutti saremmo in grado di renderci conto che le cose stanno proprio in questo modo in quanto il logos è unico, è uno per tutti e tutti, tramite quello, possono pervenire alla verità. Ma, come tutti noi sappiamo dalla nostra esperienza, pochi giungono davvero alla verità, quand’anche la si cerchi!

Eraclito era ben consapevole di ciò e così si spiega la sua negativa visione della società. La società, per Eraclito, è vista e vissuta come in contrasto al filosofo. La massa della gente, l’indistinto tutto di individui che crede di vedere più in là di chi si sforza di capire, si svolge inconsciamente, è incapace di vedere la verità. Per contemplare la verità bisogna accostarsi con orecchio puro, scevro d’ogni pregiudizio a quell’unica ragione capace di esprimersi e farsi udire solo da chi non tende l’orecchio già corretto. Il discorso non-distorto si concede solo a chi si rende conto che bisogna fare uno sforzo per andare un pochettino al di là del comodo apparire e lasciarsi guidare dal logos stesso. La verità, secondo Eraclito, si concederà e diverrà così chiara e lampante che rifiutarla diverrà impossibile.

Per fare ciò bisogna proprio lasciarsi alle spalle il comodo pregiudizio, che crea sicurezze apparenti e fatue. Ma gli uomini lontani dalla verità non sanno di esserlo, così, dall’alto della loro ignoranza, saranno del tutto incapaci di capire quanto siano lontani dal filosofo e così si comporteranno con saccenteria e presunzione anche nei confronti del vero sapiente. L’ignoranza infatti fa vedere il piccolo grande e il grande piccolo ed in quanto contempla quel poco che vede come enorme, pensa di esser lei stessa la grande verità. Così non ci deve stupire che pochi si diano da fare per capire perché tanto credono di sapere già abbastanza, né dobbiamo rimanere a bocca aperta quando notiamo che i più grandi presuntuosi sono proprio quelli che meno sanno e che meno hanno capito. E non deve trarre in inganno colui che dice di sapere, e che ci giudicherà, perché è il primo della lista degli ignoranti.

Il filosofo dal canto suo si sforzerà di affermare la veridicità dell’unico logos e la vera natura del divenire, il polemos. Il concetto che tutto scorre, che nulla rimane uguale mai a sé stesso è una pietra miliare della tradizione filosofica ( e bisogna dire che se ne abusa un po’ troppo nel luogo comune che, come un fiume pieno di impurità, tutto riesce velocemente ad usurare ).

Non sappiamo quanto per Eraclito sia centrale il continuo fluire nella sua riflessione filosofica. Già in Anassimandro la natura assume dei valori precisi ed egli non trascura di rintracciare un certo ordinamento cosmico ( vedi la scheda su Anassimandro ). L’idea di giustizia dunque è fondamentale per i presocratici: la giustizia non va pensata come la intendiamo noi, come una questione morale o legale e pienamente umana.

La giustizia era prima di tutto prerogativa della religione ed erano gli dei stessi che l’amministravano. Dei, che dobbiamo pensare come ad una razionalizzazione del comportamento inspiegabile delle forze naturali e, dunque, della stessa natura: se gli dei erano coloro che rendevano equa la vita, la stessa natura era investita di un valore morale affatto trascurabile. Vita è natura, equità di vita è equilibrio naturale. Il mondo era prima di tutto giusto o ingiusto, ordinato o disordinato. Non c’era dunque una netta distinzione tra sfera morale e sfera naturale, una visione dunque molto lontana dalla nostra.

Eraclito doveva a sua volta intendere la natura e la giustizia in questo modo, e così quando parla del logos, egli parla tanto del dovere morale che gli uomini hanno a seguirlo quanto del fatto che il logos è lo stesso ordine del mondo, ordine del mondo che implica il conseguente ordine morale: il principio di ragione è lo stesso ordine di natura, dunque è vero, dunque è giusto.

« E’ impossibile sfuggire a ciò che non tramonta ». Nulla è al di là della legge, nulla esiste se non in quanto parte della legge.

Riferimenti.

Qualsiasi manuale di storia della filosofia dovrebbe andar bene, ma consigliamo piuttosto la garzantina che offre chiarezza essenziale. Altrimenti si può comprare l’immenso tomo dove sono presenti tutti i frammenti dei presocratici con tanto di testo a fronte.

Da: Severino E., Antologia filosofica, Mondo Libri, Milano, pp. 17-20:

« Di questo logos che è sempre, gli uomini non hanno intelligenza, sia prima di averlo ascoltato sia subito dopo averlo ascoltato; benché infatti tutte le cose accadano secondo questo logos, essi assomigliano a persone inesperte, pur provandosi in parole e in opere tali quali sono quelle che io spiego, distinguendo secondo natura ciascuna cosa e dicendo com’è. Ma agli altri uomini rimane celato ciò che fanno da svegli, allo stesso modo che non sono coscienti di ciò che fanno dormendo. »

« Bisogna dunque seguire ciò che è comune. Ma pure essendo questo logos comune, la maggior parte degli uomini vivono come se avessero una loro propria e particolare saggezza.»

« L’opposto concorde e dai discordi bellissima armonia. »

« Congiungimenti sono intero non intero, concorde discorde, armonico disarmonico, e da tutte le cose l’uno e dall’uno tutte le cose. »

« Come potrebbe uno nascondersi da ciò che non tramonta mai? »

« Quest’ordine universale, che è lo stesso per tutti, non lo fece alcuno tra gli dei o tra gli uomini, ma sempre era è e sarà fuoco sempre vivente, che si accende e si spegne secondo giusta misura. »

« L’unico, il solo saggio vuole e non vuole essere chiamato con il nome di Zeus ».

« Per quanto tu possa camminare, e neppure percorrendo intera la vita, tu potresti mai trovare i confini dell’anima: così profondo è il suo logos ».

« Negli stessi fiumi scendiamo e non scendiamo, siamo e non siamo ».

« Ascoltando non me, ma il logos, è saggio convenire che tutto è uno ».

« Non comprendono come, pur discordando in se stesso, è concorde: armonia contrastante, come quella dell’arco e della lira ».

« Il tempo è un fanciullo che gioca spostando i dadi: il regno di un fanciullo ».

« Polemos è padre di tutte le cose, di tutte re; e gli uni disvela come dei e gli altri come uomini, gli uni fa schiavi gli altri liberi ».

« L’armonia nascosta vale di più di quella che appare ».

« Una e la stessa è la via all’in su e la via all’in giù ».

« Immortali mortali, mortali immortali, viventi la loro morte e morenti la loro vita ».

« Il dio è giorno notte, inverno estate, guerra pace, sazietà fame, e muta come ( il fuoco ), quando si mescola ai profumi e prende nome dall’aroma di ognuno di essi ».

« Bisogna però sapere che la guerra è comune ( a tutte le cose ), che la giustizia è contesa e che tutto accade secondo contesa e necessità ».

« La stessa cosa sono il vivente morto, lo sveglio e il dormiente, il giovane e il vecchio: questi infatti mutando son quelli e quelli di nuovo mutando son questi ».

« Mutamento scambievole di tutte le cose col fuoco e del fuoco con tutte le cose, allo stesso modo dell’oro con tutte le cose e di tutte le cose con l’oro ».

« Nello stesso fiume non è possibile scendere due volte ».

« Il signore, il cui oracolo è a Delfi, non dice né nasconde, ma indica ».

Un po’ di interpretazione

« Bisogna dunque seguire ciò che è comune. Ma pure essendo questo logos comune, la maggior parte degli uomini vivono come se avessero una loro propria e particolare saggezza.»

Interpretazione: cerchiamo un attimo di capire cosa vuol dirci Eraclito. Intanto il destinatario non sarà colui che “vive come se avesse una propria particolare saggezza” ma il filosofo. Eraclito si rivolge a colui che comprende la verità universale e per ciò “comune”.

In questa frase dunque abbiamo almeno due prese d’atto paradossali: da un lato il filosofo si esprime per sé stesso, da un altro lato non si capisce come tutti possano ignorare ciò che tutti hanno in comune.

Il primo paradosso è quello del filosofo che canta ad un pubblico sordo, perché quella musica celestiale può esser compresa solo da chi l’ha già compresa di per sé ( non me ma il logos, dirà in un altro frammento Eraclito, cioè non attraverso me scoprirete la verità ma attraverso il logos ). La sua profondità e la sua bellezza verranno avvertite solo dal filosofo, non dal resto delle persone che pensa ed agisce inconsciamente.

Il secondo paradosso è quello più propriamente evidente dal frammento: se tutti hanno in comune la verità, perché l’opinione è di ciascuno, varia e mutabile, come mai la verità è sempre l’ultima cosa che salta fuori dalle bocche degli uomini? In ultima analisi, l’uomo preferisce seguire una strada dettata dall’abitudine e, in quanto è incapace di porsi il dubbio di un’alternativa, contemplerà tale abitudine come la norma assoluta. Il crocevia di strade fa sempre paura a colui che vive nel piccolo della sua opinione e, dunque, risulta sempre, per i più, una scelta scartata a priori.

Vogliamo soffermarci un attimo per comprendere meglio la natura e l’origine di questi due paradossi. Il primo lo leggeremo in chiave propriamente esistenziale, il secondo in conseguenza all’interpretazione del primo.

Il filosofo indaga la natura umana e la contempla per quel che è e si rende conto di una cosa: che la verità è profondamente tautologia. Nel senso che il filosofo sa qualcosa che egli stesso non riesce ben ad esprimere tanto è la sua evidenza. Ma questo porta inevitabilmente ad una chiusura da parte del pensatore stesso il quale contempla il proprio pensiero come ad una stella visibile solo da un occhio fino tale che, per tutti gli altri, non basterebbe un telescopio. Egli così si trova a riflettere nella solitudine.

Non che egli non cerchi di comunicare, di dire quel che egli sa perché il sapere non si trattiene all’interno di un soggetto perché è l’universalità il suo giusto spazio e fa di tutto per ricercarla. Ma non riesce, nonostante gli sforzi, a trovare un pubblico adeguato, che lo ricompensi dello sforzo e che, in ultima analisi, possa rompere il muro di solitudine che la conoscenza affida al cavaliere dello spirito.

E così ad Eraclito non rimane che annotare, per sé e per tutti, che, in fin dei conti, ai più basta vivere nella piccolezza della loro miopia e che, nella loro ottica paradossale, il loro occhio venga scambiato per quello di lince. Al filosofo non rimane che tentare di aprire gli occhi a coloro che già possiedono gli occhi per vedere.

Rendiamoci conto dunque di questo: che Eraclito sarà pure un filosofo aristocratico ma non nega mai la possibilità della comprensione. Egli mai si abbassa a dire che egli possiede la verità perché soggettivamente la contempla. Al contrario egli si sforza di mostrare l’assurdità. Tutti potremmo conoscere, ma solo pochi lo fanno. E questo è il vero dispiacere del filosofo.

« Come potrebbe uno nascondersi da ciò che non tramonta mai? »

Solleticazione: un giorno vidi una signora, sulla settantina. Era tutta stirata, truccata di mille colori e dai capelli di macchia indefinibile ma accesa. Aveva una camminata spedita, non saprei dire perché ma mi dava l’aria di un che d’artificiale, un ritmo troppo veloce e sostenuto per venire da quello che sembrava, nonostante tutta l’apparenza, un fragile corpicino. L’avevo vista camminare una mattina e poi, come tante figure che si vedono per le strade, la dimenticai.

Riflettevo sul tepore mattutino, su nuvole e frivolezze quando vidi una scena agghiacciante: c’era una signora impellicciata, caduta a terra. Non l’avevo ancora vista in faccia ma si capiva che aveva una certa età e che doveva essere piuttosto ricca. Non era in grado di muoversi e c’era un’aureola di curiosi e prodighi benefattori tutt’intorno. Quando la vidi in faccia la riconobbi: era la stessa signora che avevo visto qualche giorno prima.

La cosa mi turbò: ricchi o poveri, giovani o vecchi uguali siamo di fronte alla vita. Ma quello che non riesco a capire è la volontà di far finta che tutto sia a misura dei nostri sogni invece di voler vedere la realtà e stare in pace con lei così da aver da questa sogni credibili invece di trarre dal falso sogni introvabili.

 Non mi chiedo come posso nascondermi da ciò che non tramonta mai, domanda pur lecita!, ma perché mi dovrei sottrarre da ciò che non tramonta mai?

« Ascoltando non me, ma il logos, è saggio convenire che tutto è uno ».

Interpretazione con qualche libertà di riflessione: analizziamo prima di tutto il periodo. La frase si può spezzare in tre parti, la prima la principale ( « …è saggio convenire… » ), la seconda è, per usare un termine osceno ma usato dai linguisti, la completiva cioè un’oggettiva-relativa ( « …che tutto è uno » ) la terza la coordinata avversativa ( « Ascoltando, non me, ma il logos… » ). Abbiamo il significato portante nella principale, ma non si può comprendere l’interezza del significato senza la specifica posta dopo. La coordinata avversativa svolge da premessa che specifica poi il senso stesso della lettura della principiale

Ciò che Eraclito ci sta dicendo è che tutto è uno, nucleo della frase. In questa verità, in quanto verità, è saggio convenire tutti.

Fai caso ad una cosa alla quale ho mi sono stupito, all’epoca, di non aver avuto così chiaro ciò che, pensavo, avrei dovuto avere per istinto: si può convenire solo in ciò che è comune, non in ciò che differenzia: l’opinione è mutevole e varia da persona a persona ( è adeguato citare la frase di un bel film col mitico Eastwood: « le opinioni sono come i coglioni: ognuno c’ha le sue ». Sarà poco fine ma è chiarifica di molto la situazione ).

Pensiamo alle religioni: esse pretendono per sé sole la verità quando tutte si basano su un enunciato di credenza: “io credo che X”. La frase non ha senso se non riferito ad un “io” specifico e non ha senso se non in quanto è relativa all’oggetto della credenza ( un “io” di un antico romano del trecento avanti cristo non avrebbe affermato certe opinioni religiose, per esempio, ma senz’altro sarebbe convenuto sulla dimostrazione del teorema di Euclide ).

Ma tale frase indica proprio che parto da una premessa inverificabile o, in altre parole, che prendo per vera solo per arbitrio e non perché suffragata da conoscenza. La fede infatti procede da una ignoranza e pretende di dare risposte che non può dare: come faccio a dire cosa ho dietro le spalle senza girarmi?, ma se non mi posso girare? Tutti saremmo concordi a dire che sarebbe assurdo ipotizzare su ciò che ho dietro le spalle e pretendere di esser nel vero.

La logica della fede e delle opinioni segue la stessa identica strada: non può essere un caso che nel linguaggio usiamo esattamente la stessa forma per indicare una nostra fede piuttosto che una nostra opinione ( “io credo che x” se alla “x” sostituisci un nome di religione o ci metti un’opinione, ti rendi conto che la frase ha un significato compiuto: “io credo che il cristianesimo sia vero”; “io credo che domani il Cagliari batterà l’Inter” ).

Dunque « …è saggio convenire che tutto è uno », è la verità che Eraclito sta cercando di mostrarci. Dire che « …è saggio… » equivale a dire che il contrario è stolto. Infatti dire che tutto è diverso implica rimanere ad un livello superficiale nella comprensione del mondo. Ed è proprio da tale superficialità nella visione del mondo da parte della maggioranza che è determinata anche la variabilità delle opinioni: esse seguono da loro modo di pensare.

Ma a questo punto potremmo dire ad Eraclito ciò che egli obbietta agli altri: caro mio Eraclito, sei tu che dici che tutto è uno; ciò una tua opinione e, come tu stesso dici, l’opinione varia da persona a persona e tu non vali di più degli altri.

Penso che questa sia una delle più classiche obbiezioni che saltano spontaneamente nella testa degli studenti di filosofia che si limitano, per loro sfortuna, a leggere passivamente senza indagare sulla frase. Anche perché, e questa è la vera sfortuna di quei ragazzi, si trovano spesso di fronte professori di filosofia che di filosofia non capiscono nulla e così insegnano male ciò che è importantissimo che venga studiato bene.

Per chi crede che il relativismo sia nato avantieri, faccia caso che la risposta a questa possibile obbiezione è stata elaborata da Eraclito proprio per arginare tale problema. Evidentemente, non tutti sarebbero disposti a dire: si, caro mio Eraclito, tu hai proprio ragione, io ho torto e tu hai capito tutto. Se non altro perché in pochi sono disposti ad ammettere che non c’avevano capito nulla. Ciò, infatti, equivarrebbe ad ammettere che pensando in modo errato, agivano anche in modo errato. L’errore è spesso, purtroppo, dai più visto come un errore morale, di costume e così, anche quando messi di fronte alla loro assurdità, continuano a belare sempre la stessa frase come se bastasse ripetere un’opinione per trasformarla in verità ( e fai pure caso che è un’operazione assai comune e operata sistematicamente dai mass media che sempre devono dare verità da opinioni ).

Eraclito dice: « Ascoltando, non me, ma il logos… ». Trasformiamola in termini aggiornati: “ascoltando, non me, ma la ragione…” Già ora dovrebbe essere più chiaro. Ma operiamo ancora un’altra magica trasformazione: le magie sono dei trucchi, ma, talvolta, illuminano e stupiscono. “Seguendo, non le mie o le tue opinioni, ma la ragione… è saggio convenire che tutto è uno”.

“Seguire” è un verbo che significa con-seguire, avere conseguenze, dedurre. Dunque se seguo la ragione è logico affermare che tutto è uno. Se infatti seguissi la mia opinione, o quella degli altri, è lo stesso, e sai bene che le opinioni sono diverse per ciascuno, non direi che tutto è uno ma che tutto è diverso. Possiamo anche parlare a partire dalle nostre opinioni, ma sapremmo bene che non potremmo pretendere verità da esse.

Eraclito dunque dice: “guarda, che non è che lo dico io, potresti benissimo dirlo tu e avere ragione, che tutto è uno. Infatti, tale affermazione non dipende né da me né da te, ma dalla ragione, che è una per tutti e che tutti seguono quando devono concordare. Allo stesso modo che nelle discussioni, anche le cose concordano per ragione e, dunque, sono tutte una sola cosa ordinata”.

E concludo dicendoti che, quando “porti qualcuno alla ragione” non stai facendo altro che tras-portarlo da una sua momentanea passione, che gli investe mente e corpo, ad una più pacifica realtà: tu parli ad uno che ha perso appunto la ragione in nome di una illusione, di un’opinione-sbagliata e tu, con la sola forza delle parole ( della ragione ) lo riconduci alla verità. Questa è la stessa operazione di Eraclito.

« L’armonia nascosta vale di più di quella che appare ».

Interpretazione: seguendo quelle che ormai sappiamo sono le chiavi di lettura per comprendere Eraclito, cerchiamo di analizzare questa frase.

La frase è una sola, è una principale, l’infinitiva potrebbe essere riscritta utilizzando un aggettivo. Il verbo principale pone una comparazione tra il soggetto e il complemento di specificazione ( o di paragone, in questo caso ). Gli “attori” della frase sono dunque due: da un lato l’  « …armonia nascosta… », da un altro « … quella che appare ».

Capire quale sia l’armonia nascosta non è difficile, una volta compreso il senso della filosofia di Eraclito: l’armonia che non-appare è chiaramente l’ordine del logos. La non-immediatezza di tale armonia è data dal fatto che essa nasce da un conflitto, lo scontro degli opposti: il polemos. Essa dunque appare, come ogni scontro, una disarmonia, una discordanza. Dunque, è questa armonia non si penserebbe mai se non attraverso il logos, e solo tramite questo si arriva a capire che solo dietro questo continuo mutamento determinato proprio dallo scontro degli opposti si giunge a quell’ordine universale.

Meno semplice è definire chiaramente quale sia l’armonia che appare: una cosa è, infatti, intuirla, altra cosa è definirla. Potremmo pensare che sia semplicemente l’armonia dell’immediato, dell’intuito tramite i sensi. La nostra esperienza delle cose che ci fa pensare che il mondo sia un continuo fluire senza scontri o senza fatica.

Diciamo subito che questa è una mia interpretazione ed essa nasce dall’idea, affatto necessaria, che Eraclito pensasse ad una visione apparentemente pacifica per chi giudica a partire dai sensi, mentre chi giudica con ragione la vede sotto le sue vere spoglie. Colui che si lascia trasportare dalle sue intuizioni sensibili, da ciò che vede e sente, non riesce a giungere a quell’ordine più profondo della realtà, un ordine razionale-naturale che nasce però dall’intimo sforzo di trovare un accordo tra i discordi.

Un esempio potrebbe essere quello di una sonata per pianoforte dove ci sono due temi discordanti: se udita in superficie la melodia appare semplicemente come fascio di note che, se ci piacciono, la giudicheremmo armoniche. Ma questa armonia non tiene conto dello sforzo sottostante, del tentativo di unire due temi in sé discordanti. Solo da questa unione dis-armonica nasce quell’ordine che è poi la logica stessa di quella sonata. Tale ordine si rivela non a colui che ascolta passivamente quella melodia e la giudica così come gli viene, ma giunge alle orecchie solo di chi ha udito per capire.

Se ciò è giusto, per Eraclito esistono due armonie, una vera e l’altra falsa, una vista dal filosofo ( che però potrebbe semplicemente essere inteso come uomo-razionale ) e l’altra vista dall’uomo superficiale.

Ciò che Eraclito ci sta dicendo è, probabilmente, quella di non lasciarci ingannare dall’apparente semplicità dell’esperienza perché da essa si può trarre grande giovamento solo nella misura in cui siamo noi a comprenderla e non da essa trascinati.

( Leggi anche la prossima interpretazione per vedere se i conti tornano o se invece ti sembra che questa visione sia errata! )

« Nello stesso fiume non è possibile scendere due volte ».

Interpretazione: vogliamo riflettere questa frase perché è quella da cui si è derivata l’idea che la filosofia di Eraclito sia quella del “tutto scorre”, quando, invece, ci sembra che ciò non sia de tutto esatto.

Egli infatti non lo dice mai esplicitamente e non potrebbe nemmeno dirlo! Se lo dicesse, non solo direbbe una contraddizione, ma verrebbe proprio contro quella che è la sua impostazione filosofica centrale: quella dell’ordine armonico che nasce dalla disarmonia. Ricorda queste frasi quando ti dicono di Eraclito, il pensatore del tutto scorre:

« Di questo logos che è sempre… »,

« Bisogna dunque seguire ciò che è comune. Ma pure essendo questo logos comune, la maggior parte degli uomini vivono come se avessero una loro propria e particolare saggezza »,

« Quest’ordine universale, che è lo stesso per tutti… »,

« Ascoltando non me, ma il logos, è saggio convenire che tutto è uno ».

Nella prima frase si dice che il logos è eterno ( « …è sempre… » infatti implica un’invarianza secondo il tempo ), dunque immutabile nonostante il mutare degli eventi. Nella seconda frase si dice che il logos è l’unico accesso universale alla conoscenza, il logos è dunque la verità che, ancora una volta, se è una per tutti, non può variare nel tempo, altrimenti ciò che sarebbe stato vero diverrebbe falso e ciò, senz’altro, per Eraclito, non si può dire, ancora una volta e ciò è esplicitato nella terza frase: essa ha come soggetto l’arché, il fuoco pulsante, generatore del movimento ma, al di sotto di questo movimento, sta quell’unico ordine che è, appunto, il logos. La quarta frase ci dice ancora che tutto è uno e, dunque, nonostante l’apparente molteplicità, che è poi ciò che è mutevole, permane sempre una unità di fondo che non cambia.

Sicuramente Eraclito ci parla anche del movimento ( che implica, quanto meno nel mondo greco, l’idea di cambiamento sia quantitativo che qualitativo, dunque di mutamento ), e ne parla come un continuo fluire delle cose. Sappiamo che tale dinamismo è tutt’altro che scontato e senza sforzo: il mutamento è il risultato del polemos che, in ultima analisi, è l’essenza stessa della realtà.

La frase in questione ci dice chiaramente che tutto è in continuo movimento-mutamento, non c’è ombra di dubbio. L’immagine del fiume indica proprio che, l’acqua del fiume è sempre diversa: scorre senza mai fermarsi. Anche noi siamo come un fiume: viviamo e non ci fermiamo sino alla morte ( e sarebbe da discutere se questa seconda affermazione Eraclito l’avrebbe sottoscritta… ) Sia il fiume che noi stessi siamo in continuo cambiamento e, per ciò, non siamo mai la stessa cosa due volte.

Da un lato un apparente dinamismo incessante, da un altro lato una certezza eterna e ineluttabile: che sia proprio questa duplice natura a indicare da un lato qual’è la falsa armonia da un lato e quale sia la vera dall’altro? Che il luogo comune abbia assorbito proprio il contrario di ciò che Eraclito voleva indicarci?

Spunti di riflessione

Tutti conoscono Eraclito e tutti sono più o meno eraclitei. Gioco forza, tutti hanno sentito parlare del filosofo del “tutto scorre” pensando a queste parole come ad una formula magica, piacevole perché rassicurante di una nostra forma di superficialità.

Infatti, molti parlano senza intendere e non si rendono conto che dietro a parole dette con leggerezza sta dietro un grande significato. E detto tutto questo, sembra che io voglia attribuire un peso eccessivo a coloro che giudicano senza sapere, che dicono senza concepire e agiscono senza pensare.

Sono del parere che è una drastica semplificazione quella di pensare alle persone più inconsapevoli come dotati di una volontà quando sbagliano. Piuttosto è mio parere che l’errore sia solo il risultato di un caso, di una inconsapevolezza. E al pari di un bambino che inciampa, ancora troppo inesperto, non si può fare ammenda all’ignorante di ciò che ignora.

Una voce silenziosa mi ha suggerito un giorno che è un errore tollerare senza capire e perdonare senza comprendere: mal si sopporta un male, ma ancor più difficile è tollerare un male senza perché (dunqu)e senza senso. Colui che perdona non sta sollevando l’altro dalla propria responsabilità ma, viceversa, sta sollevando sé stesso dalla sua: egli perdona perché non vuole vedere. Egli, ingenuamente, crede che vedendo soffra di più che ignorando. Che follia!

Se c’è dunque una cosa che la filosofia ci ha insegnato è proprio che dalla verità non si può fuggire e che la verità non è né bella né brutta ma va affrontata. Che la verità sia bella o brutta non dipende dalla verità ma da noi.

Bisogna quindi capire, per tollerare, coloro che, ignorando, dicono beate frivolezze. Il fatto è che parlano seguendo il luogo linguistico comune, pensando che saranno facilmente intesi qualora dicano cose che tutti ripetono. In questo senso, si lasciano guidare dalle parole ( sentite da qualcun altro e per ciò poco comprese ) e non si accorgono che pronunciano frasi di cui ignorano il significato.

La domanda è: come fai a dire ciò che non sai? A questo rispondiamo così: che il linguaggio conserva molte informazioni che sono spessissimo ignorate anche da coloro che parlano. Dunque il linguaggio è un formidabile, eccezionale, registratore e conservatore della storia per quanto, spesso, tutto il suo valore rimanga celato proprio a colui che parla.

Al di là dei toni polemici, adatti ad un pensatore altero e superbo come Eraclito, le riflessioni su questo fatto possono essere tante e proficue. Ci limitiamo a porre qualche domanda:

Stando all’analisi che abbiamo cercato di proporre, è ( del tutto ) vera la frase “tutto scorre” per la filosofia di Eraclito?

Come è possibile che le persone parlino senza sapere?

Perché le persone si sentono di dire cose che ignorano del tutto?

E’ proprio vero che perdonare aiuta a vivere, che tollerare senza capire sia una cosa positiva?

Quali sono le conseguenze del non guardare il vero in nome del falso?

Quando Eraclito se la prende con la società che veicola l’opinione, sta sostenendo che i più preferiscono una conoscenza superficiale del mondo piuttosto che una comprensione adeguata della realtà.

Lui viveva nell’antica Grecia, un mondo senza energia elettrica, senza frigorifero e pizzerie. Un mondo spoglio di quasi tutti i divertimenti che l’uomo d’oggi riconoscerebbe come indispensabili. Non c’erano medicine, si viveva molto poco e si soffriva tanto. Sembrerebbe un mondo adatto alla conoscenza: privi del tutto di distrazioni come si era, senza altro diletto, l’apparenza vorrebbe che l’unica strada dell’evasione potrebbe esser proprio quella della conoscenza.

E’ comune giustificazione alla propria ignoranza quella di vivere in un mondo “ricco di distrazioni” e mi è spesso stato detto che vivere in una città priva di divertimenti sia un incentivo allo studio. Per il mio, sono piuttosto dubbioso su questo parare assai diffuso: penso piuttosto che una città senza stimoli sia l’anticamera, per la maggior parte, per la depressione. Così è meglio studiare di meno perché contenti piuttosto che studiare di meno perché depressi.

Ma il punto è che, se il luogo comune fosse vero, allora l’antica Grecia sorprende che non fosse un mondo di geni, che si struggono per giungere all’agognata conoscenza universale!, facendosi a spinte l’un con l’altro per arrivar per primi! Mi sembra che questo smentisca due evidenze: 1) Eraclito stesso ci dice che i più non riflettono affatto e si lasciano condurre dal caso piuttosto che dalla ragione. 2) Che di tutte le persone che saranno vissute nell’antica Grecia, solo di pochissime sappiamo quanto meno il nome. Ciò significa che, per i più, la morte non ha portato né gloria né infamia, solo un oblio nero, privo di luce e colore. E quelli che ricordiamo o sono stati dei sapienti o sono stati dei potenti.

In ultima analisi, ieri si pensava quanto oggi: assai poco.

Perché?

Perché si fa tanto sforzo per non vedere la vita?

Non sarebbe più semplice rivolgere tutti i nostri sforzi verso una comprensione più ampia della vita, magari proprio verso la gestione dei piaceri piuttosto che ad un loro passivo uso?

Lasciamo perdere la figura del filosofo, in quanto è troppo complessa da articolare in due battute. Ma parliamo in generale di una persona che riflette sulle cose. Essa come è connotata?

Esiste il saggio?

Perché la parola “asociale” è tanto negativa in una società che tende a rifiutare l’individuo piuttosto che a lasciargli il giusto spazio per esprimere la propria irrinunciabile curiosità?

 


Giangiuseppe Pili

Giangiuseppe Pili è Ph.D. in filosofia e scienze della mente (2017). E' il fondatore di Scuola Filosofica in cui è editore, redatore e autore. Dalla data di fondazione del portale nel 2009, per SF ha scritto oltre 800 post. Egli è autore di numerosi saggi e articoli in riviste internazionali su tematiche legate all'intelligence, sicurezza e guerra. In lingua italiana ha pubblicato numerosi libri. Scacchista per passione. ---- ENGLISH PRESENTATION ------------------------------------------------- Giangiuseppe Pili - PhD philosophy and sciences of the mind (2017). He is an expert in intelligence and international security, war and philosophy. He is the founder of Scuola Filosofica (Philosophical School). He is a prolific author nationally and internationally. He is a passionate chess player and (back in the days!) amateurish movie maker.

2 Comments

  1. Michele Carlo vinci Michele Carlo vinci 14 Febbraio, 2020

    Dopo questa bella delucidazione o perlomeno spolverata di incrostazioni, nella mia” limitatezza culturale ” per ammortizzare un po tutte le informazioni di questo grande filosofo, mi sono adagiato su spinoza che nella sua complessità mi ha rasserenato nelle tante domande personali. Comunque grazie per la tua lucidità nell’esporre il pensiero di questo grande uomo. Complimenti

    • Redazione Redazione 14 Febbraio, 2020

      Gentilissimo,

      Grazie per le sue gentili parole. Non posso che essere simpatetico con la sua necessità, visto che Spinoza è, dopo Kant, il filosofo moderno che ho esplorato di più. Mi sento di suggerirle: http://www.scuolafilosofica.com/5915/5915 dove propongo una visione neo-spinoziana. In ogni caso, mi fa piacere pensare che un articolo scritto alle soglie della mia iscrizione alla triennale ormai dieci lunghi anni fa continua ad essere letto da lettori interessati. La strada è stata lunga ma anche i principi avevano un senso!

      Thank you for reading us,

      G

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