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Le condizioni della felicità

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E’ bene riflettere sulle cose che possono farci felici: infatti, se siamo felici abbiamo tutto ciò che occorre; se non lo siamo, facciamo di tutto per esserlo.

Epicuro

L’analisi dei modi della felicità, delle sue condizioni e della sua ricerca è un discorso moralmente vincolato in modo limitato. Il vincolo è imposto dal fatto che gran parte delle azioni umane sono eticamente connotate. Useremo la parola “morale” come se fosse equivalente a “etica” e così gli aggettivi relativi. All’interno dell’etica si distinguono le azioni intenzionate al bene dell’umanità nel suo complesso. Tali azioni sono consapevoli e frutto della ragione indirizzata verso sé come scopo ultimo.

L’azione pratica si divide in ragionevole e in irragionevole. L’azione pratica ragionevole armonizza in modo idoneo i mezzi con il fine, l’azione irragionevole, invece, è inidonea al raggiungimento di un fine. Si danno, dunque, più casi:

1. Fine razionale e ragionevolezza dei mezzi.

2. Fine irrazionale e irragionevolezza dei mezzi.

3. Fine razionale e irragionevolezza dei mezzi.

4. Fine irrazionale e ragionevolezza dei mezzi.

Lo scopo è razionale se si fonda sul riconoscimento della parità dei diritti (principio di reciprocità universale) e sulla dignità universale. In altre parole, è razionale nell’adozione di uno scopo colui che riconosce la validità della regola:

Se x è un uomo, se io sono un uomo e godo della proprietà D (avere dignità) in quanto uomo allora x gode della proprietà D.

 Così

Se io e x godiamo della proprietà D sulla base dell’essere uomini, allora tutti gli uomini godono della proprietà D.

Uno scopo è irrazionale, se è assunto in violazione del principio: “tutti gli uomini godono della dignità di cui godo io”, ciò vale anche nel caso in cui qualcuno non riconosca sé come individuo dignitoso, quali che siano le sue ragioni per pensarlo.

Le azioni eticamente razionali sono tutte quelle che aumentano la razionalità etica del mondo umano, vale a dire sono quelle che assumono come scopo la massimizzazione della razionalità delle altre persone, traducendosi in azioni atte a diffondere i valori della dignità dell’individuo: tutte le azioni bene intenzionate e bene ordinate rendono migliore sia chi le compie che chi le subisce, così che il bene dell’azione è il bene dell’umanità. La fuoriuscita dall’egoismo, in senso stretto, è garantita dal riconoscimento della dignità universale e dall’adozione del mezzo che aumenta tale riconoscimento, con la presupposizione che il mezzo sia a sua volta un’azione buona e non cattiva giacché non si può qualificare per sé un fine buono se esso è ottenuto attraverso mezzi malvagi. Il bene diventa comunitario non nel senso che trascende il singolo che lo compie ma nel senso che aumenta il bene dell’umanità diventando patrimonio di un insieme di singoli individui. L’umanità è costellazione di individui tale che la propagazione del bene è ottenuta dalla trasmissione delle basi, delle idee, dei modi e degli assunti dell’etica razionale agli altri individui: un uomo che fa del bene, inteso in un senso non utilitaristico ma razionalmente morale, fa del bene a tutti gli uomini, direttamente o indirettamente. Questa è la via dell’impresa umana nel suo complesso, che si configura come un insieme di staffette animate da un’unica fiamma. Se quanto appena descritto può risultare inaccessibile alla coscienza e pratica dei più, come se fosse una visione possibile solo a chi ci rifletta (accusa di intellettualismo), possiamo replicare che non c’è bisogno di essere consapevoli di quanto detto per agire in modo conseguente alle leggi della razionalità morale. Un uomo può essere inconsapevole di credere che sia sbagliato rubare ma, ciò non di meno, può credere in quello ed essere a ciò conseguente sul piano dell’azione.

Le azioni moralmente irrazionali sono tutte quelle non razionali, le quali semplicemente assumono un obbiettivo che non riconosca la legge aurea della morale nello scopo. Gli uomini, così indirizzati, non saranno in grado di fare il bene, se non casualmente, e soggiaceranno in una perpetua condizione di guerra, dove i singoli sono concepiti come alleati o nemici, ma non come individui e, conseguentemente, non come amici in un senso forte. L’individuo, in senso morale, è l’uomo riconosciuto nella sua dignità. Ma l’uomo, come strumento, non gode di tale riconoscimento perché egli sarà valutato solo nei termini delle prestazioni, così che qualunque azione del potere sulla sua volontà sarà giustificata sulla base dei risultati che gli vengono richiesti.

Posto tutto ciò, esistono delle azioni neutre, cioè che non rientrano direttamente né nell’etica razionale né nell’etica irrazionale. Tali azioni sono tutte quelle che non rientrano all’interno del problema dell’adozione di un fine moralmente razionale. Tali azioni riguardano la soddisfazione dell’individuo, senza che tale soddisfazione rientri all’interno dei problemi propriamente etici, cioè che implichino la presenza di altre persone o di sé in quanto persona. Leggere una rivista di scacchi nel bagno non è moralmente un’azione connotata, salvo casi contingenti specifici. Azioni simili, allora, non rientrano direttamente nell’etica. Ci sono altre azioni che rientrano nel problema della felicità: tutte quelle che sono moralmente razionali e finalizzate a noi stessi.

Un’azione moralmente irrazionale può aumentare il grado di soddisfazione solo in senso parziale, nella misura in cui abbatte un senso di bisogno, più o meno impellente, ma la felicità è piacere della soddisfazione di se stessi, cioè la realizzazione della nostra vita nel mondo. Solo un’azione pratica può comportare una tale condizione di piacere, sia perché il piacere è un fatto fisico e, dunque, richiede la presenza di una realtà materiale sottostante, sia perché la soddisfazione attiene alla realizzazione delle proprie aspettative morali nel mondo, quali che siano. In questo senso, compiere azioni a partire dalle proprie convinzioni morali razionali è una condizione necessaria e non sufficiente per la realizzazione della propria felicità.

Esistono, però, azioni che rientrano solo nel proprio spettro di interesse e non riguardano gli altri. Tali azioni sono tutte lecite, a patto che aiutino o aumentino il nostro grado di soddisfazione e, in questa dimensione, si può definire la vita saggia come quella che massimizza la propria soddisfazione e ne minimizza l’infelicità e va escluso, dunque, tutto il resto, perché se tale rimanente sussiste per ragioni psicologiche è, in vero, squalificato da ciò che può essere definito come saggio in vista della propria felicità. Leggere un romanzo o una poesia, vedere un film, quale che sia, nella misura in cui ciò non causi ulteriori problemi morali, sono dei piccoli problemi pratici che non rientrano nel problema dell’etica, ma della virtù umana della soddisfazione o della felicità. Lo scopo è limitato e non prevede conseguenze né conflitti con gli altri né con se stessi, dunque, lo studio di ciò che ci rende felici non attiene all’etica né, d’altra parte, attiene ad alcuna disciplina particolare, giacché il complesso delle cose che ci soddisfano è dato dalle contingenze della persona. Se è vero che ciò non attiene a nessuna disciplina particolare, dovrebbe essere nell’interesse di ogni singolo individuo individuare ciò che lo rende felice a scapito di nessuno, anche perché quando una persona è felice tende a rendere più felici anche gli altri, così che sia da un punto di vista puramente egoistico che puramente altruistico, cioè tutto ciò che si può essere, un uomo dovrebbe avere a cuore la propria felicità. Non avere a cuore la ricerca della propria felicità può essere la causa non solo della nostra infelicità ma anche di quella di altri e, nel peggiore dei casi, può comportare che per raggiungere ciò che noi pensiamo essere la cagione di soddisfazione si passi sul cadavere di terzi. Per questo è tanto più importante l’indagine critica su ciò che ci può rendere felici.

La relazione della vita felice con la vita moralmente razionale sta nel fatto che nessun uomo può dirsi pienamente felice se non in quanto eticamente razionale. Le ragioni dell’impossibilità del contrario possono essere enucleate in tre argomenti distinti: primo, è assente uno scopo universale che giustifichi il male di vivere: quali validi argomenti potrà mai possedere un uomo per giustificarsi il male che deve subire quotidianamente se non perché egli stesso è parte di una grande famiglia di uomini che partecipano come lui al miglioramento e alla cura del suo mondo? Secondo, perché quest’uomo sarà costantemente all’interno di una condizione di conflitto con i suoi simili per via del fatto che i suoi interessi saranno spesso in contrasto con quelli degli altri, il che è causa di (1) dispendio di energie per rimediare ai problemi della lotta con il prossimo; (2) abbattimento psicologico per via del fatto che le risorse degli elementi resistenti alla propria soddisfazione sono moltissimi e inesauribili; (3) frustrazione per via del fatto che assai spesso non si riuscirà ad ottenere l’agognato obbiettivo per via di elementi imponderabili o, cosa ancor più grave, per via di altre persone e (4) egli sarà spesso tratto in inganno per via del fatto che sceglierà degli obbiettivi solo parzialmente causa di beni e felicità proprio perché moralmente irrazionali. Terzo, perché a livello interiore si riconosce assai spesso la presenza di una contraddizione tra le proprie ispirazioni morali e le realizzazioni pratiche di esse, laddove qualunque forma di contraddizione è causa di frustrazione e fastidio da parte della persona.

Il problema della soddisfazione è un fatto individuale e contingente, ma è possibile fissare alcuni punti validi per tutti. E’ evidente che esistono delle condizioni che rendono più soddisfatti: ascoltare Beethoven rende più soddisfatti che ascoltare altre mediocrità, sia in base all’unità di intensità del piacere che della sua durata nel presente e nel futuro; anche perché Beethoven più di altri favorisce anche la visione di un mondo più ampio e esteticamente soddisfacente. Considerando l’estetica una parte dell’etica, giacché l’estetica non è solo un modo di agire ma anche di pensare e intendere sé e gli altri così che si dà precisa traduzione nei costumi morali di ciò che si pensa a livello estetico, si può facilmente mostrare come la fruizione di un’estetica profonda e virtuosa favorisca anche lo sviluppo di una coscienza morale altrettanto fruttuosa e altrettanto virtuosa. Tuttavia, la scelta delle azioni che danno soddisfazione, posto che siano moralmente neutre, rimane un problema individuale e contingente. Così, la vita felice saggia è quella di chi sa cosa lo soddisfa e lo fa e non di chi segue, ad esempio, le direttive o i consigli di terzi. Il fatto che si apprenda per riflesso ciò che dovrebbe renderci felici è un problema dell’individuo singolo, che deve trovare il modo migliore, posto che sia ben intenzionato, per rendere sé felice.

Senza dubbio, si possono fissare dei punti per cui un uomo può essere più o meno felice. Un uomo privo di cibo e acqua, che non dorme non può essere del tutto felice perché deperito e stanco. Un uomo che sente di essere solo non può dirsi felice. Un uomo che è solo in ogni senso della parola non può dirsi totalmente felice. Un uomo che non riconosce la dignità dei suoi simili non può dirsi pienamente felice. Un uomo che non si prende cura dei suoi bisogni immateriali, i bisogni dello spirito, non può dirsi pienamente felice.

La felicità parziale di un uomo si fonda su una virtù che riguarda la ricerca di un benessere fisico, che consenta al proprio corpo di avere un giusto sostentamento e il giusto grado di soddisfazione. Dal punto di vista psicologico, un uomo deve ricercare la serenità d’animo, che gli consenta di riconoscersi come parte integrante del mondo di cui fa parte, di non sentirsi solo e che gli consenta di sentirsi affettivamente integrato. Così, la virtù spirituale è indispensabile per la felicità dello spirito.

Abbiamo individuato vari significati della parola felicità. La felicità è il piacere della soddisfazione di se stessi, tale soddisfazione attiene a cinque livelli dell’essere uomini:

1. Benessere fisico.

2. Benessere affettivo.

3. Benessere etico.

4. Benessere sociale.

5. Benessere spirituale.

Tutto ciò consente di spiegare come la felicità non sia un fatto monolitico, fondata su un elemento unico, ma ammette varie gradazioni e varie condizioni. La felicità assoluta è la soddisfazione di tutti i cinque ambiti della realizzazione di se stessi nelle varie tipologie, condizione che si realizza assai raramente nella vita, se si realizza, e solo per brevissimi periodi o istanti. Così è sostanzialmente impossibile dirsi felici assolutamente, ma sta a noi esserlo almeno parzialmente.


Bibliografia

Aristotele, Etica nicomachea, La scuola, Brescia, 1960.

Epicuro, Opere, Laterza, Roma-Bari, 1969.

Epicuro, Seneca, Scritti sulla felicità, Giunti, Milano, 2007.

Epitteto, Massime, SE, Milano, 2009.

Kant I., Critica della ragion pratica, Laterza, Roma-Bari, 1997.

Platone, Il processo di Socrate, Demetra, Verona, 2000.


Giangiuseppe Pili

Giangiuseppe Pili è Ph.D. in filosofia e scienze della mente (2017). E' il fondatore di Scuola Filosofica in cui è editore, redatore e autore. Dalla data di fondazione del portale nel 2009, per SF ha scritto oltre 800 post. Egli è autore di numerosi saggi e articoli in riviste internazionali su tematiche legate all'intelligence, sicurezza e guerra. In lingua italiana ha pubblicato numerosi libri. Scacchista per passione. ---- ENGLISH PRESENTATION ------------------------------------------------- Giangiuseppe Pili - PhD philosophy and sciences of the mind (2017). He is an expert in intelligence and international security, war and philosophy. He is the founder of Scuola Filosofica (Philosophical School). He is a prolific author nationally and internationally. He is a passionate chess player and (back in the days!) amateurish movie maker.

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