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Spinoza – La felicità come beatitudine dell’uomo razionale

Casa di Spinoza dove ha completato l’Etica – L’Aia – Foto dell’autore

La filosofia di Spinoza è una delle più profonde espressioni del razionalismo del XVII secolo, frutto di una lunga ricerca culminata in una delle opere più straordinarie della filosofia, ovvero l’Etica. Ed è proprio nell’Etica che Spinoza parla dei modi attraverso cui l’uomo può diventare felice. La parte V dell’opera infatti è interamente devoluta alla spiegazione di come l’uomo può vivere nella felicità, di contro a quanto egli aveva considerato nella parte IV, in cui invece considerava tutta la drammaticità della condizione umana (non a caso, il titolo della parte IV è eloquentemente “La schiavitù umana, ovvero la forza degli affetti”). La teoria di Spinoza sulla felicità umana è ancora capace di ispirare grandi intelletti. Einstein stesso non solo sosteneva che Dio non gioca a dadi, affermazione pienamente in sintonia con il filosofo olandese, ma si spinse sino al punto di dire che: “Io credo nel Dio di Spinoza, che rivela se stesso nell’armonia regolata del mondo, non in Dio che si interessa personalmente del fato e di ciò che fa l’umanità”[1] Notevoli, nella loro vividezza, le parole di Bertrand Russell:

Ma quando passiamo all’etica di Spinoza [dalla sua metafisica], sentiamo (o almeno io sento) che qualcosa, anche se non tutto, può essere accettato, pur respingendone le fondamenta metafisiche. Spinoza si preoccupa di mostrare come sia possibile vivere nobilmente, pur riconoscendo i limiti dell’umano potere. (Russell, Storia della filosofia occidentale, vol. III, p. 756).

Nonostante l’accondiscendenza di questi grandi pensatori, la filosofia di Spinoza è ancora relativamente poco conosciuta, se paragonata al pensiero di altri grandi filosofi. Eppure lui più di tutti, almeno nell’età moderna, si era posto il problema della felicità in modo unico, specifico e dettagliato. Inoltre, come alcuni commentatori hanno notato, in Spinoza ritornano temi classici pre-cristiani dell’etica. Come vedremo, Spinoza è molto vicino ad alcune posizioni stoiche e, forse, addirittura epicuree molto più di quanto non fosse affine alla teoria agostiniana tanto di Dio che della felicità. Ancora oggi Spinoza è giustamente considerato un esempio di “filosofia laica” e di “razionalismo”. Così si esprime Filippo Mignini, uno dei massimi studiosi italiani del filosofo olandese: “La filosofia di Spinoza appare ancor più che in passato, nelle presenti condizioni della nostra civiltà, punto di riferimento necessario per la continua ricostruzione dell’identità dell’Occidente e strumento di dialogo privilegiato con le altre civiltà del mondo. Per due motivi, almeno. Per la necessità di una revisione radicale di tutte le idolatrie atropocentriche, di natura religiosa e non (…); in secondo luogo, per il recupero e l’affermazione dell’assoluta indeterminatezza del principio, della quale la sostanza spinoziana costituisce uno dei possibili modelli”.

La filosofia di Spinoza è estremamente rigorosa, dettagliata e minuziosa. Inoltre, il suo modo di argomentare, nell’Etica è in tutto analogo al modello della geometria euclidea. Non a caso, il titolo esteso è: Etica Dimostrata con Metodo Geometrico. Questo modo di argomentare non ha avuto grande fortuna al di fuori della matematica e della geometria anche se, in realtà, è stato ripreso in termini più moderni dalla filosofia della matematica e della logica. Spinoza è un filosofo estremamente legato alla visione tradizionale dell’etica, ovvero all’idea secondo cui per capire come raggiungere la felicità è necessario comprendere la natura umana. Si tratta più che altro di capire come stanno le cose. Esattamente come tutti i filosofi che abbiamo considerato sin qui, anche il filosofo olandese considera sostanziale inquadrare l’uomo all’interno della realtà prima di fondare ogni considerazione sulla sua felicità. Questo, come vedremo, non sarà più un prerequisito necessario dopo la filosofia di Kant. Quindi, come anche per gli altri filosofi, per capire la posizione di Spinoza rispetto al problema della felicità, dobbiamo enucleare alcuni concetti fondamentali che sostengono poi la sua proposta. Non rifaremo, qui, la ricostruzione integrale di una filosofia che, in realtà, è difficile separare nettamente in parti, proprio per le tesi difese e la forma di argomentazione impiegata. Ci accontenteremo di capire gli snodi veramente fondamentali per poi comprendere come Spinoza intendesse la felicità.

Come abbiamo visto, tutti i filosofi che si sono occupati della felicità hanno dovuto chiarire quali fossero i limiti reali dell’uomo all’interno del mondo. Per fare questo, essi si sono impegnati nel descrivere cosa essi intendevano esistente. Anche Spinoza parte da una simile esigenza definitoria e, per questo, propone la sua metafisica. Il filosofo olandese sostiene che esiste una sola sostanza assolutamente infinita, che è Dio o Natura: “Per Dio intendo l’ente assolutamente infinito, ossia la sostanza che consta di infiniti attributi, ciascuno dei quali esprime un’eterna ed infinita esistenza” (Spinoza, Etica, Editori Riuniti, Roma, p. 87). Dio è l’unica sostanza della realtà e, quindi, tutto dipende da lui. Il Dio di Spinoza, però, non è un Dio creatore e non è un Dio personale: “Vi sono coloro i quali si raffigurano Dio a somiglianza dell’uomo come composto di corpo e di mente e sottoposto alle passioni; ma, quanto questi siano lontani dalla vera conoscenza di Dio, risulta a sufficienza dalle cose già dimostrare”. Spinoza, infatti, nega la distinzione di essenza tra mente e corpo, che sono due delle infinite qualità (attributi) di Dio. Ovvero, la mente e il corpo non sono, come in Cartesio, due entità, due sostanze, due realtà completamente diverse ma sono solo due modi di intendere la stessa cosa. Come abbiamo visto, Dio è assolutamente infinito rispetto ad ogni suo attributo, quindi la mente e il corpo sono solo due delle sue infinite qualità.

Tutte le cose partecipano all’unica realtà, che è Dio. Come abbiamo visto, Dio è assolutamente infinito e, tra le sue proprietà, ci sono anche la mente e il corpo. Quindi, tutte le cose, in quanto parte di Dio, considerando anche quelle inanimate, partecipano all’attributo della mente e del corpo: “L’ordine e la connessione delle idee è lo stesso che l’ordine e la connessione delle cose”. Questo è un tratto caratteristico della posizione di Spinoza che, forse, potrebbe suscitare un certo stupore nel lettore. Infatti, intuitivamente, non si associa la mente alle cose inanimate, agli oggetti di uso comune o anche a certi tipi di animali (ad esempio ai vermi). Invece, per Spinoza, tutto ha una mente, ogni cosa, per quanto piccola, è sia parte dell’attributo dell’estensione (corpo) sia parte dell’attributo del pensiero (mente) in quanto piccola porzione dell’unica sostanza assolutamente infinita, che è appunto Dio. Si tratta, evidentemente, di una posizione abbastanza simile a quella stoica, già incontrata in queste pagine: anche per il filosofo olandese Dio è pensiero immanente nel mondo ed è l’unica sostanza increata a cui tutto inerisce. L’uomo, dunque, non è nient’altro che un individuo particolare all’interno del tutto, cioè di Dio: “L’essenza dell’uomo è costituita da certi modi degli attributi di Dio…” e poi… “Ne segue che la Mente umana è parte dell’intelletto infinito di Dio…”. Sicché arriva a concludere nel Corollario della Proposizione XIII: “Ne segue che l’uomo consta di Mente e di Corpo e che il Corpo umano, in quanto lo sentiamo, esiste”.

L’uomo è dotato di mente e di corpo, ma esse sono solo forme diverse di un’unica sostanza, Dio. Dio è l’unica sostanza a cui tutto inerisce ed è, dunque, anche il principio ordinatore del mondo, tanto rispetto all’ordine delle idee quanto rispetto all’ordine dei corpi. L’originalità di Spinoza sta nella sua declinazione di questa idea: ogni evento è causato da un evento precedente esattamente come ogni idea ne implica un’altra. Insomma, tutto avviene secondo una rigida necessità. Di conseguenza, il filosofo olandese difende, dunque, una posizione radicale: non c’è alcun libero arbitrio e alcuna volontà. La volontà non è nient’altro che un’illusione prospettica, un’idea inadeguata del nostro desiderio. Gli uomini, dice Spinoza, spesso scambiano gli effetti con le cause e quindi pensano che la volontà sia ciò che li indirizzi nelle scelte quando invece è solo il frutto di una serie precedente di cause che la determinano. Ma se la volontà non esiste e i desideri non sempre ci indirizzano verso il bene, concede Spinoza, allora come possiamo concepire una qualche forma di felicità umana?

La felicità umana è, per Spinoza, la beatitudine acquisita mediante la conoscenza stessa di Dio. Ma si tratta di qualcosa di completamente diverso rispetto alla proposta di Agostino, sebbene le formulazioni della somma felicità potrebbero apparire simili. Per capire il problema, dobbiamo necessariamente soffermarci l’indispensabile sulla teoria degli affetti (che oggi chiameremmo “passioni” se non fosse che Spinoza usa la parola “passione” per indicare un tipo preciso di sentimenti).

Come sempre in Spinoza, bisogna partire da lontano ovvero dall’assunzione che tutte le cose si sforzano per natura loro di esistere: “Nessuna cosa può essere distrutta se non da una causa esterna” e quindi “Ogni cosa, per quanto è in sé, si sforza di perseverare nel suo essere”. Infine: “La forza con la quale ciascuna cosa si sforza di perseverare nel suo essere non è altro che la sua attuale essenza”. In sostanza, ogni cosa, ogni singolo oggetto, qualunque pezzettino dell’universo tende a rimanere inalterato e a continuare ad esistere sino a che qualcos’altro non lo distrugga. Questo vale anche per l’uomo, il quale è solo una particolare configurazione dell’infinita sostanza. Questo non era poi lontano da quanto avevamo visto per gli stoici e alcune parole di Spinoza sono esplicitamente riprese dalla filosofia stoica. Quindi l’uomo si sforza di esistere in questo mondo per tutto il tempo che gli è consentito. Ora, dice Spinoza, ci sono cose che amplificano la nostra forza e alcune altre che la diminuiscono. Dato il fatto che l’uomo è una mente, egli è in grado di provare delle sensazioni. Quando egli amplifica la sua forza prova piacere mentre quando la perde egli prova dolore. Infine, quando rimane inalterato, egli non prova né piacere né dolore. Per Spinoza, la felicità consiste esattamente nella capacità dell’uomo di provare un certo tipo emozioni che sono il risultato dell’amplificazione della sua stessa potenza. Ma allora sembra che l’uomo sia completamente in balia della sorte! Non è forse vero che tutto quello che ci agevola è raro mentre quello che ci danneggia è frequente? Questo fatto era stato riconosciuto da Aristotele ma, in fondo, è sostanzialmente una premessa comune a tutti i filosofi che si sono interessati della felicità e nessuno più di Spinoza avrebbe sottoscritto tale la difficoltà.

Spinoza fa derivare la salvezza dell’uomo, ovvero la possibilità della sua felicità, proprio sulla mente. Per essere più precisi, egli ritiene che la felicità sia il risultato della conoscenza adeguata che l’uomo può avere delle cose. La conoscenza adeguata delle cose è semplicemente la nostra capacità di avere delle idee chiare e distinte. Quando noi arriviamo alla perfetta formulazione dello stato di cose, stiamo conseguentemente aumentando la nostra stessa potenza, stiamo diminuendo i nostri limiti. In uno slogan forse un po’ grossolano ma fa ben comprendere il punto, per Spinoza sapere è potere e tra le due condizioni esiste un preciso rapporto di proporzionalità: tanto più noi sappiamo e tanto più noi siamo potenti. Le idee chiare e distinte possono essere acquisite o mediante la ragione o mediante l’intuizione. Per questo Spinoza ne conclude: “Le nostre azioni, cioè quelle Cupidità che sono definite dalla potenza dell’uomo ossia dalla ragione, sono sempre buone, le altre possono essere tanto buone quanto cattive”. Un punto fondamentale. Infatti, l’uomo razionale è capace di aumentare la sua potenza grazie alle idee chiare e distinte. Esse, ci dice Spinoza, sono sempre buone nel senso che producono sempre un aumento di potenza. Infatti, come abbiamo già visto, esse sono il risultato dello sforzo della mente di esistere e nulla di interno ad essa è causa di distruzione: quindi le idee chiare e distinte, frutto dell’uso oculato della ragione da parte dell’uomo, non possono che apportare sempre e comunque un certo incremento di potenza. Ma l’uomo irrazionale, invece, è in balia della fortuna: talvolta è fortunato, talvolta no. Spinoza, in questo, è chiarissimo: è la conoscenza inadeguata del mondo che produce i patemi d’animo, cioè idee o azioni che decrementano la nostra capacità di agire nel mondo. Così, dunque, ci dice il filosofo olandese:

Nella vita dunque è anzitutto utile perfezionare, per quanto possiamo, l’intelletto, ossia la ragione, e in questo unico scopo consiste la somma felicità, ossia la beatitudine dell’uomo; senza dubbio, la beatitudine non è altro che la stessa soddisfazione dell’animo che nasce dalla conoscenza intuitiva di Dio: ma perfezionare l’intelletto non è altro che conoscere Dio, gli attributi di Dio e le azioni che seguono dalla necessità della sua natura. (Spinoza, Etica, p. 283).

Il cerchio si è chiuso. Se tutto è in Dio e per mezzo di Dio, se l’uomo di ragione conosce adeguatamente il mondo, allora la sua stessa conoscenza adeguata delle idee chiare e distinte non è altro che la conoscenza perfetta di Dio. Non si tratta di una contemplazione fredda, di una sorta di abbandono del mondo per qualche meta più elevata: non c’è un altro mondo dove andare, com’era nella teologia agostiniana e cristiana. E non siamo di fronte alla proposta stoica dove ogni emozione è nemica della vera felicità. Al contrario, l’uomo di Spinoza esperisce una forma pura di piacere attuale connesso all’incremento di potenza che egli consegue conoscendo adeguatamente il Dio assolutamente infinito sia che ciò avvenga mediante una immediata intuizione, sia che questo accada mediante lo studio delle parti di Dio.

La filosofia di Spinoza si spinge anche a mostrare che l’uomo non ha da temere la morte perché, nonostante la sua vita sia indefinita nella durata ma sia sicuramente finita nel tempo, egli vive in Dio sotto una specie particolare di eternità. Questo, però, non è molto rilevante ai fini di questa esposizione e riguarda la parte più propriamente teologica della teoria di Spinoza. Infatti, la via della felicità è stata pienamente indicata e, per ciò, esaurita. Sin tanto che l’uomo riesce a conoscere attraverso la ragione le idee chiare e distinte, egli sarà felice. Ma non appena la ragione cede all’immaginazione, le idee chiare e distinte lasciano il passo alle idee inadeguate, ecco che di nuovo egli ricade nell’incertezza della sorte. E purtroppo la vita difficilmente è clemente e la felicità è evidentemente una cosa rara. Per questo vorremmo riportare la conclusione dell’Etica, uno dei passi più belli di tutta la storia della filosofia:

…appare manifesto quanto il Sapiente sia valido e più potente dell’ignorante, il quale è mosso dalla sola libidine. L’ignorante, infatti, oltre ad essere turbato in molti modi dalle cause esterne e a non essere in possesso mai di una vera tranquillità d’animo, vive inoltre quasi inconsapevolmente di sé e di Dio e delle cose e appena cessa di soffrire, cessa anche di essere. Al contrario, il saggio, in quanto è considerato come tale, difficilmente è turbato nell’animo, ma è consapevole di sé e di Dio e delle cose con una certa qual eterna necessità, e non cessa mai di essere; ma è sempre in possesso della vera tranquillità dell’animo. La via che ho mostrato condurre a questo, pur se appare molto difficile, può tuttavia essere trovata. E d’altra parte deve essere difficile, ciò che si trova così raramente. Come potrebbe accadere, infatti, che se la salvezza fosse a portata di mano e potesse essere trovata senza grande fatica, venisse trascurata quasi da tutti? Ma le cose eccellenti sono difficili quanto rare. (Spinoza, Etica, p. 318).

Quindi, adesso si comprende in che senso Spinoza sia un vero e proprio spartiacque nella storia della filosofia della felicità. Egli ha tratti epicurei, perché ritiene che il piacere, inteso come segnale dell’incremento di potenza, giochi un suo ruolo. La sua teoria, però, riecheggia ancora di più la filosofia stoica, come diversi commentatori hanno sottolineato. Ma è evidente la distanza proprio nella teoria dei sentimenti (in questo contesto). Eppure ha anche tratti in comune con Agostino, con il quale condivide l’idea che la salvezza umana consista nella conoscenza dell’idea adeguata di Dio. Allo stesso tempo, egli è opposto a tutti e tre questi precedenti più o meno nella stessa misura: a differenza di Epicuro, ritiene che il mondo è interamente determinato dalla necessità; in opposizione con gli stoici rivendica l’importanza degli affetti; e tanto più diverge da Agostino, a partire dal rigetto del Dio creatore e personale, per finire alla diversa concezione della “conoscenza di Dio” e quindi della stessa felicità o beatitudine.

Pochi come Spinoza furono perseguitati per le proprie idee ma altrettanto pochi come lui seppero vivere una vita serena e felice, pur terminata brevemente a causa della tisi. Chiudiamo, allora, con le generose parole di Bertrand Russell:

Spinoza intende liberare gli uomini dalla tirannide della paura. “Un uomo libero pensa alla morte meno che a qualsiasi altra cosa; e la sua saggezza è una meditazione non sulla morte, ma sulla vita”. Spinoza visse completamente in accordo con il suo precetto. L’ultimo giorno della sua vita era del tutto calmo, non esaltato come Socrate nel Fedone, ma conversava, come avrebbe fatto in qualsiasi altro giorno, intorno a questioni che interessavano il suo interlocutore. A differenza di altri filosofi, non solo credeva alle proprie dottrine, ma le metteva in pratica; non so di nessuna occasione in cui, malgrado le più forti provocazioni, Spinoza si sia abbandonato a quell’animosità o a quell’ira che la sua etica condannava. Nelle controversie era cortese e ragionevole, non insultava mai, e faceva del suo meglio per persuadere.


[1] Traduzione mia da: Einstein A., The Ultimate Quotable Einstein, Princeton University Press, Princeton, p. 325.


Giangiuseppe Pili

Giangiuseppe Pili è Ph.D. in filosofia e scienze della mente (2017). E' il fondatore di Scuola Filosofica in cui è editore, redatore e autore. Dalla data di fondazione del portale nel 2009, per SF ha scritto oltre 800 post. Egli è autore di numerosi saggi e articoli in riviste internazionali su tematiche legate all'intelligence, sicurezza e guerra. In lingua italiana ha pubblicato numerosi libri. Scacchista per passione. ---- ENGLISH PRESENTATION ------------------------------------------------- Giangiuseppe Pili - PhD philosophy and sciences of the mind (2017). He is an expert in intelligence and international security, war and philosophy. He is the founder of Scuola Filosofica (Philosophical School). He is a prolific author nationally and internationally. He is a passionate chess player and (back in the days!) amateurish movie maker.

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