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Categoria: Filosofia Contemporanea

Le ricerche filosofiche e il secondo Wittgenstein

7. Whereof one cannot speak, thereof one must be silent.

Ludwig Wittgenstein – Tractatus Logico-Philosophicus

 

What we are supplying are really remarks on the natural history of human beings; we are not contributing curiosities however, but observations which no one has doubted, but which have escaped remark only because they are always before our eyes.

Ludwig Wittgenstein – Philosophical Investigations


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  1. Introduzione: il primo e il secondo Wittgenstein

Il secondo Wittgenstein non è una descrizione definita costruita con un nome proprio per indicare una persona che sia diversa dal ‘primo Wittgenstein’ (ad esempio, Plinio il Vecchio e Plinio il Giovane oppure Strauss padre e Strauss figlio, tutte diciture vagamente misleading che complicano la vita alle persone dotate di un’intelligenza che di natura non penetra nell’inutile gergo degli addetti ai lavori). Al contrario, la persona è sempre la stessa ma la dicitura vorrebbe indicare che proprio quella stessa ed unica persona ha “cambiato così tanto parere” che si può parlare di una seconda fase del suo pensiero. Quindi esiste un primo e un secondo Wittgenstein, le cui differenze risiedono proprio in qualche cosa che le Philosophical Investigations (Ricerche filosofiche) avrebbero posto in discussione: ‘in che senso usi la parola pensiero quando dici che il primo Wittgenstein ha un pensiero diverso dal secondo?’ [Se vuoi scaricare il file in pdf., vai qui]

In difesa del senso comune di George E. Moore [Traduzione]

NOTA DEL TRADUTTORE

La traduzione in italiano del testo di George E. Moore, A Defence of Common Sense, è nata dall’esigenza di riflettere sui fondamenti della filosofia. I cosiddetti filosofi del senso comune sono considerati in genere come gli esponenti di un capitolo minore della storia della filosofia. Eppure un implicito “senso comune” sembra essere un sottotesto presente nella riflessione anche dei maggiori filosofi. Prendiamo per esempio un qualsiasi filosofo idealista, che esprime nelle sue opere l’idea che il mondo sia una creazione dell’Io pensante. Se questo filosofo si rivolge ad altri filosofi, o semplicemente include nelle sue frasi, anche non filosofiche, l’idea di un “Noi”, sta in un certo senso tradendo la propria filosofia. Sta esprimendo, infatti, un concetto del senso comune, una sorta di assioma indimostrabile filosoficamente o logicamente, ovvero che è certo che esiste una moltitudine di esseri coscienti e che ognuno di essi può essere in qualche modo in contatto con gli altri. Il testo di Moore che ho tradotto esplora in modo approfondito questa contraddizione nonché l’universalità di alcuni concetti che definiamo appunto come “senso comune”.

– Si segnalano:

Breve biografia di George E. Moore.

Il testo originale del testo tradotto.

Alcuni materiali integrativi.


In difesa del senso comune

In ciò che segue ho cercato semplicemente di chiarire, uno per uno, alcuni dei punti più importanti in cui la mia posizione filosofica differisce dalle posizioni assunte da alcuni altri filosofi. È possibile che i punti che ho ritenuto di menzionare non siano realmente i più importanti, e forse riguardo ad alcuni di essi nessun filosofo ha mai pensato davvero cose diverse dalle mie. Tuttavia, per quanto mi è dato sapere, su ognuno di questi punti molti sono stati effettivamente in disaccordo; anche se (nella maggior parte dei casi, se non altro) su ciascuno di essi molti si sono trovati d’accordo con me.

La posizione di Alvin Plantinga in epistemologia

Plantinga

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Consigliamo – A cura di Giangiuseppe Pili e l’Introduzione schematica all’epistemologia


Abstract

Alvin Plantina è uno dei filosofi più influenti, soprattutto rispetto alla filosofia cristiana. In questo articolo ci focalizziamo esclusivamente sull’analisi epistemologica del funzionalismo proprio, così come viene chiamata la posizione del filosofo americano. Si tratta di una teoria esternista della giustificazione (warrant) tale per cui essa si incentra sulla nozione di facoltà cognitiva e sul suo funzionamento adeguato rispetto ad un certo ambiente di riferimento per cui essa è stata progettata (pianificata, adibita…).

Su “La causazione” di David Lewis

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Consigliamo – Introduzione alle teorie della verità – a cura di Giangiuseppe Pili


Abstract

Questo articolo considera la teoria della causazione di David Lewis nella sua formulazione basilare di On Causation (Lewis (1973)).Questo articolo ha una valenza puramente introduttiva e non pretende di esaurire un argomento che il lettore è invitato ad analizzare da solo nei dettagli e scartabellarsi un po’ di letteratura. La posizione di David Lewis è ormai un caposaldo della teoria della causalità, nelle sue varie formulazioni. Ha avuto un grande impatto sul dibattito e, in generale, nella filosofia. Basti considerare che anche in epistemologia, un campo notoriamente non impegnato in forti assunzioni metafisiche in senso stretto, analisi con echi lewisiani sono presenti. Per tutte queste ragioni On Causation fa senza dubbio parte dei classici recenti del pensiero filosofico.

La teoria epistemologica di Robert Nozick

Nozick

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Consigliamo – Introduzione alle teorie della verità – a cura di Giangiuseppe Pili


La teoria di Robert Nozick [1981] è una teoria esternista della conoscenza. Si tratta di una teoria esternista perché non richiede che un soggetto abbia accesso ai giustificatori delle sue credenze (con giustificatore si intende genericamente ciò che conta come evidenza a sostegno di una certa credenza). Si tratta, poi, di una teoria della conoscenza perché fornisce una definizione di conoscenza e considera questo problema il principale per la sua posizione (e non altri noti problemi).

La strategia di Nozick si concentra su due direttrici principali. La prima è considerare ed estendere una certa nozione che emerge dalla teoria causale della conoscenza. La seconda è quella di eliminare i problemi che una teoria come la teoria causale si porta dietro. La strategia di Nozick vuole evitare il problema dello scetticismo del cervello invascato (Nozick presenta un pittoresco uomo dentro una cisterna stimolato da degli scienziati) e il modo in cui lo fa è parte integrante della sua argomentazione a sostegno delle due condizioni che devono integrare le due canoniche in quella che sarà la definizione di conoscenza.

Alexander Moseley – A philosophy of war (una filosofia della guerra)

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Un libro sulla filosofia della guerra? Filosofia pura della guerra!


Abstract

A philosophy of war del filosofo inglese Alexander Moseley, autore di alcuni articoli sulla influente Internet Encyclopedia of Philosophy, è una delle poche opere filosofiche dedicate esclusivamente alla guerra. L’opera è edita nel 2002 e rimane ancora uno dei pochi esemplari di filosofia applicata alla guerra. Nonostante Moseley cerchi di rimanere fedele al suo proprio imperativo di non tratteggiare la guerra da un punto di vista morale, egli, come vedremo, in realtà è profondamente impegnato nella difesa di una peculiare prospettiva antropologica, capace di fondare una forma radicale di pacifismo. Tale visione antropologica difende l’idea che l’uomo sia libero di scegliere in base alle sue proprie idee, le quali sono determinate dal contesto storico-ambientale, ma non sono tali da annullare la sua volontà, il cui libero arbitrio è il baluardo che garantisce la libertà stessa. Moseley, poi, cerca di portare argomenti economici e sociali a favore della pace, la cui razionalità si impernia attorno al riconoscimento della superiorità della cooperazione, collaborazione e integrazione sia tra singoli esseri umani che tra gruppi sociali.


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Struttura dell’articolo

  1. Considerazioni metodologiche
  2. Premesse individuali e premesse sociali: enunciazione e disamina
  3. Definire la guerra: un obiettivo chiaro
  4. La guerra non è inevitabile e argomenti a favore di un pluralismo metafisico, descrittivo ed esplicativo
  5. Alternative alla guerra: cooperazione individuale e internazionale sulla base della ragione, delle idee e della cultura
  6. Conclusioni

Bibliografia citata

 

Un cartesianesimo naturalizzato sulle intuizioni?

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Leggi anche Il discorso sul metodo di CartesioLa mente e le menti di Daniel Dennett


L’articolo di George Rey ha alcuni obiettivi congiunti: (1) chiarire la plausibilità delle tesi di chi ha sostenuto o difeso il ruolo delle intuizioni o dell’introspezione da un punto di vista neocartesiano; (2) delucidare le alternative e le critiche rivolte a chi ha difeso posizioni neocartesiane e (3) difendere indirettamente la plausibilità di un neocartesianesimo naturalizzato circa le intuizioni e l’introspezione (in particolare riguardo la teoria delle TAG che Rey aveva già presentato e difeso).

In generale, poste due tesi t1 e t2, si può stabilire una preferenza tra t1 e t2 in base a ragioni di natura esplicativa: è razionale prediligere tra t1 e t2 quella teoria che è maggiormente esplicativa. Si noti che in questa dichiarazione di selezione sulla base di questa tipologia di preferenza, si esclude sia la possibilità di trovare argomentazioni puramente a priori o considerare queste ultime come decisive, ma anche, all’estremo opposto, la possibilità di contare esclusivamente su evidenze empiriche. Infatti, per fornire la migliore esplicazione di un certo evento e non sarà semplicemente sufficiente descriverlo in termini empirici, ma è indispensabile darne una caratterizzazione almeno in parte normativa: non a caso, l’articolo di Rey presenta tanto argomentazioni filosofiche su basi empiriche che su basi propriamente a priori.

Recensione di Max Stirner, Vita e Opere

Del filosofo e uomo Max Stirner è rimasta ben poca testimonianza. Tuttavia, ne sembrerebbe rimasta quanto basta a scrivere una biografia che, nella versione italiana tradotta da Claudia Antonucci per la giovane casa editrice Bibliosofica, conta duecentoventicinque pagine. L’autore è John Henry Mackay.

Il lavoro di Mackay, per alcuni versi, è sicuramente notevole, ma per altri, stenta a convincere e ne esporremo le ragioni principali. Per ora notiamo che, purtroppo, sembrerebbe essere l’unico lavoro esistente in grado di avvicinarci con una certa approssimazione alla reale figura di Max Stirner.

Epistemologia naturalizzata di Willard Van Orman Quine Analisi per un testo classico dell’epistemologia analitica

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Leggi la scheda sull’epistemologia


Abstract

Epistemology Naturalized è un classico dell’epistemologia analitica, un testo di grande influenza sia in relazione alla grande quantità di contenuti che di argomenti presentati. L’articolo di Willard Van Orman Quine ha avuto un posto di rilievo nell’epistemologia analitica, nonostante la valutazione del suo contributo non sia facile da soppesare. In queste pagine mi concentrerò su alcune tematiche particolarmente importanti rispetto ad alcune posizioni epistemologicamente di rilievo. In special modo, cercherò di mostrare quali siano i sensi del progetto di naturalizzazione dell’epistemologia nella prospettiva quineana e tenterò di evidenziare come questo progetto generale e complessivo sia legato a varie tematiche della riflessione di Quine. In fine, presento un bilancio, parziale e illustrativo, dell’epistemologia naturalizzata all’interno dell’epistemologia analitica contemporanea.


Recensione di Scheler, M. Pudore e sentimento del pudore

Di Scheler, quello pubblicato l’anno scorso da Mimesis, tradotto in italiano a cura di Maria Teresa Pansera, col titolo Pudore e sentimento del pudore, è uno scritto che apparve postumo nel 1933. Siamo comunque di fronte al miglior Scheler, filosofo che seppe con intuizione prodigiosa e massima capacità analitica indagare attorno alla vita emotiva e mentale dell’uomo.
Pudore e sentimento del pudore è un’organica raccolta di scritti che compongono lo svolgimento di un’indagine sottile, condotta con mirabile ingegno analitico, attorno al tema dell’essenza del pudore, del sentimento del pudore, ma, in definitiva, dell’uomo e delle sue relazioni amorose.